Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
All’incontro interverrà Giorgio Pagano, curatore dell’opera e autore di una postfazione e di …

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“Un mondo nuovo, una speranza appena nata” a Fivizzano e a Corniglia 6 e 7 agosto.
“Sessantotto e dintorni. Una cartografia della disobbedienza” a Fosdinovo 9 agosto

a cura di in data 3 Agosto 2022 – 22:23

Invito a Corniglia

Invito a Fivizzano

Programma “Fino al cuore della rivolta”

Entrambi i Volumi del libro di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” saranno presentati sabato 6 agosto alle ore 18 a Fivizzano, nel Centro dal libro alla solidarietà in piazza Medicea, e domenica 7 agosto alle ore 21 a Corniglia, in largo Taragio.
Nell’incontro di Fivizzano, organizzato dal Centro dal libro alla solidarietà e dal Comune di Fivizzano, Giorgio Pagano converserà con Daniele Rossi, di Anpi Casola in Lunigiana-Fivizzano, e con Marcello Palagi di Ecoapuano, già insegnante al Liceo Artistico di Carrara. Al termine sarà offerto un piccolo buffet.
Nell’incontro di Corniglia, organizzato dall’associazione Uniti per Corniglia con il patrocinio del Comune di Vernazza, dopo il saluto del sindaco Francesco Villa ed i ringraziamenti di Francesca Guelfi, dell’associazione Uniti per Corniglia, Michelangelo Pistoletto e Giorgio Pagano converseranno sugli anni Sessanta, con riferimento particolare a Corniglia ed a Vernazza.
Le Cinque Terre sono tra le protagoniste del libro: furono, in quegli anni, “un’avanguardia sul mare”, meta di intellettuali provenienti da tutto il mondo, che intrecciarono le loro vite con quelle dei giovani del posto.
Michelangelo Pistoletto, prima a Vernazza, poi a Corniglia, nel 1968 e nel 1969 sperimentò, con il laboratorio di ricerca “Lo Zoo”, il teatro di strada e comunitario e la creatività culturale corale, dando vita, soprattutto a Corniglia, a un rapporto straordinario con la comunità dei residenti.
La serata prevede anche un intermezzo musicale di Manuel Piccioli e la proiezione del video “Un mondo nuovo, una speranza appena nata”, a cura del Gruppo Fotografico Obiettivo Spezia.
Martedì 9 agosto alle ore 18, nell’ambito del Festival della Resistenza “Fino al cuore della rivolta” (Fosdinovo, Museo audiovisivo della Resistenza), si terrà il dibattito “Sessantotto e dintorni. Una cartografia della disobbedienza” con Angelo d’Orsi, dell’Università di Torino, Stefano Gallo, della Biblioteca Franco Serantini di Pisa, e Giorgio Pagano. Il Festival, giunto alla sua diciottesima edizione, dopo due anni di edizioni “ridotte” nei numeri, ma non nello spirito e nella qualità delle iniziative, ritorna dal 5 al 9 agosto e dal 13 al 15 agosto nella sua veste consueta, ancora più ricco di cultura e di socialità.


 

Il Centro Dal libro alla solidarietà in piazza Medicea a Fivizzano ha riaperto la sua sede dopo oltre due anni di chiusura a causa della pandemia, ospitando la presentazione di un amico da lunga data del Centro, lo storico Giorgio Pagano, ex Sindaco della Spezia, che ha presentato il suo libro “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”. Presente il Vicesindaco Giovanni Poleschi, Pagano ha conversato con Carmine Mezzacappa e Daniele Rossi. Tanti i temi affrontati. Di particolare interesse il confronto, sollecitato da Rossi, sul rapporto tra Resistenza e Sessantotto. Secondo Pagano “il problema posto dal Sessantotto era quello non della rivoluzione, ma di una riforma delle istituzioni, dell’allargamento delle basi democratiche dello Stato. Il Sessantotto fu il momento conclusivo di un processo di democratizzazione iniziato con la Resistenza e la Costituzione. E, se la generazione degli anni Quaranta aveva reinventato la democrazia e la libertà politica, quella degli anni Sessanta mostrava di voler ritrovare la democrazia nella vita quotidiana, nella scuola, nel lavoro, nelle relazioni intersoggettive”. “Se si coglie la complessità di questo orizzonte tematico -ha aggiunto Pagano- si può comprendere, allora, quanto grande sia stata la responsabilità di chi nei partiti di sinistra non seppe comprendere la posta in gioco e di chi nelle organizzazioni minoritarie volle spingere il movimento verso una ideologia rivoluzionaria violenta”.
Pagano si è anche soffermato sui legami, alla Spezia, tra la sconfitta operaia negli anni Cinquanta e il Sessantotto operaio, “che volle in un certo senso curare le ferite dell’emigrazione in Germania, Belgio, Svizzera di un’intera generazione operaia falcidiata dalla discriminazione politica e ‘vendicare’ i neri anni Cinquanta”. Questi intrecci, ha concluso, “ci portano a dire che non aveva ragione Marx a sostenere che le ribellioni non traggono la loro poesia dal passato, ma il filosofo Benjamin, secondo cui il loro motore segreto è in un desiderio di redenzione dei vinti, in un appuntamento misterioso tra generazioni. La rivolta che verrà sarà ancora una volta nuova, si pensi alla battaglia per i diritti della Natura, ma conterrà molte tracce del passato, anche i lasciti vitali del Sessantotto degli inizi, etico, libertario, nonviolento”.


 


 

Serata “magica” domenica a Corniglia, dedicata agli anni Sessanta e al Sessantotto in un luogo simbolo di quegli anni, largo Taragio, dove Michelangelo Pistoletto, Maria Pioppi e gli altri componenti il gruppo “Lo Zoo” diedero vita, tra maggio e ottobre 1969, ogni giorno dalle 16 alle 19,30, all’azione “La ricerca dell’Uomo nero”: un metodo di lavoro teatrale concepito al fine di permettere a ciascuno la massima partecipazione creativa e di creare il coinvolgimento della comunità dei residenti. Già nel 1968, a Vernazza, “Lo Zoo” aveva dato vita a “L’uomo ammaestrato”, una parabola sull’alienazione ispirata a “L’uomo a una dimensione “di Marcuse.
Giorgio Pagano, autore del libro “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” e Pistoletto hanno rievocato, conversando tra loro, la “rivoluzione culturale” degli anni Sessanta. “Le ribellioni -ha detto Pagano- sono vissute intensamente, sono preparate e producono a loro volta svolte estetiche. La vicenda dello ‘Zoo’ si colloca in un contesto internazionale, caratterizzato dall’Arte povera, dal Living Theater, dalla controcultura musicale, dal Nuovo Cinema, dalla sperimentazione e dal confronto tra più linguaggi e saperi. A Vernazza e a Corniglia si respirava a pieno la grande cultura internazionale”. Pistoletto ha accennato alla “rivolta libertaria simboleggiata dal leone in gabbia dello ‘Zoo’” e all’”utopia dell’annullamento della separazione tra arte e vita, simboleggiata dai miei ritratti fotografici di allora”. A Corniglia, ha raccontato l’artista nella testimonianza nel libro di Pagano, “si stabilì un rapporto straordinario con gli abitanti, come se fossimo una grande famiglia socio-artistica… fu anche un progetto politico alternativo di vita comunitaria”.
Pagano ha messo in evidenza il rapporto dell’esperienza dello “Zoo” con quella più generale del Sessantotto: “Nel Sessantotto covava la speranza, che era la linea teorica del progetto dello ‘Zoo’. Il Sessantotto fu una rivolta etica e libertaria, come quella dello ’Zoo’. La ricerca di un nuovo rapporto tra arte e vita era un tutt’uno con quella degli studenti per un nuovo rapporto tra scuola e vita e per nuove relazioni intersoggettive. Un altro tratto comune fu il rapporto tra l’io e il noi: il collettivo era per esistere come persona nuova”.
Infine una riflessione sull’oggi: “Il Pistoletto di oggi c’era già allora -ha detto l’artista-, furono gli anni del passaggio verso quel rapporto arte-società che ha caratterizzato tutta la mia opera successiva. L’’Zoo’ è l’antefatto di tutto quello che è venuto dopo. Oggi le grandi organizzazioni politiche sono indifferenti, meglio agire in modo capillare, partendo dalle singole comunità. La grande novità è il rapporto con la Natura. Allora eravamo ‘sviluppisti’. Dopo il Paradiso Naturale, dove tutto è regolato dall’intelligenza della Natura, abbiamo avuto il Paradiso Artificiale, quello sviluppato dall’intelligenza umana. La collisione tra queste due sfere è ormai in atto. Per evitare la catastrofe si deve concepire il progetto globale che chiamo Terzo Paradiso, una nuova armonia tra il primo e il secondo”. Pagano si è detto d’accordo: “abbiamo bisogno di un ritorno in forme nuove dell’umanesimo di allora, un umanesimo non più antropocentrico, che riconosca la Natura come un soggetto avente diritti”.
Pagano si è infine soffermato sugli altri intellettuali presenti a Vernazza e a Corniglia in quegli anni, da Aldo Trionfo ad Alighiero Boetti, e sul rapporto di interscambio con i giovani dei due borghi: “capimmo che oltre la vigna e la barca esistevano altre maniere di vivere”, ha raccontato nel libro Pierino Moggia, recentemente scomparso, che Pagano ha ricordato con commozione.
La serata è stata resa ancora più “magica” dagli intermezzi musicali di Manuel Piccioli e dalla proiezione del video “Un mondo nuovo, una speranza appena nata”, del Gruppo Fotografico Obiettivo Spezia.


 

Il Festival della Resistenza “Fino al cuore della rivolta” di Fosdinovo ha ospitato l’interessante dibattito “Sessantotto e dintorni. Una cartografia della disobbedienza” con Angelo d’Orsi, dell’Università di Torino, Stefano Gallo, della Biblioteca Franco Serantini di Pisa, e Giorgio Pagano, autore di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”.
L’intervento di Angelo d’Orsi è stato introduttivo al tema:
“L’anno 1968 è stato il culmine di un crescendo che parte dai tardi anni Cinquanta, e attraversa buona parte delle società, con particolare forza in quelle occidentali. Si è trattato di un’onda lunga che ha provato a battere in breccia istituzioni, cultura, costumi, nello spirito di un cambiamento radicale. In una molteplicità di cause, alcuni fattori appaiono preminenti: la guerra del Vietnam con il rifiuto di migliaia di studenti americani di partire militare (e le canzoni che ne esprimevano l’essenza), le lotte anticolonialiste e antimperialiste in America Latina, con l’esempio vittorioso di Cuba, l’assassinio di Ernesto Che Guevara, il pontificato di Giovanni XXIII e il lancio del Concilio Vaticano II, la Rivoluzione culturale cinese (anche se sovente equivocata sulla base di scarse informazioni), la ripartenza di lotte proletarie nei grandi centri industriali, il successo delle idee della “contestazione globale” derivate dai filosofi della Scuola di Francoforte, emigrati negli Usa (Adorno, Horkheimer, Marcuse, Fromm…), l’involuzione moderata dei partiti e dei sindacati operai. Sebbene sia stata la Francia l’epicentro del movimento più clamoroso (il famoso “maggio francese”), in Italia il Sessantotto durò più a lungo, un biennio (1968-69), con la fusione, sia pure imperfetta, tra proteste studentesche e lotte operaie. Si gettarono i germi dei grandi progressi degli anni Settanta (nuovo Diritto di famiglia, Statuto dei Lavoratori, Sistema Sanitario Nazionale e così via); nacquero anche, in forma estremamente minoritaria, istanze di rifiuto radicale che includeva la clandestinità e la lotta armata, che ebbero effetti negativi sullo stesso movimento, accelerandone la fine”.
Stefano Gallo ha presentato il libro “Un altro 1969: i territori del conflitto in Italia”, nato da un convegno tenutosi a Firenze nel dicembre 2019, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’Autunno caldo. Per Gallo il libro e il convegno “sparigliano rispetto agli schemi consueti, partendo dai territori”:
“I lavoratori e le lavoratrici che partecipano al ciclo del conflitto industriale ebbero una composizione sociale molto più complessa di quella dell’operaio-massa, prevalentemente maschio, della fabbrica fordista, in cui agivano componenti culturali variegate e dalle molteplici origini. Il filo che univa ‘la centralità della fabbrica’ alla ‘scoperta del territorio’ non fu un filo a una sola direzione e in regioni come la Toscana -e in genere della Terza Italia- non fu affatto occasionale”.
Il libro e il convegno hanno quindi studiato il rapporto complesso tra il conflitto sociale e la dimensione territoriale in cui era inserito: mondo contadino, associazionismo cattolico di base, reti sociali di quartiere, tradizioni familiari, diffusione della scolarizzazione e dei consumi di massa, luoghi di sociabilità popolare.
Giorgio Pagano ha evidenziato come, nella ricerca spezzina, “il tema della disobbedienza emerge come elemento caratterizzante del Sessantotto degli inizi”, che fu “rivolta etica contro l’autoritarismo nella scuola, nella fabbrica, nella famiglia”, presto intrecciata alla “lotta contro il classismo scolastico e sociale”. Il Sessantotto è stato forse, ha continuato, “più critica al potere che all’autorità in sé”, perché “non ha escluso la possibilità di una modifica delle istituzioni, di un’altra autorità, autorevole e bidirezionale: Basaglia e la trasformazione del manicomio, don Milani e un’altra Chiesa e un’altra scuola, Dutschke e la lunga marcia attraverso le istituzioni”.
Pagano ha inoltre invitato a riflettere sul punto del rapporto tra generazioni:
“Si verificò una frattura giovani-adulti ed emerse una generazione per molti aspetti diversa e distinta dalla precedente e critica nei confronti delle sue, seppure ben nascoste, profonde debolezze. La generazione precedente era quella della Seconda guerra mondiale, della guerra fredda, dei sacrifici per la carriera e per il benessere: aveva rinunciato a troppe aspirazioni. La nuova generazione era critica verso l’esperienza della precedente, era insoddisfatta del presente e delle proposte di cambiamento in campo. La parola ‘giovane’ smise di indicare soltanto chi non è ancora adulto, per indicare anche chi si oppone ai valori degli adulti, della loro società e delle loro istituzioni.
Emerge, tuttavia, un rapporto più complesso tra le generazioni. Un giovane operaio così spiega il primo sciopero, nel 1968, all’OTO Melara, dopo diciotto anni:
‘Si dice che il merito fu della nostra generazione, ma se questo è vero, lo fu indirettamente. Qualche giorno prima dello sciopero, ricordo che cominciò a circolare il passaparola che ci saremmo fermati a una certa ora di uno dei giorni successivi, e tale passaparola anziché arrivare dai giovani, arrivò da molti lavoratori, anziani o maturi, anche moderati, che però non ce la facevano più’.
La lotta in fabbrica non può quindi essere spiegata solo in termini generazionali. Il fattore generazionale, che ebbe un peso rilevantissimo, venne a coincidere con processi sociali e culturali più ampi.
La stessa lotta studentesca fu più ricca, come dimostra l’esame della ‘grande occupazione’ delle scuole superiori del litorale tirrenico nel dicembre 1968, quando si realizzò un interscambio tra studenti e docenti che si battevano anch’essi per una scuola nuova.
Va aggiunto, sulla questione del rapporto transgenerazionale, che la costellazione controculturale di massa degli anni Sessanta fu senz’altro in primo luogo giovanile, per il peso determinante della musica; ma anche che coinvolse sezioni di pubblico generazionalmente più ampie quando si irradiò dalla musica ad altre forme espressive, come il cinema e l’arte visiva. Anche un pubblico più adulto fu dunque coinvolto dalla controcultura”.

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