Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
All’incontro interverrà Giorgio Pagano, curatore dell’opera e autore di una postfazione e di …

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Perchè la politica sta perdendo se stessa

a cura di in data 7 Ottobre 2016 – 08:26
il Tino, il Tinetto e Tellaro    (2011)    (foto Giorgio Pagano)

il Tino, il Tinetto e Tellaro (2011) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 2 ottobre 2016

LA POLITICA E’ DIALOGO
Per la prima volta ho visto all’opera dal vivo un dirigente “renziano”. Non partecipo a riunioni di partito da molti anni, e non vedo i talk show. Quindi finora i “renziani” li avevo solamente letti sui giornali.Nemmeno sui social, dato che io non ci sono. La prima volta è stata venerdì scorso a Pontremoli, dove il Pd, d’intesa con il Comitato lunigianese per il No al referendum, mi ha invitato a un dibattito sulla proposta di riforma costituzionale: io a sostegno del No, Dario Parrini, deputato e segretario regionale del Pd, renziano della prima ora, a sostegno del sì. Non lo conoscevo,ma devo dire che alcune cose mi hanno colpito favorevolmente: è laureato, in un’epoca in cui i politici rinunciano agli studi perché puntano solo a far carriera; è persona di una certa cultura, fatto raro in un mondo politico che ha di fatto abrogato i libri; sembra credere in quello che dice, quando molti, invece, rinunciano alle proprie idee per opportunismo e per piaggeria verso il capo. Naturalmente non ero d’accordo con lui su quasi nulla, ma questo è un altro discorso. Ciò che mi ha colpito negativamente, invece, è una certa arroganza, un’incapacità al dialogo. Non tanto con me, quanto con le persone che hanno preso la parola nel dibattito. Quando un cittadino ha fatto una domanda su come la proposta di riforma costituzionale possa migliorare la drammatica situazione sociale delle persone, di fronte alla sua perplessità per una risposta assai generica, il dirigente renziano è sbottato: “lei ritiene la mia risposta insufficiente, io considero la sua domanda insufficiente, chiudiamola lì”. Mi sono venute in mente le mie tante assemblee da Sindaco, quando, di fronte a critiche molto più dure e pesanti, riuscivo quasi sempre-o quantomeno ci provavo con tenacia-a ritessere la tela del confronto e dell’avvicinarsi dei punti di vista. La politica è dialogo, partecipazione, coinvolgimento, ricorso alla parola anziché alla forza, ascolto, compromesso, mediazione: altrimenti perde se stessa. Certamente la “colpa” di questa perdita non è solo personale di Parrini, ma è più generale, è dello “spirito del tempo”: così fan tutti. Anche a Spezia: tempo fa lessi che il Sindaco,in un’assemblea pubblica sulla chiusura della scuola materna di via Firenze, rispose a una signora con opinioni diverse dalle sue in questo modo: “Signora, quando farà il Sindaco faremo come vuole lei”. Naturalmente il Sindaco fu poi costretto a fare marcia indietro, e la scuola materna non è stata chiusa: perché la politica dell’uomo solo al comando, incapace di dialogare, non porta da nessuna parte.

LA COSTITUZIONE E’ UN PATTO SOCIALE DI CONVIVENZA
Nel dibattito di Pontremoli la questione della concezione della democrazia è emersa in modo nettissimo come la vera questione che divide il Sì e il No. Mi riferisco innanzitutto al metodo con cui la proposta di riforma è stata varata: una maggioranza che alle ultime elezioni ha preso il 25% dei voti, corrispondente a poco più del 15% degli elettori, non ha ricercato un risultato più largamente condiviso, ma è andata avanti a colpi di fiducia, riducendo drasticamente le discussioni in Parlamento, perfino sostituendo alcuni membri della Commissione Affari costituzionali, perché non seguivano la linea governativa.Ma tutto ciò danneggia la Costituzione, la sua credibilità come casa di tutti. Io arrivo a sostenere che una revisione operata in questo modo -quali che siano i suoi contenuti, anche i più condivisibili- merita comunque di essere respinta. Perché, se passasse, la Costituzione non sarebbe più la stessa: non avrebbe più lo stesso prestigio. Come ha scritto Luigi Ferrajoli, giurista, allievo di Norberto Bobbio, “le Costituzioni valgono anche per il carattere evocativo e simbolico del loro momento costituente, quale patto sociale di convivenza”. Se la proposta di nuova Costituzione passasse, sarebbe comunque concepita da molti italiani come il frutto di un colpo di mano, di un atto di prepotenza e prevaricazione sul Parlamento e sulla società italiana. Sarebbe la Costituzione non della concordia ma della discordia: della rottura del patto implicito in ogni momento costituente. Mi fermo qui: concordo con quanto scritto da Alberto Scaramuccia su questo giornale (“Che fine faranno i famosi partiti dell’arco costituzionale?”, 28 settembre 2016) e rimando a un mio precedente articolo in questa rubrica (“La democrazia svuotata, Fra Diavolo e la gente che fa la storia”, 5 giugno 2016 ).

Fezzano, Chiesa di San Giovanni Battista: Giuseppe Tori, Madonna del Carmine e i Santi Anna ed Erasmo    (2012)   (foto Luca Fregoso)

Fezzano, Chiesa di San Giovanni Battista:
Giuseppe Tori, Madonna del Carmine e i Santi Anna ed Erasmo
(2012) (foto Luca Fregoso)

DEMOCRAZIA PLEBISCITARIA E DEMOCRAZIA PARLAMENTARE
C’è poi il merito della proposta di riforma. Ne ho scritto più volte, rimando alla mia ultima riflessione su “Città della Spezia”: “Referendum, tutte le difficoltà di Renzi” (9 settembre 2016). Insisto sul punto di fondo: con il combinato disposto legge elettorale-riforma costituzionale il nostro ordinamento si orienterebbe di fatto verso un “premierato assoluto”. L’Italicum trasformerebbe il voto al partito del leader in un’investitura quasi diretta del premier e la proposta di nuova Costituzione eliminerebbe il Senato come potenziale contro-potere esterno della Camera senza prevedere efficaci contro-poteri interni. Col duplice rischio, connesso all’uomo solo al comando, di produrre eccessivi squilibri di rappresentanza e di condizionare i poteri del Presidente della Repubblica. La differenza fondamentale è tra questa concezione della democrazia, plebiscitaria e verticale, e un’altra sua concezione, parlamentare e orizzontale. La concezione plebiscitaria e verticale, che i suoi sostenitori chiamano della democrazia “decidente” o “governante”, è già in atto: il dominio del Governo sul Parlamento e del capo sul partito ci sono già. Con l’Italicum e la proposta di riforma costituzionale il processo in atto viene rafforzato, con l’obbiettivo dell’affermarsi definitivo del plebiscitarismo e della passività politica dei cittadini. Contro questa prospettiva c’è un unico programma alternativo: il ritorno alla Costituzione del 1948 e la sua attuazione.
Nel dibattito pontremolese mi ha preoccupato la convinzione del mio interlocutore che solo la concentrazione del potere possa farci uscire dalle difficoltà del presente. L’ossessione dell’obbiettivo della governabilità, da raggiungere attraverso artifici legislativi che impongano per legge un bipolarismo che non c’è più. In una parola: la mancata consapevolezza dei doveri della politica.
Il bipolarismo si è frantumato in tutta Europa, in Francia come in Spagna, perfino in Germania: e questo non è stato impedito da nessun sistema elettorale. Bisogna uscire dalle difficoltà con la forza e la responsabilità della politica, non dando la colpa alle istituzioni. Nel resto d’Europa non ci si inventa una legge elettorale per mettere le brache al sistema politico. Guardiamo alla frantumazione del bipolarismo italiano: è una questione cheriguarda la politica, non si può pensare di risolvere il problema con la legge elettorale. Il problema è che il bipolarismo non c’è più nel Paese, nelle sue culture politiche, nella società. Dopo Berlusconi, destra e sinistra si sono decomposte. Non possono riaddensarsi con un algoritmo come l’Italicum. E’ fallita la “rivoluzione conservatrice”, ma anche la “rivoluzione socialdemocratica”. E nel vuoto è comparso il terzo polo, il M5S. Dopo la prima Repubblica, è finita anche la Seconda, quella del maggioritario in cui si contrapponevano berlusconismo e antiberlusconismo. L’Italicum e la proposta di riforma costituzionale tentano di tenere ancora in vita la Seconda Repubblica, ma è accanimento terapeutico. Io so cosa significa governare con il consenso: sono stato eletto due volte Sindaco al primo turno con il 60% dei voti quando votava oltre il 70% dei cittadini. Ma oggi? Si può governare -e non un Comune ma una grande nazione- con il 25-30% dei voti mentre l’astensionismo dilaga? Non si è messo in moto un treno che, chiunque vinca le elezioni, rischia di andare a sbattere contro un muro? Il No ci serve per impedirlo, per chiudere una fase e cominciarne un’altra. Come sarà non lo so, l’importante è ripartire dai valori e dalla forma di governo della Costituzione del 1948.

LA POLITICA E’ RAPPRESENTANZA DELLE PERSONE E DELLA SOCIETA’
Una cosa che servirà nella nuova fase, però, credo di saperla. Ci servirà saper dialogare, ascoltare, suscitare la partecipazione popolare: cioè il senso stesso della democrazia.La concezione che sta dietro alle riforme è sbagliata proprio per questo: perché ritiene che chi ha il potere lo debba avere da solo, e che non debba perdere tempo a confrontarsi e a discutere con altri. Serve una rifondazione dal basso della politica. Serve indagare la nuova realtà popolare, che conosciamo e comprendiamo poco. Per poterla rappresentare. Ricordo che in un mio viaggio a Cracovia incontrai gli esponenti del sindacato Solidarnosc, che era stata la forza principale di opposizione al regime del “socialismo reale” in Polonia. Mi raccontarono che Lech Walesa, quando non era ancora quello che divenne più tardi, cioè il capo di Solidarnosc, saltava sugli autobus per parlare alla classe operaia. Questa, vorrei dire a Parrini, al Pd ma anche a tutta la “sinistra” nel Pd e fuori del Pd, è la sinistra che manca. Mi viene in mente il treno pugliese per pendolari della tragedia di luglio: studenti, precari, camerieri, badanti, interinali, ragazzi di bottega… Tanti treni, un mondo molto distante dalla narrazione ufficiale del Paese che riparte, delle start up… Vado spesso a Firenze per lavoro, viaggio nei treni regionali. Le facce che credevamo estinte con la modernità avanzata stanno tornando. Basta scendere dall’auto blu o dal Frecciarossa per vederle. Walesa si comportava come un populista, qualcuno direbbe oggi: ma in pochi anni guidò il suo Paese verso la democrazia. Dobbiamo fare come lui, incontrare su quei treni lenti i viaggiatori lenti, gli umili e gli oppressi di oggi. Il problema di gran lunga principale della politica non è la governabilità ma la rappresentanza. Non ci saranno mai governi stabili e capaci di governare se non saranno espressione di forze politiche capaci di rappresentare le persone e la società. Io sono per il No perché nelle riforme che ci vengono proposte l’unico valore è la governabilità, e la rappresentanza è il nemico. Ma è un gravissimo errore restringere la rappresentanza proprio mentre viviamo la più grave frattura tra società e istituzioni della storia italiana. Tutta la piramide del potere si sta sgretolando sotto i nostri occhi: è la politica che perde se stessa. E’ la triste sorte di coloro che non hanno più il linguaggio della politica, cioè il linguaggio del dialogo e della rappresentanza.

Post scriptum: chi è interessato può leggere qui una mia nota che affronta i punti principali della proposta di riforma costituzionale.

icona-pdf Appunti sul referendum costituzionale

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