Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
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Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
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Gli strumenti finanziari per lo sviluppo locale e la riqualificazione urbana

a cura di in data 24 Giugno 2011 – 16:52

CORSO  DI  FORMAZIONE  PER  AMMINISTRATORI  LOCALI
“GOVERNANCE  LOCALE  E  UNIONE   EUROPEA”

GLI  STRUMENTI  FINANZIARI  EUROPEI  PER  LO  SVILUPPO  LOCALE  E  LA RIQUALIFICAZIONE  URBANA

BRUXELLES, 24 GIUGNO 2011

 

INTERVENTO di GIORGIO PAGANO
Segretario generale della ReCS

Il mio contributo è a nome della ReCS, l’associazione nazionale dei Comuni e delle Province che adottano la pianificazione strategica come strumento di governo del territorio: per sostenere lo sviluppo urbano mettendo in relazione attori, interessi, politiche e risorse; per facilitare la pianificazione coordinata e integrata e per disegnare nuovi rapporti interistituzionali.
Si tratta di uno strumento di governance urbana – la “visione” condivisa, integrata e di area vasta – che si sviluppa in Italia alla fine degli anni ’90, sulla scia del successo di alcune esperienze europee, Barcellona e Lione su tutte. La ReCs nacque nel 2004 -io, allora sindaco della Spezia, ne fui il primo Presidente- e da allora promuove questo strumento, riunendo oltre 40 Comuni, e ora anche alcune Province. Favoriamo la cooperazione tra le città e rafforziamo il “punto di vista” e il ruolo delle città nella definizione delle politiche urbane, sia in Italia che in Europa: mettiamo a confronto le esperienze e scambiamo le informazioni, creiamo alleanze nazionali e internazionali, accompagniamo le città a riflettere sui processi di governo, offriamo loro l’opportunità di migliorare gli strumenti decisionali e gestionali, costruiamo percorsi formativi on-line e in loco. Riguardo all’Europa ReCS,  grazie al suo ampio patrimonio di relazioni, porta le città italiane nel dibattito internazionale sul governo urbano e favorisce la cooperazione  tra città europee e del Mediterraneo, sostiene un network europeo sulla pianificazione e la programmazione strategica che dia voce alle città nella definizione delle politiche urbane europee, porta le città in partenariati internazionali e progetti europei.
Vorrei inserire il tema del convegno in un breve ragionamento sul contesto più generale, cioè sulla “fase” che attualmente vivono le città italiane. Sono d’accordo con Paolo Perulli, sociologo urbano, quando parla di “ricentralizzazione”. La crisi economica e finanziaria spinge lo Stato in questa direzione: il rispetto dei limiti europei e il taglio delle risorse pubbliche significano meno trasferimenti dal centro alla periferia, come sanno bene gli amministratori. Il rispetto del patto di stabilità vale più di ogni discorso sul federalismo fiscale. Molti progetti strategici territoriali sono stati cancellati. Nessuna politica verso le città è stata promossa. Questo ritorno del potere centrale in tempo di crisi sembra essere il segno di tendenze generali in corso in Europa. Per Perulli e molti altri studiosi occorre superare, nell’impegno dell’Europa per le città, le politiche “settoriali” (“sector-based”), che si sono tradotte in un impoverimento delle politiche locali-globali centrate sui sistemi territoriali, e scegliere una visione alternativa, quella delle politiche “territoriali” (“place-based”). E’ quanto auspica anche l’economista Fabrizio Barca, nella sua “Agenda per la riforma delle politiche di coesione” (2009).
Mi soffermo sulle politiche europee di coesione, perché costituiscono la principale risorsa finanziaria oggi a disposizione dello sviluppo locale e della riqualificazione urbana. La ReCS lo sa bene: il “portafoglio progetti” dei piani strategici è stato realizzato in gran parte con risorse europee. Del resto i piani strategici, o comunque i programmi di sviluppo a  medio termine, sono considerati dall’Unione europea un requisito indispensabile: perché hanno un approccio alla pianificazione integrato e pluridisciplinare e perché sono basati sul partenariato pubblico-privato e sulla cooperazione interistituzionale. Ma qual è stato l’esito delle politiche di coesione sviluppate nell’arco della programmazione europea 2000-2013? Un esito insoddisfacente, non solo perché è stata favorita la distribuzione nazionale delle risorse (ben il 70% di esse è gestito dagli Stati, solo il restante 30% dalle Regioni), ma anche perché la spesa non è stata collegata a priorità selezionate e a valutazioni efficaci.
E’ un tema al centro di un grande confronto, che verte sia sulle risultanze della programmazione 2007-2013 che sulla definizione delle linee di sviluppo della nuova politica di coesione (2014-2020). Dopo l’Agenda di Barca, che ha  aperto il dibattito, sono stati approvati importanti documenti dell’Unione europea, il documento “Strategia Europa 2020”, il V Rapporto sulla coesione e la proposta di riforma del bilancio europeo. Nel nostro Paese un contributo rilevante lo ha appena fornito il documento IFEL-ANCI “La dimensione territoriale del Quadro Strategico Nazionale 2007-2013. Stato d’attuazione e ruolo dei Comuni”.
Ma vediamo bene perché si deve parlare di “esito insoddisfacente”. I risultati non erano stati positivi già nella programmazione 2000-2006: scarsa selezione delle priorità, polverizzazione degli interventi nei “megaprogettini”, difficoltà programmatoria e gestionale di Regioni e Comuni, carenza di governance interistituzionale, scarsa partecipazione dei privati. Con la politica dei Fondi per il 2007-2013 non sono mancate le novità per le città: sono stati eliminati i progetti di canale diretto Commissione europea – enti locali e gli interventi urbani sono stati promossi all’interno della politica di sviluppo regionale; ma la Commissione ha spinto le Regioni a delegare ai Comuni la gestione dei finanziamenti. Dal documento IFEL-ANCI emerge però un quadro ancora poco rassicurante: continuano la polverizzazione, la frammentazione, la debolezza della programmazione. I progetti finanziati ai Comuni sono in media di piccolo taglio (150.000 euro), i grandi progetti riguardano solo la metropolitana di Napoli e la tramvia di Palermo. Non si vede, insomma, dove sia la programmazione strategica. Non solo: gli interventi sugli assi dei programmi dedicati allo sviluppo urbano sono quelli che stentano di più a partire.
Tutta la recente riflessione europea, a partire dall’Agenda di Barca, auspica una svolta. La Risoluzione del Parlamento europeo sulla politica di coesione e la politica regionale dell’Unione dopo il 2013, approvata il 7 ottobre 2010, chiede un ruolo di primo piano per le città nell’ambito della futura politica di coesione, e una maggiore attenzione nei confronti di quest’ultime. Nel novembre 2010 anche il V Rapporto dice che i futuri programmi dovrebbero maggiormente occuparsi dell’obiettivo della coesione territoriale, dando maggiore risalto al ruolo delle città. e delle reti di città come soggetti programmatori. Si insiste poi sulla selezione degli obbiettivi. La “Strategia Europa 2020” (marzo 2010) fissa cinque traguardi principali:

–    il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro;
–    il 3% del PIL dell’Unione deve essere investito in ricerca e sviluppo;
–    i traguardi “20-20-20” in materia di clima-energia devono essere raggiunti
–    il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40% dei giovani deve avere una laurea o un diploma;
–    20 milioni di persone in meno devono essere a rischio povertà.

E’ su questa base che, accorpando la spesa, vanno finanziati grandi progetti.
Il Comitato delle Regioni ha avviato e concluso un percorso di consultazione per evitare i limiti del passato, mettendo al centro l’inefficacia della governance. Già nel giugno 2009 il Libro bianco redatto dal Comitato aveva invitato a realizzare “una carta dell’Ue per una governance multilivello”. E’ solo così che si può attuare una politica di coesione “basata sui luoghi”: il principio della governance multilivello è il riconoscimento dell’importanza del territorio nell’attuazione di politiche europee. Significa che il Governo centrale deve avere un’unica e condivisa grande strategia di sviluppo. Che le Regioni devono essere in grado, contro ogni centralismo regionale, di mobilitare le conoscenze e di intercettare le preferenze dei soggetti locali. Che occorrono il partenariato, il lavoro coordinato e integrato, un patto territoriale tra tutti i livelli di governo: saper costruire buone “reti” e evitare quella sorta di mercato in cui contrattare la quota di finanziamento per il proprio territorio pur in assenza di un disegno strategico, come a volte è accaduto.
Anche ai Comuni spetta avere questa visione: il che spinge alla collaborazione intercomunale e alla programmazione di area vasta, perché “strategico” e “comunale” sono due parole che non vanno d’accoro tra di loro. Il tema della governance multilivello unisce la riflessione sulla programmazione europea e quella sulla pianificazione strategica. Le migliori esperienze europee e italiane di pianificazione strategica ci dicono che dobbiamo uscire dai confini comunali e fare piani che abbiano una massa critica più ampia.
Detto questo, va fatta una precisazione non da poco. La frammentazione c’è anche perché i Comuni non hanno spesso altre risorse per attuare piccoli progetti. La Commissione deve rafforzare il principio dell’”addizionalità”, secondo cui la spesa comunitaria non sostituisce la spesa pubblica nazionale, ma viene ad aggiungersi ad essa. Il che richiama la necessità che si ponga mano alla situazione attuale di grave difficoltà dei Comuni a fare investimenti (la spesa per investimenti negli ultimi anni è scesa di 33 euro pro capite, mentre nel contempo è aumentata di 8 euro la spesa corrente, più rigida) modificando la legge sulla stabilità che, così com’è, porta alla paralisi.
Vengo ora al punto specifico degli strumenti finanziari, soffermandomi in particolare su Jessica, acronimo inglese del progetto congiunto a favore dello sviluppo urbano sostenibile della Commissione europea e della Banca europea degli investimenti, in collaborazione con la Banca di sviluppo del Consiglio d’Europa. In base alle procedure, gli Stati hanno ora la facoltà di scegliere di utilizzare parte degli stanziamenti dei Fondi strutturali per eseguire investimenti rimborsabili a favore di progetti inseriti in un piano integrato per lo sviluppo urbano sostenibile. Gli investimenti in questione, che possono assumere la forma di fondi propri, prestiti e/o garanzie, sono effettuati attraverso Fondi di sviluppo urbano e, se necessario, attraverso Fondi di partecipazione. In particolare, Jessica mette a disposizione una struttura che fornisce competenze specialistiche e assistenza tecnica alle autorità di gestione dei Fondi strutturali per permettere loro di risolvere i problemi di finanziamento dei progetti di riqualificazione urbana sostenibile, attraverso la combinazione di prestiti e sovvenzioni. Jessica non è quindi un’ulteriore fonte di finanziamenti per gli Stati, ma piuttosto un nuovo strumento di utilizzo delle sovvenzioni a titolo dei Fondi strutturali vigenti, per il sostegno ai progetti di sviluppo urbano. Progetti di miglioramento delle infrastrutture urbane, di efficienza energetica e di implementazione delle tecnologie di comunicazione e informazione sono i principali destinatari di questa iniziativa, così come ogni altro progetto finalizzato allo sviluppo e alla riqualificazione urbana, a condizione che i progetti rientrino in piani integrati di sviluppo urbano sostenibile, ovvero in un sistema di interventi interconnessi finalizzati a migliorare stabilmente le condizioni fisiche, sociali e ambientali di una città o di un quartiere. La chiave  per la riuscita di questo processo è l’”integrazione”: i progetti devono essere esaminati nella loro interrelazione, e le sinergie tra le componenti del piano devono far sì che il piano nel suo insieme dia risultati superiori alla somma che darebbero le singole parti realizzate individualmente. Questo meccanismo finanziario è in fase di implementazione in alcune Regioni in cui operano città della ReCS: Toscana, Campania, Sicilia… Le Regioni hanno chiesto ai Comuni e alle alleanze territoriali più vaste di presentare progetti integrati che possano essere finanziati con lo strumento Jessica. Vorrei sottolineare che la pianificazione strategica è uno strumento di governance che si attaglia perfettamente a Jessica; e che crea il contesto perché questo strumento finanziario attecchisca e dia risultati.
Un caso pilota su cui vorrei soffermarmi brevemente è quello del Comune di Pesaro, una delle città cofondatrici della ReCS. I progetti del Piano strategico di Pesaro individuati come “jessicabili” sono quelli della riqualificazione e rivitalizzazione del centro storico, in particolare la riconversione dell’ex carcere minorile, del complesso di San Benedetto e dell’ex convento di San Domenico. L’obbiettivo è coniugare l’esigenza di accrescere il patrimonio di dotazioni pubbliche e collettive e quella di creare le condizioni per una partecipazione significativa del capitale privato al processo di trasformazione. Il veicolo finanziario individuato è il Fondo Immobiliare ad Apporto: uno strumento finanziario che consente al risparmiatore di partecipare ai risultati economici di iniziative assunte nel comparto immobiliare, utilizzando non lo schema tipico della partecipazione ad una società di capitali, ma il modello organizzativo del patrimonio gestito da un intermediario professionale (Società di gestione del risparmio, SGR). Il fondo immobiliare ad apporto viene costituito tramite il conferimento di beni immobili, diritti reali immobiliari o partecipazioni in società immobiliari da parte di un soggetto (l’apportante). Il fondo prevede, quindi, la possibilità di sottoscrizione delle quote mediante conferimento di beni. Le quote del fondo, che vengono attribuite all’apportante in cambio del conferimento effettuato, possono essere poi ricollocate sul mercato finanziario ed acquisite da operatori specializzati del settore. Il rendimento per i titolari delle quote è rappresentato dagli utili generali delle attività del fondo: i proventi possono essere distribuiti periodicamente o accumulati e distribuiti con la liquidazione del fondo. Il veicolo immaginato per il caso di Pesaro si configura come un fondo misto, il cui patrimonio è costituito in parte da apporto (fondo immobiliare ad apporto) e in parte con versamento diretto di risorse finanziarie da parte dei sottoscrittori (fondo immobiliare ordinario). Gli immobili apportati sono tutti di proprietà pubblica.
L’esempio di Pesaro testimonia come gli investimenti dei privati siano decisivi per lo sviluppo locale e la qualificazione urbana. Ho già ricordato che tra i limiti della programmazione europea di questi anni c’è stato anche quello di un insufficiente coinvolgimento del capitale privato negli investimenti urbani: sia per una atavica avversione al rischio rispetto alla compartecipazione ad investimenti pubblici, sia per una difficoltà di motivare ed attrarre i privati da parte del pubblico, dovuta a carenza di “visione” e/o di certezza delle regole rispetto a tempi e risorse. La Commissione europea ha espresso la volontà di incrementare l’utilizzo di strumenti di ingegneria finanziaria nei programmi europei sulle politiche urbane: Jessica è tra questi. Nel post 2013 sarà sempre più così. Tali strumenti dovrebbero permettere di sostituire progressivamente le forme tradizionali di finanziamento basate sulle sovvenzioni, favorendo la creazione di partenariati tra attori pubblici e privati. Va detto, però, che negli ultimi anni i tentativi fatti in questa direzione non sembrano aver dato, almeno da noi, gli effetti desiderati. Jessica è appena all’inizio, e necessità di molti chiarimenti, dicono le Regioni e i Comuni che lo stanno implementando. C’è, poi, e da ben più tempo, il project financing, ossia (per utilizzare l’espressione impiegata dal legislatore italiano) la realizzazione di opere pubbliche senza oneri finanziari per la pubblica amministrazione. Questa tecnica costituisce un modello interessante, che ha innumerevoli possibilità di sviluppo. Ma, per una sua duratura diffusione, ha bisogno di un costante impegno da parte: del legislatore (ad avvicinare la normativa italiana a quella anglosassone); dei soggetti partecipanti (a sviluppare le competenze necessarie), della pubblica amministrazione (a snellire le procedure burocratiche).
Il tema del convegno ci invita, quindi, a lavorare per ripensare molte cose: il rapporto tra Unione europea e territori; il livello della finanza locale, mai così grave per i Comuni; le partnership tra pubblico e privato e i nuovi strumenti di ingegneria finanziaria. L’impegno di ReCS  a fianco degli enti locali, come sempre, non mancherà.

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