Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
All’incontro interverrà Giorgio Pagano, curatore dell’opera e autore di una postfazione e di …

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Sviluppo: Liguria elefante, ma può essere pantera

a cura di in data 29 Gennaio 2010 – 10:42

Il  Secolo  XIX – 29 gennaio 2010 – Mauro Barberis, su questo giornale, ha preso le distanze dai risultati della ricerca del Sole 24 ore sulla qualità della vita nelle province italiane: secondo lui la qualità della vita reale, almeno a Genova e a Trieste, è inferiore a quella indicata. Io penso che questa ricerca, giunta alla ventesima edizione, un valore lo abbia: perché, ben prima che si parlasse di “rottamazione” del Pil (Prodotto interno lordo) per la sua inadeguatezza a cogliere la vera ricchezza di un territorio, ha sempre cercato di andare oltre il reddito e di misurare lo sviluppo anche attraverso altri indicatori: dotazioni infrastrutturali, rapporto cittadini-pubblica amministrazione, ambiente, demografia, cultura…
Il Pil offre una dimensione significativa di un aspetto fondamentale dell’economia, il mercato. Ma non ci offre nulla su altri aspetti: il benessere, l’efficienza dei servizi, la giustizia sociale, lo stesso lavoro, poiché esclude l’attività fondata sul dono e il volontariato. Insomma, “il Pil è un indice falso e talvolta bugiardo”, come sostiene da tempo Giorgio Ruffolo: oggi il suo giudizio è diventato quasi       un luogo comune.
Il vero problema è come e con che cosa sostituirlo. Molti economisti e sociologi si sono cimentati sul problema dei nuovi indicatori del benessere collettivo: dall’indice Isu dei rapporti sullo sviluppo umano dell’Onu, alle raccomandazioni di Joseph Stiglitz e Amartya Sen frutto di una commissione voluta da Nicholas Sarkozy. In Italia, per le province, non c’è solo la ricerca del Sole 24 ore ma anche quella di Italia Oggi, con indicatori, e quindi risultati, diversi (sui quali Barberis si riconoscerebbe di più). Per le regioni abbiamo l’elaborazione del Quars (Qualità regionale dello sviluppo) da parte degli economisti di “Sbilanciamoci”, anch’essa con propri indicatori, e quella del  Centro studi sintesi.
Quest’ultima è interessante perché cerca di dare una risposta alla domanda chiave: “chi decide quali sono effettivamente i bisogni sociali fondamentali?” E’ un giudizio essenzialmente politico, che non può essere delegato agli esperti. La scelta del Centro desume le priorità e gli indicatori dalle opzioni politiche democratiche dell’Unione europea: gli obbiettivi di Lisbona, fissati nel marzo 2000 a conclusione del vertice europeo dei capi di Stato e di Governo.  L’Europa doveva diventare entro il 2010 più economicamente competitiva, più socialmente giusta, più ambientalmente sostenibile. Per raggiungere questi traguardi vennero fissati obbiettivi concreti, espressi attraverso indici e statistiche, che sono stati monitorati dal Centro dal 2006 ad oggi per valutare i progressi delle regioni italiane. Gli obbiettivi riguardano l’occupazione (tasso di occupazione generale, femminile e dei lavoratori tra 55 e 64 anni, età di pensionamento, assistenza all’infanzia per bambini 0-2 anni e 3-5 anni); l’innovazione (spesa in ricerca e sviluppo in % al Pil e quella finanziata dal settore industriale in % alla spesa totale); la coesione sociale (abbandono scolastico prematuro, completamento del ciclo di istruzione secondaria superiore, apprendimento lungo tutto l’arco della vita, popolazione a rischio di povertà); sostenibilità ambientale (elettricità prodotta da fonti rinnovabili).
Che cosa ci dice il monitoraggio? Che Emilia Romagna, Lombardia, Valle d’Aosta, Piemonte e Trentino sono le realtà più vicine ai target fissati dieci anni fa. E che la Liguria ha un discreto settimo posto: la distanza dagli obbiettivi di Lisbona è del 46,6% (la media italiana è del 54,4%). La nostra regione, inoltre, ha avuto una buona intensità di avvicinamento nel corso degli anni. Nel 2007 era tredicesima, con una distanza del 58,4%; nel 2008 undicesima, con una distanza del 52,9%.
A un modello di indicatori ispirato alle decisioni di Lisbona hanno lavorato anche due giovani economisti. Salvatore Monni e Alessandro Spaventa. Insomma, potrebbe essere davvero questo il modo per misurare correttamente il nostro benessere, oltre che per capire, alla luce degli scarsi  risultati della strategia di Lisbona, a che punto è l’Europa e che cosa l’Europa vuole realmente essere. Perché è già l’ora di pensare al 2020.
Il programma della campagna elettorale regionale potrebbe partire da qui. Uno “sviluppo a scala umana“ non può non essere il fondamento della Liguria del futuro. I dati dimostrano che si è lavorato molto nella direzione giusta;  ma ora serve quello scatto in più che può venire solo da un nuovo disegno strategico. Un altro studio recente, quello Rur-Censis “Metropoli per la ripresa. Il sistema urbano italiano al 2009”, attribuisce alle città liguri il nome evocativo di “elefanti”, cioè “città in transizione lenta”. Ci sono le condizioni perché esse  diventino “leoni” o “pantere”, per usare il linguaggio Rur-Censis. Continuare a cambiare il modello di sviluppo avendo come faro la strategia di Lisbona e i suoi aggiornamenti non potrà che aiutarci.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (rete città strategiche).

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