Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
All’incontro interverrà Giorgio Pagano, curatore dell’opera e autore di una postfazione e di …

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Per un mare di pace. Riconvertiamo SEAFUTURE – No alla mostra Militare-Navale: riconvertiamo SEAFUTURE 2023 – Sabato 3 giugno ore 17,30 MANIFESTAZIONE – ritrovo in piazza Garibaldi

a cura di in data 27 Maggio 2023 – 12:57

SeaFeature


Riconvertiamo Seafuture 2023

 


Intervento di Giorgio Pagano

Il documento che convoca questa manifestazione inizia così:
“La guerra da oltre un anno imperversa in Europa, alimentata anche dall’invio di armi all’Ucraina da parte dell’Italia e di altri Paesi NATO e in assenza di una seria azione diplomatica a favore del cessate il fuoco e della pace, in uno scenario internazionale di conflitti diffusi e di tensioni crescenti in cui viene scelleratamente evocato l’utilizzo delle armi nucleari. L’Italia non si fa promotrice di una conferenza internazionale di pace, come prevede la Costituzione”.
Con la nostra iniziativa vogliamo anche esprimere solidarietà alla popolazione ucraina e a tutte le persone del mondo che si trovano oggi a vivere la tragedia della guerra. Dare voce al grido di dolore, alla richiesta di non essere dimenticati, al desiderio di libertà e di giustizia di ogni popolazione e minoranza oppressa. Sappiamo infatti che una pace vera si costruisce solo nel pieno rispetto della libertà dell’altro e rimuovendo le cause di sofferenza e ingiustizia.
La guerra e la violenza portano altra guerra e altra violenza. Una pace duratura si costruisce con il contributo dell’intera comunità internazionale e per questo chiediamo al Governo italiano, all’Unione Europea e all’ONU di essere costruttori instancabili di occasioni di dialogo e di ricomposizione delle controversie internazionali.

Esprimiamo, innanzitutto, solidarietà per le vittime. Non sappiamo quante siano. Certamente alcune centinaia di migliaia. Un’ecatombe.
Siamo dalla parte delle vittime. Tutte. Tutti i bambini, le donne, gli anziani, ucraini e russi, civili e soldati mandati al macello in questo ma anche in tutti gli altri buchi neri del mondo che fatichiamo persino ad elencare: Siria, Yemen, Libia, Palestina, Myanmar, Afghanistan, Etiopia, Somalia, Sudan, Kurdistan, Sahara occidentale… La guerra è dappertutto.
La guerra in Ucraina può eternizzarsi, non finire mai. O terminare, invece: ma con un conflitto nucleare, con la scomparsa dell’umanità.
La “guerra giusta” non esiste: perché ogni conflitto porta con sé ingiustizie infinite, che restano marcate nel tempo e segnano il futuro di chi ha combattuto e di chi ha subito.
La guerra non è la soluzione: la vittoria militare porta altre guerre e si trasforma nel suo contrario. La vera vittoria è la pace.
Non chi pensa alla pace è un illuso, ma chi crede che sia lo strumento militare a risolvere le controversie.
Lo dimostra la storia.
Non dobbiamo assuefarci alla guerra. La guerra trasforma il pensiero dell’uomo, frena ogni visione collettiva globale, la lotta per i beni comuni, per l’eguaglianza, per la giustizia sociale e ambientale.
Il cessate il fuoco, il negoziato, la pace sono possibili. Ma occorre un’iniziativa straordinaria delle Nazioni non belligeranti per ripristinare, come richiede la Carta dell’Onu negli articoli 51-54, “la pace e la sicurezza internazionale”, individuando una “soluzione pacifica”.
Basterebbe leggere – e poi voler rispettare – gli impegni assunti in sede Onu da “Noi, popoli delle Nazioni Unite”.
Questa è la principale fonte politica, giuridica, morale a cui ispirarsi: la Carta delle Nazioni Unite.

Insieme – ecco la seconda fonte – al Trattato dell’Unione Europea, che è nata per assicurare la pace e la sicurezza, come sancisce l’art. 21.
Tutti i Trattati dell’Unione europea impediscono di finanziare le industrie militari nazionali con soldi europei.
Il voto del Parlamento europeo che assegna altre risorse alla produzione di armi, anche risorse provenienti da fondi che dovrebbero essere usati per la sanità, la scuola, l’ecologia, il lavoro, è drammaticamente sbagliato. Perché erode i principi cardine della costruzione europea, dell’autonomia strategica dell’Europa.
L’economia di resilienza viene trasformata in economia di guerra, nel senso che quest’ultima può essere finanziata con le risorse stanziate per la prima. Oggi la Meloni può dire che non lo farà, ma domani potrà dire di sì. E gli altri Paesi europei possono dire di sì da subito: con soldi anche nostri, di tutti noi europei.
E’ il segno del fallimento-tradimento politico di una comunità nata con un’altra missione: tenere fuori la guerra dal suolo europeo.
Questa Europa così irrilevante e così subalterna agli Stati Uniti e alla Nato favorisce il predominio degli Stati Uniti e della Cina nello scenario internazionale.
Se invece si attivasse per mediare a oltranza il certamente difficile accordo tra Russia e Ucraina, supportando l’impegno del Papa, l’Europa rispetterebbe la sua missione, riscatterebbe la sua credibilità tra i cittadini europei e riconquisterebbe un ruolo nel mondo. Altrimenti, come destino politico, l’Europa è finita. Perché vuol dire che pensa solo alla volontà di trasformare la tragedia della guerra al suo interno in occasione di profitto per le industrie delle armi, alle quali vengono destinati miliardi di euro e alle quali si concede di lavorare sette giorni su sette e di disapplicare le norme su ambiente e sicurezza: è l’economia di guerra.

La terza fonte politica, giuridica, morale a cui ispirarsi è la nostra Costituzione. La Costituzione “ripudia la guerra” come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, in ogni caso. E le limitazioni di sovranità che essa prevede sono espressamente finalizzate per assicurare la pace e la giustizia tra le Nazioni e a promuovere le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Limitazioni per promuovere la pace, dunque, non per partecipare alle guerre, né proprie né altrui.
L’invito della Costituzione è chiaro: è quello di ricercare altre strade per assicurare la pace tra le Nazioni.
I valori che devono guidarci sono quelli della Costituzione, non dell’atlantismo bellicista.
E’ vero, siamo lontani da questo impegno. E nulla sembra possibile. Ma nel mondo c’è chi disegna prospettive di pace, chi rifiuta la logica primitiva amico-nemico per entrare in una nuova logica, quella di un compromesso equo e sostenibile per tutti. Ci sono i grandi uomini saggi, a partire dal papa. Ci sono i Paesi dell’Asia, dell’Africa, dell’America Latina: in un mondo sempre più multipolare due terzi dell’umanità sono contro la guerra.
E poi ci siamo noi, le persone semplici, il movimento pacifista, oggi in piazza in tutto il mondo.
Diceva Einstein: “Il mondo è quel disastro che vedete, non tanto per i guai combinati dai malfattori, ma per l’inerzia dei giusti che se ne accorgono e stanno lì a guardare”.
Noi non stiamo a guardare. Siamo dalla parte della pace.
A cento anni dalla nascita ricordiamo le parole di Don Milani:
Nell’età atomica “non esiste una guerra giusta né per la Chiesa né per la Costituzione”.
“Se un ufficiale darà loro ordini da paranoico hanno solo il dovere di legarlo ben stretto e portarlo in una casa di cura… Poi forse qualche generale troverà ugualmente il meschino che obbedisce, e così non riusciremo a salvare l’umanità. Non è un motivo per non fare fino in fondo il nostro dovere di maestri”
Barbiana, quella piccola località fuori dal mondo, diventò una luce sul monte visibile da ogni parte del mondo. Le parole di don Milani sono ancora delle luci. Mentre le trombe della guerra diventano sempre più assordanti, siamo chiamati ad accendere, ciascuno, una luce. Affinché tutti possano vedere, risvegliarsi, rialzarsi e camminare insieme.

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