Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
All’incontro interverrà Giorgio Pagano, curatore dell’opera e autore di una postfazione e di …

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Demografia, la Liguria scommette su se stessa

a cura di in data 29 Giugno 2008 – 18:33

Il  Secolo  XIX – 29 giugno 2008 – La Liguria è un laboratorio per studiare la dinamica demografica in un’epoca di bassissima fecondità e di accentuata longevità. Siamo infatti la regione che registra contemporaneamente i livelli di fecondità più bassi e la percentuale di popolazione anziana più alta rispetto alle altre regioni: 1,15 figli per donna contro l’1,33 nazionale e una quota di anziani del 26,3% della popolazione contro il 19,2% nazionale. I liguri sono scesi da poco più di 1,7 milioni nel 1985 a quasi 1,6 milioni nel 2005(-19%). La previsione è di una riduzione fino a 1,4 milioni nel 2025.
E’ un bel banco di prova per la politica, soprattutto per il centrosinistra, che deve operare, di fronte alle trasformazioni, una rivisitazione del patrimonio di idee con cui ha governato in questi anni.
Innanzitutto serve un impegno per far fronte al maggior numero di anziani. Ciò significa migliorare il livello delle strutture sanitarie e dei servizi di assistenza e cura. Ma anche considerare gli anziani una risorsa: c’è una nuova frontiera economica rappresentata dalle attività per e con gli anziani che stanno bene, hanno relazioni sociali, desiderano servizi per il tempo libero. Una società che invecchia, insomma, non è necessariamente una società “invecchiata”.
Serve, però, anche un impegno per invertire il calo demografico: il problema è quello della riduzione della presenza dei giovani e, quindi, della contrazione della forza lavoro nei prossimi decenni. L’invecchiamento creerà, a lungo andare, delle grosse falle nell’ammontare della popolazione attiva e nell’indispensabile immissione di giovani nel mondo del lavoro: con il trend attuale nel 2025 perderemo un sesto della forza lavoro. I problemi sarebbero seri per la struttura produttiva e soprattutto per il reddito e il benessere sociale.
Le ricette sono note: far crescere nuove famiglie e più bambini, con una maggiore attenzione al welfare; “tenere” i giovani, con la crescita della base produttiva; e attrarre giovani da fuori, aumentando la popolazione immigrata.
La terza ricetta è meno condivisa: eppure una condizione fondamentale per la ripresa demografica e quindi economica della Liguria è proprio l’immigrazione.  La popolazione straniera negli ultimi anni è cresciuta ma con valori modesti rispetto ad altre realtà più dinamiche del Nordovest e del Nordest. Come ha scritto Paolo Arvati, ”è questo il dato che deve preoccuparci di più, molto di più del rischio di<invasioni> che da noi peraltro appaiono piuttosto contenute”. Così come dobbiamo preoccuparci del fatto che la nostra immigrazione è a basso e non ad alto livello professionale (tecnici professionisti, imprenditori). La Liguria deve comprendere nel suo corredo morale e politico sia la pretesa di garantire l’ordine civile e la sicurezza sia quella di saper essere ospitale e tollerante. Aprire agli immigrati vuol dire aprirsi a energie e capacità nuove, contaminandole con il meglio della propria tradizione; vuol dire -come le città liguri sono state nei secoli scorsi in grado di fare- rinnovarsi dal punto di vista demografico, occupazionale, sociale. E’ decisivo, allora, riuscire a fare in modo che il migrante quindicenne di oggi non diventi tra cinque o dieci anni lo spacciatore del ghetto ma un giovane competente e creativo. Così come è decisivo che l’Università sia un grande polo attrattivo: l’ateneo genovese, nonostante i buoni piazzamenti attribuiti dal Censis, è ancora un ateneo provinciale, con in più il basso Piemonte e con in meno La Spezia e parte del ponente. Eppure è posto al centro del Mediterraneo. Ancora: è decisivo che la nostra industria high tech, il nostro sistema sanitario e così via si aprano agli stranieri. (Quasi) tutti piangono per la miseria delle risorse umane, per la mancanza di personale qualificato, ecc ecc. E allora? Che aspettiamo a spremerci le meningi e ad aprire una discussione coraggiosa, senza provincialismi e schemi precostituiti? La partita è decidere se vogliamo essee la Liguria impaurita, chiusa, egoista o la Liguria moderna e dinamica dell’apertura al mondo e dell’accoglienza responsabile. Una regione che scommette sul suo futuro.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale allo sviluppo nell’Anci  (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).

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