Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
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Il Made in Italy faccia rotta sul Sud Mediterraneo

a cura di in data 26 Maggio 2009 – 10:44

Il Secolo XIX 26 maggio 2009

La costa sud del Mediterraneo è, subito dopo la Cina, l’area emergente del mondo che attrae più investimenti dall’estero. Dal Marocco alla Turchia i nostri vicini di casa si sono trasformati in una zona ad alta crescita, che ha visto sestuplicarsi in sette anni gli investimenti dall’estero: 60 miliardi di dollari nel 2006, poco meno della Cina, più del doppio dell’America Latina.

Eppure non c’è la consapevolezza diffusa che si tratta di una zona di sviluppo impetuoso: abbiamo una percezione del Mediterraneo che non è quella reale. A stimolarci verso una percezione giusta contribuisce lo studio del Censis “Mediterraneo prossimo venturo”, elaborato in collaborazione con la Federazione del Mare e presentato qualche giorno fa in occasione della Giornata Europea del Mare.

Lo studio si chiede se lo sviluppo di questi anni continuerà ad avere un futuro e propende per il sì: la tesi di fondo è “il rinnovato protagonismo del Mediterraneo all’indomani della crisi”. Tre le ragioni: molte idee produttive e opportunità di scambio prima non prioritarie ora lo sono diventate, in primis le energie alternative alla monocultura del petrolio, dal gas al sole, di cui il Mediterraneo è ricco; la portata globale della crisi spinge all’integrazione, e quindi all’incontro delle civiltà e al multiculturalismo, e a riattivare processi di partenariato con al centro il Mediterraneo; diversi flussi di interessi economici da parte dei Paesi più avanzati avranno sempre più nel Mediterraneo l”area magnete”.

La rinascita del Mediterraneo sud rappresenta un’opportunità straordinaria per l’Italia. Siamo abituati a guardare all’altra riva del mare nostrum come all’area dell’immigrazione clandestina e del fondamentalismo islamico, e non sappiamo vedere un’altra evoluzione in corso, così virtuosa per noi.

Non che non ci siano, in quei Paesi, enormi problemi sociali ed arretratezze. Ma c’è anche, ricorda il Censis, un dinamismo positivo: cresce la popolazione e i giovani, con la loro voglia di crescita, sono numerosi, ma in un quadro di contrazione della fertilità; progredisce il Pil ma anche gli indici dello sviluppo umano, l’istruzione -specialmente femminile- in primo luogo. Come spiegano Youssef Courbage e Emmanuel Todd nel loro “L’incontro delle civiltà”, i Paesi musulmani stanno vivendo un cambiamento radicale: la diminuzione del tasso di fecondità e l’aumento dei livelli di alfabetizzazione di uomini e donne sono sconvolgimenti che stanno portando alla modernizzazione dell’islamismo e a una convergenza planetaria che esclude lo scontro tra civiltà.

E i nostri imprenditori? I fatti dimostrano che sono stati lungimiranti: le imprese italiane in quei Paesi sono oltre mille, impiegano 88.000 addetti e hanno un fatturato superiore a 10 miliardi di euro. Già oggi l’area Mediterraneo sud e Golfo Persico assorbe quasi un decimo delle nostre esportazioni: più di quello che vendiamo negli Stati Uniti. Ed esportiamo nella sola Turchia più di quanto si esporti in Cina. Il Censis parla di “mondializzazione del prodotto italiano”, che “intercetta con scaltrezza il progressivo ingresso di nuovi Paesi nell’arena del commercio mondiale”. Nel primo trimestre del 2008 le vendite di made in Italy nel Mediterraneo sono cresciute del 23% rispetto all’anno precedente, quelle verso la Germania e la Francia sono salite solo del 2,7% e del 4%. In Egitto il made in Italy ha aumentato il valore esportato, tra 2005 e 2007, del 60%.

L’Italia deve quindi, per superare la crisi, “accentuare la direzione meridionale delle esportazioni”. E’ la tesi anche di Carlo De Benedetti e Federico Rampini, che dedicano al Mediterraneo un capitolo del libro “Centomila punture di spillo”: “il Mediterraneo si candida a diventare la nuova frontiera del made in Italy”.

Tra le grandi direttrici della nostra azione in quell’area il Censis si sofferma in particolare sulle infrastrutture, indispensabili per migliorare relazioni e scambi sia nella dimensione sud-sud che in quella nord-sud, collegata a sua volta ai corridoi est-ovest. De Benedetti e Rampini insistono anche su cultura-istruzione e su ambiente-energia. Sono le stesse priorità di investimento indicate dal documento istitutivo dell’Unione per il Mediterraneo.

Un forte impulso all’integrazione tra le due sponde potrà venire, conclude lo studio, dalla cooperazione politica, stimolata da un comune senso di appartenenza all’area mediterranea. Dalla capacità di cooperare politicamente dipenderà se il Mediterraneo sarà un fossato che separa o un ponte che unisce. Da questo punto di vista un certo pessimismo è obbligato: “non è ancora possibile considerare questo mare come un insieme, trascurando le fratture che lo dividono -dice il grande studioso Predrag Matvejevic- , le sue rive purtroppo al momento hanno in comune poco più che le loro insoddisfazioni”. Pensiamo al dramma del Medio Oriente, dove la creazione di uno Stato palestinese non è all’ordine del giorno, come ha detto Bibi Netanyahu a Barack Obama. O ai disperati delle carrette del mare: ci manca non solo la capacità di integrazione ma anche la consapevolezza dell’opportunità da cogliere, per un Paese che sta invecchiando e ha bisogno di giovani che vengano da noi a studiare, a lavorare, a intraprendere.

La politica non deve arrendersi al pessimismo, e rilanciare la cultura del dialogo e dell’incontro. Ma gli elementi ideali della politica, per attuarsi, devono trovare il modo di sposarsi con degli interessi. Lo studio del Censis è utile perché ci ricorda che fare del Mediterraneo un ponte che unisce è anche una necessità che sgorga dalla forza dell’economia.

Sono considerazioni che valgono anche e soprattutto per la Liguria. Le nostre relazioni euromediterranee sono rilevanti ma frammentate: servirebbe una strategia comune, elaborata da un centro di coordinamento e di regia unitaria. Che andasse oltre il livello regionale e coinvolgesse tutto il nord ovest del Paese. L’identità euromediterranea è la vera identità della Liguria, che viene dal profondo della storia e va portata nel futuro.

Giorgio Pagano

L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche)

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