Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
All’incontro interverrà Giorgio Pagano, curatore dell’opera e autore di una postfazione e di …

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Zapatero, adios. Perchè la sinistra deve cambiare rotta

a cura di in data 20 Novembre 2011 – 15:22
Norvegia, Isole Lofoten (2010)  (foto Giorgio Pagano)

Norvegia, Isole Lofoten (2010) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia – 20 novembre 2011 – Oggi si vota in Spagna per le elezioni politiche anticipate, provocate dalle dimissioni del premier socialista Josè Luis Rodriguez Zapatero. Vincerà -dicono tutti i sondaggi- la destra. Il sogno del “socialismo magico”, iniziato nel marzo 2004, è finito da un pezzo, dalla “Grande crisi” del 2008 e dalla recessione che colpì la Spagna, prima negata e poi affrontata tardi e male da  Zapatero.
Eppure all’inizio Zapatero ha goduto di uno straordinario appoggio popolare. Sono stato per lavoro tante volte in Spagna in questi anni, e dovunque, a Madrid come a Barcellona, a Bilbao come a Siviglia, a Cordoba come a Malaga, ho percepito questa sua forza. Nessuno, prima di lui, era stato eletto con undici milioni di suffragi. L’ho conosciuto a Barcellona, nel maggio 2004. Era stato appena eletto, inaugurava il Forum universale delle culture, al quale partecipavo su invito del sindaco della città catalana Juan Clos. Poi lo rividi un anno dopo, alla grande manifestazione internazionale che celebrava, l’8 maggio 2005, il 60° anniversario della liberazione di Mauthausen. Chi c’era non dimenticherà mai quella manifestazione: in ordine alfabetico sfilarono le delegazioni di tutti i Paesi del mondo che avevano avuto deportati nel campo di sterminio, ma anche le minoranze senza Stato, gli zingari, gli omosessuali. L’uomo di governo più importante e amato presente al corteo era lui, Zapatero. La Spagna era diventata un Paese che non aveva paura a rompere con Bush ritirando le truppe dall’Iraq, o a sfidare la Chiesa cattolica con le leggi sul matrimonio tra omosessuali e l’eutanasia.
Il Paese iberico conobbe, negli anni del primo mandato di “El Bambi” (il nomignolo calza a pennello a Zapatero, alto, magro e con gli occhi chiari), una crescita economica tra le più sostenute d’Europa, che per anni registrò ritmi doppi o tripli della nostra, assieme a un forte aumento dell’occupazione. Fu posta, inoltre, una forte attenzione alle misure sociali: sostegno ai redditi più bassi, riduzione delle diseguaglianze, emancipazione delle donne e lotta a ogni discriminazione, investimenti in formazione e ricerca. Che cosa non capivamo, tutti noi che apprezzavamo questo cambiamento profondo? Che la crescita spagnola era trainata da settori molto tradizionali e da una bolla edilizia che aveva generato occupazione di scarsa qualità, esposto banche e aziende e aumentato l’indebitamento delle famiglie. Anche se non va dimenticato che l’edilizia ha dotato il Paese di un’efficiente rete infrastrutturale, di città moderne e funzionali, di un’offerta culturale e turistica all’avanguardia.
Quando sopravvenne la crisi economica mondiale, Zapatero commise un grande errore: negarla, non prendere misure. Fino al maggio 2010, quando i poteri dell’economia internazionale ed europea pretesero tagli pesantissimi allo Stato sociale e la fine del “socialismo dei cittadini” teorizzato da “El Bambi”, nel nome dell’accettazione della vulgata neoliberista. Il consenso crollò. La lezione spagnola è chiara: la sinistra non deve farsi travolgere dal neoliberismo. Si  può uscire dalla crisi con un nuovo compromesso sociale che reperisca risorse non guardando da una parte sola, cioè allo Stato sociale e ai diritti del lavoro, ma finalmente anche ai grandi patrimoni, alle transazioni speculative e alle rendite finanziarie. Va trovato un equilibrio tra crescita, competitività, diritti sociali e del lavoro e salvaguardia dell’ambiente che sia alternativo al neoliberismo. Anche la vicenda, pur radicalmente diversa, di Obama ci parla di questa questione. Perché anche negli Stati Uniti si conferma un’egemonia culturale conservatrice sul terreno economico, una costante da Ronald Reagan in poi. Come Bill Clinton nel 1995-1996, anche Obama è costretto ad accettare il dogma della destra: il welfare è un ostacolo alla crescita, lo Stato deve dimagrire. Zapatero e Obama, in contesti diversi, hanno giocato in difesa. Smetterla di giocare in difesa è la sfida di Obama se non vuole essere sconfitto nelle elezioni del 2012; ed è la sfida dei socialisti francesi  e dei socialdemocratici e dei verdi tedeschi, che nel 2012 e nel 2013 possono vincere le elezioni in Francia e in Germania. E della sinistra italiana, oggi impegnata a fronteggiare, dopo il fallimento del berlusconismo, un’emergenza drammatica. I progressisti devono finalmente cambiare rotta.

lucidellacitta2011@gmail.com

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