Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
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Il PD, la questione morale e il diritto che non c’é

a cura di in data 17 Dicembre 2008 – 10:26

Il  Secolo   XIX – 17 dicembre 2008 – Il Presidente Giorgio Napolitano ha lanciato l’allarme: c’è, nella vita politica italiana, una questione morale che va affrontata. E’ un tema che gli sta a cuore da tempo. Tra i ricordi più cari ho una sua lettera del luglio 2005, in risposta ai miei auguri per i suoi 80 anni. Contiene parole molto preoccupate sull’ impoverimento culturale e morale della politica, anche di quella dei partiti di centrosinistra, e il richiamo alle pagine di Thomas Mann : “mai dovrebbe la politica spogliarsi della sua componente ideale e spirituale, della parte etica e umanamente rispettabile della sua natura”. La lettera mi è tornata in mente mentre leggevo l’intervista di Gustavo Zagrebelsky, ex presidente della Corte Costituzionale, al Corriere della Sera dal titolo “Corruzione a sinistra, cacicchi scatenati”.
L’intervista contiene due tesi. La prima è che “il volto demoniaco del potere” è ormai diventato l’altra faccia della politica, anche del Pd. “E’ una questione di antropologia politica -sostiene Zagrebelsky- perché le leggi della politica sono ineluttabili. La politica corrompe perché stabilisce delle relazioni basate sul potere. Nel caso meno peggiore si tratta di relazioni non trasparenti, di dipendenze, di clientele. Nel peggiore dei casi, invece, si tratta di vere e proprie relazioni criminali”.
La politica ha certamente  “un volto demoniaco”. Sono stato nella politica tutta la vita e ho lasciato i suoi luoghi “tradizionali”, cercando di esplorare strade nuove, anche per questo. E tuttavia sono convinto, nonostante tutto, che la politica “non è una cosa insana in sé”, come  ha scritto Luciano Violante sul Riformista. A patto, aggiungo, che non si separi dalla sua componente ideale e spirituale, dalla sua parte etica, per usare le parole di Thomas Mann. La politica corrompe quando, come troppo spesso avviene, si separa dall’etica. Ma c’è anche una politica che ha degli ideali e un’etica e che, tutti i giorni, li fa vivere mettendosi al servizio degli altri. L’ amministratore locale sta forse nel luogo più adatto perché questa politica al servizio dei cittadini si manifesti: in nessun altro luogo il rapporto con le persone è così forte e la politica è così controllabile. La grande maggioranza degli amministratori del Pd è onesta, non ho dubbi. Ma è vero ciò che scrive Walter Veltroni sul Corriere: in molte realtà ci sono opacità, zone grigie tra amministrazione e affari, professionismo politico cinico e arrogante. Bisogna domandarsi il perché.
Qui veniamo alla seconda tesi di Zagrebelsky: il Pd è causa della questione morale perché la mancanza di una guida nazionale autorevole ha scatenato i potentati locali, i cacicchi, e perché è mancato il ricambio generazionale. Il problema della leadership esiste, ma è parte integrante di un problema più grande: quello del partito. Un partito che va costruito sul piano politico-culturale. Un partito con una coesione progettuale unitaria, quella di un nuovo riformismo non più subalterno al neoliberismo, e che non si riduca a un assemblaggio di correnti impegnate in un gioco autodistruttivo. La questione morale è quindi questione politica: è figlia della mancanza di un principio di appartenenza e di una comune lettura della società, di un’impasse politica e della disgregazione che ne deriva: quello sfrangiamento del partito in fazioni, gruppi e sottogruppi il cui operato politico finisce spesso per separarsi dall’etica. Il “doveroso rigenerarsi del Pd” di cui parla il Presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi nell’intervista alla Repubblica passa quindi da un autentico confronto democratico sulle idee di fondo e le prospettive politiche del Pd. Non basta, insomma, qualche capro espiatorio.
La denuncia di Zagrebelsky della mancanza del ricambio generazionale, infine, è giusta. Tanti cinquanta-sessantenni non fanno altro che parlarne ma sono sempre al loro posto (Zagrebelsky direbbe che nessuno è generoso in politica…).  Tuttavia, nonostante tutto, il ricambio è cominciato in molte realtà: ma è avvenuto per cooptazione dall’alto, e non per merito. Quindi con la tendenza a replicare i vecchi modelli di comportamento. Perché? E  come si può evitare? Non bastano le dichiarazioni di buone intenzioni, bisogna andare alla radice. Cioè alla deriva personalista delle leadership in tutti i partiti, compreso il Pd. E’ un processo che ha condotto a poteri enormi in mano a pochi e a un azzeramento della vita democratica interna: l’ assemblea costituente nazionale e quelle regionali  sono state elette nelle primarie ma con liste bloccate, per trasferire nel nuovo partito le due oligarchie di Ds e Margherita; la direzione nazionale è stata nominata dal segretario d’intesa con i capicorrente, idem i parlamentari, e così via. Ciò ha causato, nei giovani, l’idea che il futuro sia nell’essere cooptati. E ha portato all’abbandono per sfiducia di tanti. E’ in questo contesto che la politica  si separa più facilmente dall’etica. Il Pd, quindi, deve ripensare urgentemente la sua “forma-partito”, con l’obbiettivo di costruire un partito che svolga nel territorio anche un ruolo di selezione democratica  e di controllo sulle elite amministrative e politiche. Le risorse nascoste non mancano: donne  e giovani, che devono farsi avanti, proporre idee e mostrare quel che valgono. Sapendo che poi c’è la prova del consenso. Ma il Pd dovrebbe avere il coraggio di guardare anche fuori da sé: ai luoghi sociali dell’impegno, a quelle che don Virginio Colmegna, sacerdote impegnato nella Caritas, chiama “cellule locali del confronto culturale e  della solidarietà”. Perché la cassetta degli attrezzi che danno gli assessorati o i circoli di partito non basta a capire la complessità della società e le ricerche del senso del vivere che la pervadono. E non basta per una politica che ami il respiro lungo del futuro.

Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).

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