Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
All’incontro interverrà Giorgio Pagano, curatore dell’opera e autore di una postfazione e di …

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Prima di fare nuove case recuperare quelle sfitte

a cura di in data 8 Agosto 2009 – 10:26

Il  Secolo  XIX – 8 agosto 2009 – Abitiamo nella “città infinita”, dice il sociologo Aldo Bonomi. Una città che non ha più bordi definiti che la contengono. La città si è dispersa, e i vecchi concetti di centro e periferia non valgono più.  Le città si stanno espandendo sul territorio: aumenta la loro dimensione geografica e demografica, svaniscono i confini con la campagna e con le città contigue, sfuma il loro perimetro. L’urbanista Bernardo Secchi usa il termine “città diffusa”: “da qualche decennio -ha affermato- stiamo assistendo ad un passaggio epocale, l’emergere di una forte dispersione della città su territori di inusitata dimensione, il rapido formarsi di una città diffusa”. Una dispersione urbana che ha creato quella che il sociologo Paolo Perulli ha definito la “città sparpagliata” e che altri chiamano “sprawl”: un’espansione cioè “sdraiata”, priva di qualsiasi pianificazione. Un modello urbano invasivo che include al suo interno la città antica, quella moderna e le sue periferie, e che ha il suo tratto distintivo nelle villette unifamiliari. “Villettopoli” domina il nostro orizzonte visivo, interrotta qua e là da superstrade, svincoli, ponti, capannoni industriali, centri commerciali…
La città infinita, dispersa, sparpagliata dovrebbe essere studiata dagli economisti. Non è infatti un soggetto economico in equilibrio ma una fonte di costi che graveranno in modo insostenibile nel lungo periodo, per i servizi che implicano, i trasporti,  le opere di urbanizzazione.
Ma questa forma di città non è solo un aggravio di spesa, è una devastazione ambientale  inarrestabile, che divora il paesaggio. L’allarme è contenuto nel Rapporto annuale della Società Geografica Italiana: “Il disastro ai danni del paesaggio non sta tanto nello scandalo dei grandi abusi e dei mostri edilizi, quanto nell’erosione continua, quotidiana, che si manifesta sotto i nostri occhi e rischia di cancellare il confine tra città e campagna”. E’ il consumo del suolo, soffocato dal cemento: 3,5 milioni di ettari spariti in Italia negli ultimi cinquant’anni, un’area verde di boschi e terreni agricoli e per il pascolo grande come Umbria e Lazio messe assieme. 190 chilometri quadrati di superfici agricole invase dalle aree urbane ogni anno. Oggi, quindi, il paesaggio si difende nelle campagne. Lo ha ben spiegato Massimo Quaini, il docente dell’Università di Genova che ha coordinato il Rapporto, sul Secolo XIX: ”La sfida del paesaggio si gioca nell’entroterra, dobbiamo tornare a valorizzare le zone rurali”. La varietà dei paesaggi italiani sopravvive nei paesaggi rurali tradizionali rimodellati da una rinnovata agricoltura contadina, dove gli attori sono i nuovi agricoltori che stanno ripopolando le campagne con una consapevolezza paesaggistica che mancava alle generazioni precedenti.
E’ in questo contesto che bisognerebbe parlare del “piano casa”. La prima bozza del Governo obbediva all’ideologia berlusconiana del superamento di qualsiasi vincolo, più o meno giustificato, e prefigurava un pericolosissimo condono preventivo che avrebbe causato nuovi scempi nel territorio. Poi c’è stato l’accordo Governo-Regioni, con la novità dell’aumento delle volumetrie in caso di demolizione e ricostruzione vincolato a interventi di riqualificazione energetica (risparmio e fonti rinnovabili). Un vincolo indispensabile, perché oggi il consumo energetico del nostro patrimonio immobiliare incide per il 40% dell’energia consumata in un anno nel Paese. Ma l’accordo è a maglie larghe, e tutto dipenderà dalle concrete normative regionali.
Mentre finora si era parlato di recupero, ristrutturazione e ampliamento di case private già esistenti, qualche giorno fa c’è stato un nuovo annuncio del Presidente del Consiglio: l’utilizzo di 200 milioni, su 550 già stanziati dal Governo Prodi e subito bloccati dal nuovo Governo, per costruire in cinque anni 100.000 nuove case economiche e per l’affitto, destinate ai ceti meno abbienti. In una situazione in cui, spiegano enti locali, associazioni degli inquilini e dei costruttori, l’esigenza è di dieci volte tanto: un milione di nuove case. La vera emergenza abitativa è quella dell’edilizia sociale. Da noi le case in affitto sono il 18,3% del patrimonio abitativo, mentre in Germania sono il 57,35, in Olanda il 47,3%, in Francia il 40,7%.
Il grande problema è allora quello dare una risposta al dramma della casa per famiglie a basso reddito, lavoratori che vorrebbero spostarsi per lavoro fuori dalla propria città, giovani coppie, anziani soli, sfrattati, immigrati facendo i conti con l’altra emergenza, quella ambientale e paesaggistica, delle città che continuano a crescere divorando i suoli.
Il modo c’è: in Italia vi sono più alloggi (30.480.0009) che famiglie (24.310.000). Il doppio di stanze rispetto alle persone. L’ultimo censimento registrava quasi cinque milioni e mezzo di abitazioni vuote, una  casa ogni sette a Roma. Come ha scritto l’urbanista Stefano Boeri sulla Stampa, “siamo ancora in tempo a capire che senza una politica che si occupi con forza e ostinazione di recuperare alla vita quotidiana le migliaia e migliaia di vani oggi disabitati, ogni previsione di nuova edilizia residenziale assume dei toni caricaturali e addirittura minacciosi”. Con una seria politica di rivitalizzazione delle abitazioni sfitte o abbandonate i cittadini bisognosi troverebbero una casa, i proprietari impauriti da un sistema d’affitto sregolato affitterebbero a prezzi calmierati, l’industria edilizia si rilancerebbe senza creare deserti di cemento nelle nostre campagne. E’ una delle sfide più importanti di un riformismo di sinistra che riparta dalla giustizia sociale, dal lavoro e dall’ambiente.

Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).

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