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Lo Zerasco, tra orgoglio e abbandono

a cura di in data 24 Aprile 2024 – 07:54

Zeri, Chioso, la chiesa di San Giovanni
(2023) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 5 novembre 2023

UN POPOLO LIBERO, FIERO, OSPITALE
Il “Diario dalle Terre Alte” ritorna per il quarto anno, questa volta dedicato allo Zerasco.
Dopo le 16 puntate, nel triennio precedente, in cui protagonista è stata la Val di Vara, il “Diario” non poteva che proseguire con lo Zerasco, per lo stretto legame esistente tra le due terre fin dai tempi più antichi. Gli odierni zeraschi sono tra gli eredi meno impuri dei “Liguri Apuani”. Certamente il loro territorio è stato sempre legato a Pontremoli e ai centri che a loro volta dominavano Pontremoli, ma il rapporto con Spezia c’è stato grazie alla “via regia”, oggi Alta via dei monti liguri, così come un’altra arteria collegava Zerasco e “genovesato”.
Non è che mancassero i conflitti, anzi. Tra territori di confine era naturale che fosse così. Si ha memoria, fin dal 1502, di una “vertenza di confine” tra Zeri e Torpiana di Zignago, che nel 1574 originò pure un confronto armato. Poi fece epoca il contenzioso sulla proprietà del bosco di Gambatacca tra Rossano e Suvero di Rocchetta Vara. Durò oltre cento anni, e chissà se è mai stato del tutto sopito. Ma i conflitti erano anche con Pontremoli, tra “villani” e “cittadini”: i primi non volevano pagare le tasse che servivano a finanziare le guerre dei secondi.
Ogni popolo aveva un suo carattere. Quello zerasco era libero, fiero, indipendente, diffidente verso i “foresti” ma anche ospitale. Gli zeraschi erano cattolici, anche per interesse: quanti giovani fecero i preti in Lombardia ma solo per far soldi e tornare appena possibile ad arricchire le loro case a Zeri! Il granduca di Toscana Pietro Leopoldo nel 1786 visitò tutta la Lunigiana. Nelle sue relazioni, molto interessanti, il tema dei giovani zeraschi preti per tornaconto era un vero e proprio “tormentone”. Le messe si dicevano di continuo, ma “con somma indecenza”, scriveva il granduca.
Pietro Leopoldo descriveva una valle di Zeri ben coltivata a semente e castagni. In quegli anni fu introdotta la patata, celebre ancora oggi: pare da un contadino di Adelano, che aveva avuto i tuberi da montanari parmensi che a loro volta li avevano presi in Germania, dove erano emigrati.
Gli zeraschi combatterono contro Napoleone Bonaparte – esaltò la loro azione nei suoi versi il poeta di Beverino Lorenzo Costa, a cui è intitolato il Liceo Classico spezzino – e in seguito contro i parmensi e i modenesi. Diventati toscani, vollero poi aggregarsi a Genova (Spezia non era ancora provincia), ma senza riuscirvi. Rimasero in Toscana anche quando Spezia diventò provincia, cento anni fa. Nonostante che la città esercitasse una grande attrazione grazie alle sue fabbriche, la nuova provincia restò mutilata della Lunigiana.
Nel frattempo si era sviluppato il movimento socialista: quando nacque il fascismo Zeri aveva un sindaco socialista, Quinto Pedroni, che fu cacciato con la violenza e costretto a emigrare. Già nel 1898 un socialista pontremolese, Luigi Campolonghi, si era nascosto a Zeri per sfuggire alla polizia, e fu ospitato con generosità. La stessa ospitalità offerta, nel 1943, a Gordon Lett, ufficiale inglese fuggito da un campo di prigionia. L’orgoglio zerasco di poter sopravvivere da soli – sintetizzato nel motto “Zeri mangia del proprio pane e veste del suo pelo” – si combinava con una straordinaria sensibilità per l’accoglienza. A leggere le pagine scritte da Campolonghi e da Lett si resta stupiti e commossi. Così come leggendo le testimonianze dei tanti partigiani che sopravvissero solo grazie al sostegno degli zeraschi, e delle zerasche in primo luogo.

DA CHIESA DI ROSSANO A CHIOSO E A MONTELAMA
Inizio il mio giro nello Zerasco – ho e avrò sempre come guida l’amico Mauro Malachina, originario di Montelama – dalla valle di Rossano. Ho usato il termine “giro” perché Zeri è composto da varie conche che a loro volta danno vita a una più ampia conca: dal cui “giro” deriva forse il nome stesso del paese. Zeri non ha un centro con un castello, ecc., ma è un insieme di valli. Quella di Rossano, immersa nel verde, circondata da grandi monti sopra i mille metri – il più alto è il monte Picchiara –, è la valle più isolata. Ha un paesaggio molto bello, che dà un grande senso di pace. E’ sempre stata la valle meno frequentata, con alcuni piccoli aggregati che hanno un fascino particolare.
Il paese “preminente” sugli altri – anche se mai accettato dagli altri in questo ruolo – è sempre stato Chiesa, che aveva e ha la chiesa più importante, quella di San Medardo. L’edificio religioso, molto interessante all’interno con i suoi cinque altari, è oggi chiuso perché ha bisogno di un complesso restauro. I lavori, finanziati con il Pnrr, sono imminenti. Visito l’interno, molto interessante con i suoi cinque altari anche se svuotato in vista del restauro, grazie a Tarquinio Varesi, che risiede nel vicino paesino di Piagna. Mi è di aiuto la storia della chiesa raccontata dall’amico Paolo Bissoli nel suo recente libro in due volumi “Paesi di Lunigiana”.
Chiesa fu la base del Battaglione Internazionale, fondato da Gordon Lett nel maggio 1944. Lett stava nel palazzo degli Schiavi, dove dal dicembre 1943 al gennaio 1944 alloggiarono i fascisti che diedero inutilmente la caccia a lui e al capo partigiano che operava nella zona, Franco Coni. I fascisti e i nazisti si accanirono sul palazzo nei due rastrellamenti dell’agosto 1944 e del gennaio 1945. Oggi ne restano le rovine, interamente coperte dai rovi. Ogni volta che vado, le rovine sono sempre più una macchia impenetrabile.
Mauro mi conduce nei luoghi dove morì, ucciso dai fascisti del presidio di Coloretta, Il giovane partigiano di Campiglia Aristide Galantini, che era con Franco Coni. Era il 12 aprile 1944. Da quel giorno, racconta Lett in “Rossano”, l’odio dei rossanesi verso i fascisti divenne una questione anche personale. Poi passiamo nella stradina dove qualcuno sparò al partigiano Ottorino Schiasselloni, senza riuscire a ucciderlo (su di lui c’era una taglia di 50 mila lire). Schiasselloni, personaggio controverso, fi sempre protetto da Lett. Arriviamo poi nel luogo dove da qualche anno è stato realizzato il monumento commemorativo all’“Operazione Galia”, una missione del S.A.S. (Servizio Aereo Speciale) delle forze armate britanniche, nella quale persero la vita sette membri dell’equipaggio di un aereo caduto il 27 dicembre 1944. Il monumento si trova presso l’ex scuola di Chiesa, costruita nel luogo dove furono fatti i lanci in quel 27 dicembre, e che ora appartiene a Brian, figlio di Gordon.
Vedo una vecchia insegna con scritto “Osteria”. Nel 1982, quando Giulivo Ricci scrisse “Zeri. Guida storico-turistica”, a Chiesa c’era un albergo-ristorante, un altro era nella vicina Paretola. “Ci andavamo a ballare – racconta Mauro – quante ragazze ho conosciuto lì!”. A Chiesa c’erano anche due macellerie, una bottega di alimentari, una rivendita di sale e tabacchi. E pure l’ambulatorio medico, ricorda Mauro, che lì veniva curato da bambino. Ora più nulla.
Visitiamo la piccola Paretola, dove c’è il pregevole oratorio di San Genesio, e poi Valle, dal paesaggio ancora agricolo, con l’oratorio dell’Assunta crollato e poi ricostruito. Al visitatore appaiono subito le due campane rimaste.
Saliamo al Chioso, dove c’è la chiesa – molto bella – di San Giovanni, il cui esterno potete ammirare nella foto in alto. Appare solitaria, in bella posizione, circondata dai prati. Sopra la porta, con i suoi stipiti di pietra, sta la data 1604. Ma l’edificio religioso c’era già almeno dal 1400. La facciata è molto semplice. Visitiamo l’interno grazie a Patrizia Figaroli. L’interno è intonacato, gli unici elementi decorativi sono dell’abside, che presenta lesene e cornicione alla volta a botte con lunette e alla semicupola. Ci sono interessanti statue in legno.
Patrizia appartiene a una casata storica di Zeri, presente già nel 1400. Da proprietari terrieri sono diventati allevatori. Lei è una delle donne pastore di Zeri di cui scrissi qualche anno fa nella rubrica “Luci della città” (“Piedi piantati a terra… ma la testa nel mondo”, 11 agosto 2019). L’idea della cooperativa di comunità “Valli di Ziri” di cui scrissi allora – l’obiettivo era sviluppare una filiera corta locale legata alla pecora e alla valorizzazione delle biodiversità locali – ha purtroppo conosciuto grandi difficoltà. Ma Patrizia non si arrende. Possiede bei pascoli, con pecore, vacche, cavalli. Fa un ottimo formaggio. E’ una realtà importante, ma troppo isolata. Ecco il suo racconto:
“Avevamo un consorzio, si è sciolto, c’erano troppe spese. Prima eravamo 22 allevatori, compresi i piccoli. I piccoli stanno chiudendo. Con le pecore zerasche siamo rimasti una decina. E’ un’ingiustizia. I branchi di lupi fanno tanto male, ormai attaccano anche i bovini. E’ difficile gestirli con i cani, comportano problemi, mangiano tanto e costano. I risarcimenti sono ridicoli, pretendono di vedere le carcasse delle vittime ma i lupi mangiano tutto! La Regione Toscana ci dà un po’ di crocchette per i cani, ma al gusto salmone e agnello! Non le abbiamo più prese per protesta. Se arretrano i pascoli, viene avanti il bosco, inesorabile, e i paesi saranno sommersi dai rovi”.
Salendo ancora si arriva a Montelama, il nome adatto a un abitato che si estende su uno sperone di monte. Qui è nato Mauro, che spesso vi torna, nella casa di famiglia dove ancor di più si recano il fratello e la cognata. Ci eravamo portati un panino per il pranzo, non sapendo che erano in paese. Siamo fortunati, ci ospitano loro, offrendoci un pasto a base di ottimi funghi appena colti. Prima avevamo visto l’oratorio di San Bernardo e la targa che ricorda che durante la lotta di Liberazione Montelama era la sede del II° Battaglione della Colonna Giustizia e Libertà, al comando di Ermanno Gindoli. La casa dove ho pranzato era proprio quella dove abitava “Ermanno”. Abbiamo visto anche la casa dove viveva Salvatore Varesi, che con il suo mulo aiutava Lett e i paracadutisti inglesi. Era sede di un’osteria. “Quante partite a carte, mentre fuori nevicava”, ricorda Mauro. A Montelama c’era anche una macelleria. Ora, anche qui, nulla. Nei paesini vengono ogni tanto gli ambulanti con le loro merci.

Zeri, il prato alle pendici del monte Picchiara, già campo di aviolanci durante la Resistenza
(2023) (foto Giorgio Pagano)

IL MONTE PICCHIARA
Da Montelama facciamo una bella passeggiata a piedi nel verde, costeggiando il monte Picchiara e arrivando all’Alta via. Qui mi fermo ad ammirare il grande prato in cui c’era il campo di aviolanci degli Alleati durante la Resistenza (lo vedete nella foto in basso).
Ogni volta provo a immaginare lo spettacolo inconsueto di quella primavera-estate del 1944. Cesare Godano, partigiano azionista, così descrisse il campo del Picchiara:
“I grandi prati a pascolo che dalla linea di displuvio si abbassavano dolcemente e gradualmente fino all’inizio dei boschi […] erano invasi da una specie di città magica, fatta di un arcobaleno di colori, distribuiti senza ordine, qui più densi, là più radi, a comporre un quadro incredibile, stupefacente. Almeno un centinaio dei grandi paracadute recuperati dai lanci erano utilizzati come tende. […] L’effetto visivo era quello di una magica città orientale, dove una miriade di palloncini colorati galleggiano su un mare, che qui era il verde sui prati”.
E ogni volta penso a Carmen Bisighin – la partigiana più bella, di cui tanti si innamorarono – immortalata in una fotografia proprio sul campo del Picchiara.

PENSIAMO A TUTTI I PAESI, NON SOLO AI BORGHI TURISTICI
Si parla tanto di rivitalizzare le aree interne. Ma mi convince sempre meno un’impostazione basata sul solo turismo, e non sulle persone che ci abitano. Concordo con le analisi del gruppo di studiosi autori di “Contro i borghi. Il Belpaese che dimentica i paesi”. Vedo sempre più politiche pubbliche lontane dalle persone dei luoghi. Mi ha molto deluso l’impostazione del Pnrr. Chi parla più, in questa parte d’Italia così trascurata, di sanità, assistenza, trasporti, scuola? Di politiche di sviluppo sostenibile per l’agricoltura, l’allevamento, l’artigianato? Manca una pianificazione condivisa e partecipata, con l’obiettivo che queste terre siano abitate in termini nuovi. Si concentra il grosso delle risorse su poche aree fortunate, le cosiddette “eccellenze”. Mi sono stufato delle “eccellenze”, vorrei che si parlasse di come ricostruire l’”ordinario”, a Chiesa, a Chioso, a Montelama… Facendo reti tra i Comuni. Sono luoghi forse non da cartolina, ma carichi di senso per chi vuole restare e chi vuole tornare. Luoghi possibili di vita e di lavoro. Bisogna ripartire da qui, dall’orgoglio di coloro che vogliono abitare nelle Terre Alte, dalla loro vivacità, dai loro desideri.
Scrive nella sua raccolta di poesie “La terza geografia” il giovane poeta e agronomo Carmine Volantino Mosesso, parlando del suo paesino in Alto Molise:

“Deve esserci qualcosa di impensato
a tenerli così mutevolmente vivi,
il talento di qualche dio locale
delegato a rianimarli”.

Post scriptum:
Chi vuole approfondire le figure e le vicende della Resistenza citate nell’articolo può consultare il “Dizionario online della Resistenza spezzina e lunigianese” sul sito www.associazioneculturalemediterraneo.com

Giorgio Pagano

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