La veduta corta. Conversazione di Tommaso Padoa Schioppa con Beda Romano sul grande crollo della finanza
Questo libro è il tentativo di capire e interpretare la crisi economico-finanziaria che si sta dipanando sotto i nostri occhi: la più sconvolgente da diversi decenni perché si tratta anche di una crisi politica, istituzionale e culturale. È venuta meno l’intelaiatura di regole, controlli e azioni di governo che in un’economia di mercato fa da necessario complemento alla ricerca del tornaconto da parte degli individui e delle imprese. Ma soprattutto si è accorciato l’orizzonte temporale dei mercati, dei governi, della comunicazione, delle imprese, delle stesse famiglie, dei nostri atteggiamenti mentali. È in questa “veduta corta”, in questa incapacità di andare oltre il calcolo di breve periodo e di guardare il futuro lungo che sta la radice più profonda della crisi in atto, sostiene Tommaso Padoa-Schioppa nella sua lunga e ricca conversazione con Beda Romano.
LA CRISI DEI MERCATI E LA VEDUTA CORTA
Repubblica — 26 marzo 2009
Il saggio-intervista di Tommaso Padoa-Schioppa edito dal Mulino si intitola La veduta corta ed ha in epigrafe una terzina dantesca tratta dal XIX canto del Paradiso che vale la pena di riportare perché rappresenta il succo di tutto il libro: «Or tu chi se’ che vuò sedere a scranna / per giudicar di lungi mille miglia / con la veduta corta d’ una spanna?» (la conversazione è a cura di Beda Romano, pagg. 192, euro 14). La crisi che ormai da un anno e mezzo infuria sul mondo, nella diagnosi di Padoa-Schioppa ha il suo epicentro nella veduta corta di chi ha smesso da tempo di meditare sul passato, di agire nel presente per affrontare il futuro possibile. C’ è stata, dice l’ autore, una mutazione antropologica che ha appiattito il tempo, gli ha tolto spessore, ha innalzato una sorta di “totem” che ha per nome “ora e subito” ed ha pervaso tutti i comportamenti degli individui e della società, tutte le decisioni, i pensieri, i desideri, i sogni, alla ricerca d’ una felicità immediata, d’ una creazione di valore economico a portata di mano, d’ un potere politico fondato sui sondaggi, d’ una informazione concentrata sulle notizie del giorno al di fuori dei contesti. Insomma la veduta corta. La crisi che stiamo con ansia attraversando nasce da qui, da un sentimento del tempo che ha cancellato passato e futuro e quindi ha privilegiato l’ emotività rispetto alla razionalità. Questa diagnosi non è nuova. L’ appiattimento sul presente è una delle critiche più radicali che molti pensatori e scrittori hanno formulato per spiegare il drammatico declino della modernità. Il nichilismo è il frutto tossico di questo appiattimento esistenziale, l’ uomo ridotto a una sola dimensione, il trionfo del populismo, la psicologia della folla, la solitudinee l’ anonimato degli individui. I romanzi dei contemporanei riflettono questo disagio profondo, Saul Bellow, Philip Roth, Milan Kundera, nella diversità degli approcci narrativi e dello stile, raccontano lo spaesamento d’ una società che si può chiamare post-moderna o decadente o regredita verso una barbarie che non ha nulla di fecondo e di vitale. Ma nessuno aveva ancora utilizzato la veduta corta come chiave interpretativa della crisi economica. Padoa-Schioppa l’ ha usata con molta sapienza rispondendo alle domande di Beda Romano, un giornalista economico molto attento ai fenomeni e alle cause che li determinano e che non sempre provengono dal mondo dell’ economia. Questa della veduta corta è una causa esogena eppure ha determinato un vero e proprio cataclisma dopo aver già da tempo devastato la politica, i circuiti mediatici, l’ equità sociale, e la moralità. Sono crollate le ideologie. Sembrò un formidabile salto in avanti. Sembrò che fosse stato aperto un varco di libertà nel muro chiuso delle verità fittizie e prefabbricate. Sembrò che il trionfo del pragmatismo fosse l’ inizio d’ un mondo nuovo, di nuove speranze, una prateria sulla quale lanciarsi al galoppo. Ma si è scoperto ben presto che aveva ragione Goethe quando diceva che l’ assenza di ideologie è la peggiore delle ideologie. Trionfano le emozioni. Ora e subito. La diagnosi del sisma parte da qui. * * * Nel novembre del 2008 – così inizia La veduta corta – la regina Elisabetta d’ Inghilterra si reca in visita alla London School of Economics e domanda ai suoi sapienti interlocutori: «Perché nessuno se n’ è accorto? Se queste cose erano tanto grosse <la crisi economica& com’ è che tutti le hanno trascurate? È orribile!» (C’ è stata in Italia una piccola gara tra esperti e uomini di governo per stabilire chi si era accorto che lo “tsunami” finanziario stava arrivando e chi no. La gara è stata vinta di prepotenza dal ministro Tremonti che ha affermato d’ esser stato il primo e l’ unico. Gli si è creduto sulla parola. In Usa e in Europa governanti e banchieri sono stati più umili: non si erano accorti di niente). Ma il nocciolo della questione non sta nella prima domanda della regina Elisabetta, bensì nella seconda: «Come mai tutti quelle cose grosse le hanno trascurate?». Le cose grosse, racconta PadoaSchioppa, cominciarono nel luglio 2007 col fallimento della banca americana Bear Stearns. Non era un colosso ma pur sempre un peso medio nel panorama del “private investment”. Lo Stato finanziò la J.P. Morgan che senza rischi incorporò gli “assets” della Bear Stearns. Passarono pochi giorni. Il 9 agosto la Paribas, una delle maggiori banche francesi, comunicò alla clientela che due fondi di investimento da lei controllati erano inquinati di titoli “tossici”. Niente paura: Paribas li aveva già chiusi garantendo gli investitori. Questi furono i primi due segnali, i primi due campanelli d’ allarme. Le sentinelle però non udirono e non diedero nessuna allerta. La finanza mondiale e i governi non capirono. In Italia il ministro dell’ Economia decretò l’ abolizione dell’ Ici togliendo alle finanze comunali oltre 3 miliardi di euro. Altrettanto ma forse più fu speso per creare la nuova Alitalia privata ma tricolore. L’ allarme generale scattò un anno dopo: nell’ ottobre 2008 fallì la Lehman Brothers, una delle cinque “majors” di Wall Street. Barack Obama non era stato ancora eletto. George Bush disse che i “fondamentali” economici in Usa erano eccellenti, il sistema era solido e la situazione sotto controllo. Le Borse crollaronoe da allora il ribasso ha virtualmente bruciato metà del risparmio mondiale investito in titoli azionari. L’ Europa si allarmò molto più dell’ America ancora guidata da Bush. Sarkozy presiedeva il Consiglio dei ministri europei e capì che la tempesta avrebbe ben presto varcato l’ Atlantico. Lo capì e ne fece anche una tribuna delle sue capacità di leadership europea. Per bilanciare quell’ esposizione mediatica la Merkel si auto-elesse a sua oppositrice. Lui proponeva l’ intervento degli Stati, la cancelliera rinnovava il suo credo nel mercato. Dispute ad uso dei “media”. L’ Italia garantì i depositanti delle banche ma non stabilì neppure una copertura per quella garanzia. Infatti era inutile. La garanzia serviva a non far dilagare la sfiducia e le file agli sportelli ed infatti è servita a questo. Se poi una banca fallisse veramente, il sistema andrebbe gambe all’ aria. Che copertura volete stanziare per garantire un default di queste dimensioni? Nel libro di Padoa-Schioppa il racconto dei fatti scorre con uno stile incalzante e avvincente. Non c’ è enfasi perché sarebbe un di più; la sequenza è serrata e tanto è più sobria tanto più ne emerge la drammaticità. Fino a quando la “tempesta perfetta” scardina le due grandi società incaricate di assicurare i mutui immobiliari e insieme ad esse l’ Aig, la più grande assicurazione del mondo.A quel punto entrano in sofferenza le altre “majors” delle “private equity” e degli “investment”. Scricchiolano i bilanci di J.P. Morgan, di Citygroup, di Bank of America. Le Borse continuano a crollare. Il mercato automobilistico registra una caduta della domanda di dimensioni inusitate. Obama è stato eletto a furor di popolo, ma ci vorranno due mesi prima che entri in caricae saranno due mesi di confusione e di ansia. Intanto sono accaduti due fatti: la domanda dei consumatori e quindi le vendite dei beni e dei servizi è in caduta ovunque; il credito interbancario si è bloccato. Non si sa quale di questi due fatti sia il più grave. * * * L’ autore ha individuato l’ elemento scatenante della crisi in quello che chiama “consumoa credito” e lo spiega così: «Per trent’ anni l’ economia degli Stati Unitiè cresciuta a passi elevati, trascinata dai consumi e accumulando un grande debito estero. Poiché il risparmio interno ha smesso di formarsi, ha usato, per consumare, il risparmio degli altri, cioè del resto del mondo». A un certo punto è addirittura avvenuto un fenomeno impensabilee tuttavia praticato da tutto il sistema bancario americano sotto gli occhi benevoli della Fed di Greenspan: poiché il valore delle case cresceva spinto dal rialzo generale, crescevano di altrettanto i margini di garanzia dei mutui; le banche erano perciò in grado di convocare i clienti e proporre altri mutui garantiti dalla virtuale plusvalenza dei loro immobili. A questo punto il consumo a credito diventava credito sul credito: il credito cioè veniva concesso a valere sul mutuo i cui margini erano virtualmente aumentati a causa d’ un rialzo indotto dalle banche e dagli interessi sempre più bassi. Così fu costruita una piramide creditizia che non poggiava sulla base ma sulla punta. Ci voleva un nulla per far crollare quell’ immensa costruzione cartacea. Quel nulla fu appunto il fallimento di Lehman Brothers cui seguì poco dopo la Banca di Scozia. Un elemento di controlloe di riequilibrio avrebbe potuto essere un elevato tasso di inflazione, ma questo campanello d’ allarme non funzionò. Il mercato americano fu infatti inondato da prodotti cinesi, alcuni dei quali con elevato valore aggiunto. Erano comunque prodotti a basso costo poiché a basso costo era il lavoro cinese. Di fatto lo sfruttamento di quel lavoro e di altre parti del mondo ha finanziato il consumo americano. In altre condizioni il dollaro sarebbe drammaticamente precipitato, invece questo regolatore finanziario non entrò in azione poiché la Cina preferì mantenere in dollari il ricavato delle sue esportazioni, investendoli in buoni del Tesoro americani. Si diffuse l’ opinione che un meccanismo così paradossale sarebbe continuato all’ infinito. In fondo era il mercato ad averlo generato e il mercato, secondo il pensiero unico liberista e mercatista, non può sbagliare. Ma ora, in mezzo a questa tempesta, siamo invece arrivati alla crisi del capitalismo? Quella vaticinata da Marx come risultato fatale dell’ evoluzione capitalistica quando avesse raggiunto il massimo della sua espansione e maturità provocando un capovolgimento dei valori economici ed una rivoluzione sociale delle forze produttive? Marx pensava che quella crisi sarebbe avvenuta verso la fine del XIX secolo e che il luogo dove si sarebbe manifestata sarebbe stato il centro del sistema. Ai suoi tempi il centro era posizionato in Europa sull’ asse Londra-Parigi-Berlino. Invece la rivoluzione avvenne nella Russia zarista e poi, trent’ anni dopo, nella Cina di Mao. Il crollo del capitalismo allora non ci fu. Ma ciò che non era avvenuto né con Lenin né con Stalin sta dunque accadendo ora agli inizi del XXI secolo? Potrebbe essere. Le condizioni previste dal profeta del comunismo ora ci sono tutte: il capitalismo è più che maturo ed ha raggiunto la sua massima espansione; la crisi è scoppiata esattamente al centro del sistema: in America, a New York, a Wall Street. Si è diffusa in pochi mesi in tutto il pianeta. Ha sconvolto la finanza, le banche, i mercati, poi ha aggredito l’ economia reale, la domanda è crollata, la recessione va avanti da otto mesi, il creditoè bloccato, la disoccupazione dilaga. Gli strumenti per combattere il ciclo, ancorché usati in dosi massicce, non sembra ancora che stiano funzionando. Dunque siamo alla resa dei conti finale? * * * No, risponde l’ autore di questo libro. Il capitalismo è basato sul profitto e sulla libera iniziativa e questi sono i suoi “fondamentali” che si manifestano in varie forme. Una di queste forme è il fondamentalismo del mercato, il pensiero unico del liberismo che comincia con Reagan e con la Thatcher e prende vigore con la dissoluzione dell’ Urss e l’ implosione del comunismo. La crisi attuale ha spazzato via questa fase. Coincide e tocca il culmine con la vittoria di Obamae l’ intervento dello Stato per dominare l’ emergenza. Il liberismo e il mercatismo lasciano il posto all’ economia delle regole, al mercato sociale e – ecco un aspetto nuovo ed essenziale – alla lotta contro le diseguaglianze da condurre per modificare la distribuzione del reddito e della ricchezza sia tra le varie aree del mondo sia all’ interno di ciascun paese dove punte di grande ricchezza convivono con sempre più estese sacche di povertà. Una nuova Bretton Woods? L’ autore osserva che il sistema di Bretton Woods non si dette carico della distribuzione del reddito ma concentrò la sua attenzione su un’ altra questione non meno importante: l’ assetto del sistema monetario. Non passò la proposta di Keynes d’ una moneta di conto che regolasse i saldi del commercio internazionale convivendo con monete di pagamento legate tra loro da rapporti di cambio fissi. Passò invece il cosiddetto “gold exchange standard”, il dollaro ancorato all’ oro con un cambio fisso (35 dollari all’ oncia) che assumeva al tempo stesso le due funzioni di moneta di pagamento e di riserva. Questo meccanismo saltò nel 1971 instaurando un sistema di cambi fluttuanti verso il quale, pur riconoscendone alcuni vantaggi, il giudizio di Padoa-Schioppa è sostanzialmente negativo. Le nuove regole sono insomma tutte da inventare ma debbono comunque partire da un presupposto: il mercato è una costruzione artificiale e come tale ha bisogno d’ una costante manutenzione affidata a regoleea penetranti controlli. Pensare che il mercato possa autogovernarsi in assenza di regole è pura illusione che stiamo ora duramente pagando. * * * Il libro contiene molte altre cose e affronta molte altre questioni tra le quali soprattutto l’ avvenire dell’ Europa. Ma le riservo alla curiosità dei lettori. Su un aspetto voglio però ancora tornare; l’ ho accennato all’ inizio ma ci ritorno ancora perché rappresenta a mio parere il nucleo centrale di tutta l’ opera: la veduta corta, la condizione della società contemporanea di operare nel presente con lo sguardo fisso sull’ avvenire dei figli e dei nipoti. Anch’ io penso che riacquistare uno sguardo lungo sia lo strumento per governare la crisi in cui ci troviamo e uscirne indenni “a riveder le stelle”.
EUGENIO SCALFARI
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