Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
All’incontro interverrà Giorgio Pagano, curatore dell’opera e autore di una postfazione e di …

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Una popolazione fiera che seppe reagire ai fascisti

a cura di in data 21 Agosto 2021 – 22:20

Il Secolo XIX nazionale, 21 luglio 2021 – All’alba del 21 luglio 1921 Sarzana era in stato d’allarme. Ancora nella primavera la città era immune dai fascisti. Alle elezioni politiche di maggio il Psi aveva avuto il 47% dei voti, il PCI il 13%. La Liguria era, per i fascisti, una nota dolente: sia per la forza dei “sovversivi” sia per l’atteggiamento delle autorità, che conducevano direttamente la repressione senza delegarla allo squadrismo. Diversa la situazione in Toscana, la regione in cui il fascismo raggiunse probabilmente il grado più elevato di violenza e di crudeltà. L’influenza del fascio toscano si fece sentire forte in quello spezzino. Sarzana era sempre più isolata. Le prime violenze accaddero il 12 giugno, poi il 17 luglio. La situazione cominciò a cambiare anche nel resto della Liguria: il 4 luglio i fascisti di Sestri Ponente assaltarono la Camera del Lavoro, mentre le forze dell’ordine li lasciavano fare.
Sarzana era un territorio difficile da “pacificare”: per la forza delle sue tradizioni politiche che si fondevano in una popolazione fiera, in una classe operaia tumultuosamente cresciuta e in un mondo contadino ribelle alla sua vita agra e dura. Dopo il 17 luglio la città aveva reagito. Era stato costituito, sotto l’impulso del Sindaco Arnaldo Terzi, un Comitato di difesa proletaria, formato da anarchici, comunisti, socialisti e repubblicani, che aveva preso accordi con le forze dell’ordine e aveva mobilitato come suo braccio armato gli arditi del popolo, un piccolo esercito capeggiato da ex militari, appartenenti alla piccola borghesia e di cultura dannunziana, i cui fanti erano invece proletari, giunti anche da Spezia e da Carrara. Il 18 luglio era stato indetto lo sciopero generale, mentre una delegazione guidata dal vicesindaco si era recata a Roma per incontrare il Presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi, che alla presenza dei delegati aveva dato per telefono disposizioni al Prefetto di Genova affinché “a qualunque costo i fascisti non entrassero a Sarzana”.

Ma le autorità di Massa, nella notte tra il 20 e il 21 luglio, non fermarono i fascisti toscani. Lo fecero, alla Stazione di Sarzana, i carabinieri al comando del capitano Guido Jurgens, e poi i contadini e i proletari. I morti furono in tutto sedici. Per due di essi si trattò di un omicidio macabro, frutto della “logica della folla” e della violenza contadina e proletaria, una vera “furia difensiva”.
Quelle vicende sono state ripercorse nei giorni scorsi nel convegno “Resistenza ante litteram. 1921-2021 A cent’anni dai ‘Fatti di Sarzana’”, organizzato da ANPPIA, Archivi della Resistenza, Museo di Fosdinovo e ANPI Sarzana. Storici e studiosi hanno convenuto: i “Fatti di Sarzana” dimostrano che il fascismo non era una forza inarrestabile. Non solo perché senza l’appoggio delle strutture dello Stato lo squadrismo non avrebbe potuto conquistare molto spazio, ma anche perché la strada dell’unità antifascista avrebbe potuto rappresentare una difesa efficace dalla violenza fascista. Jurgens sparò contro i fascisti, e lo poté fare non solo perché aveva ricevuto l’ordine da Bonomi ma anche e soprattutto perché aveva alle spalle il Comune, il Comitato di difesa proletaria, gli arditi del popolo.
Ma a Sarzana si chiuse anche un ciclo dell’antifascismo, che non ebbe mai più l’intensità del periodo febbraio-luglio 1921. Mussolini fece la mossa del patto di pacificazione con i socialisti. Ci fu la rivolta dei fasci contro il patto, che comunque Mussolini non rispettò. Per restare in Liguria, i mesi da agosto a novembre furono punteggiati da numerosi episodi, grandi e piccoli, di violenza: ancora a Sestri Ponente (29 luglio), a Cornigliano (2 settembre), nel centro di Genova (4 e 25 settembre), a Masone (13 settembre), a Propata (30 ottobre), ad Albissola Superiore (3 novembre), a Rivarolo (4 novembre), a Pegli (10 novembre), a Voltri (18 novembre). Mussolini seppe ricomporre il suo partito: convinto o meno che ne fosse, si convertì al “partito milizia”. Bonomi gettò la spugna. La crisi si avviava verso la conclusione, con la vittoria del fascismo. Anche a Sarzana: il Sindaco Terzi si dimise, il 30 luglio 1922 si tenne una grande manifestazione fascista, i fascisti stravinsero le elezioni amministrative del 1923.
Si ritrovò un ordine. La soluzione più facile ma anche la peggiore tra quelle storicamente possibili: il primo Stato totalitario europeo. Ma le identità politiche in conflitto, a Sarzana come altrove, non scomparvero affatto, nonostante la dittatura. La loro penetrazione di massa era profonda. L’antifascismo combatté anche nei momenti più duri. La Resistenza fu anche guerra civile in continuità con la radicalità dei conflitti degli anni 1919-1922. Memore della sconfitta, l’antifascismo seppe però costruire una vasta unità popolare. Dopo il 1921-1922 maturò e si trasformò. Ma è giusto riconoscere che in quei disperati giorni di Sarzana furono poste le premesse per la lunga lotta che seguì.

Giorgio Pagano

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