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Un Traghetto per i ragazzi difficili e il Welfare da riformare

a cura di in data 23 Febbraio 2012 – 13:32

La Spezia, la Marina del Canaletto (2011) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia – 19 Febbraio 2012 – I Salesiani, che gli spezzini hanno sempre chiamato affettuosamente “i pretini”, sono arrivati nella nostra città nel1877. Inquesti centotrentacinque anni di presenza sono sempre stati “creativamente” fedeli all’intenzione del loro fondatore don Giovanni Bosco: hanno cioè continuamente cercato di far rivivere nelle diverse fasi la sua capacità di analisi dei bisogni giovanili e di dare ad essi nuove risposte, inventando e sperimentando. Ancora oggi è così. Basta incontrare il direttore dell’oratorio di via Roma, don Antonio Integlia, per capirlo. Don Antonio si occupa da anni di disagio giovanile, e si è fatto le ossa a Napoli, nelle comunità di prima emergenza. A Spezia  è responsabile di vari progetti che ben testimoniano della capacità dell’impostazione socio-educativa salesiana di aderire ai tempi nuovi.

Innanzitutto “Il Traghetto”, un progetto rivolto ai ragazzi dai 10 ai 17 anni che vivono in condizioni di disagio. E’ stato realizzato un centro diurno polifunzionale, operativo dal giugno 2010, che può accogliere fino a 20 minori (attualmente 11) segnati da esperienze di violenza e abbandono, e per questo seguiti dai servizi sociali del Comune. Nel periodo scolastico la giornata tipo del centro inizia alle 13 con il pranzo; prosegue con la sistemazione della mensa e con un’ora di relax. Poi ci sono le attività stabilite per ogni ragazzo, fino alle 19 e al rientro in famiglia. In estate, invece, a scuole chiuse, il centro è aperto dalle 8 alle 17. “Il Traghetto” è un mezzo, mi spiega don Antonio, per “portare i ragazzi da una zona di ombra, di buio della propria esistenza verso il sole, il significato della vita”.  Per aiutarli a capire la vita, e che “quel che conta sono i rapporti non mercificati”. La storia salesiana è una storia di progetti rischiosi come questi. Che possono essere attuati solo se c’è un concorso di tutta la comunità: non a caso “Il Traghetto” vede l’impegno anche delle istituzioni ( Distretto sociale, Comuni, Regione), della Fondazione Carispe, che vi ha investito 180.000 euro in due anni, e di tante associazioni.

Un altro progetto, che è un po’ la seconda fase del “Traghetto”, è “SOS ascolto”: è rivolto ai ragazzi, ai genitori e alle famiglie, e intende affrontare i dubbi legati all’educazione, alla comunicazione con i figli, al rapporto di coppia, alla scuola e all’inserimento educativo. Ancora: “Non esistono ragazzi cattivi”, un progetto che affronta il tema della devianza e della violenza degli adolescenti. E la convenzione con Formimpresa, che affida all’oratorio il ruolo di “sportello” per i ragazzi che escono dal percorso scolastico e cercano un lavoro. Insomma, un impegno a tutto campo, all’insegna della rete, della collaborazione tra pubblico e privato sotto la guida di una forte regia pubblica.

Il racconto di queste esperienze è un piccolo esempio di come possiamo riformare il welfare. Il Comune della Spezia ha avuto anche quest’anno la lungimiranza politica -e la possibilità finanziaria- di mantenere la consistente cifra annuale destinata al sociale, 8 milioni di euro. Ma fino a quando? Le Regioni sono state falcidiate: quest’anno, nel solo Comune spezzino, arriveranno 300.000 euro in meno di fondi regionali per il sociale. Quello per gli anziani autosufficienti, che già  nel 2011 fu dimezzato rispetto al 2010 (400 assistiti anziché 800), subirà ulteriori tagli. Nel mentre, mi spiega l’assessore comunale Omero Belloni, i bisogni aumentano e si diversificano: “abbiamo un welfare pensato per 2 persone su 10, ma oggi le persone a cui pensare sono 5 su 10, con bisogni complessi e specifici”. Certo, lo Stato ha un ruolo chiave, e non può sottrarsi. Non bisogna “ridurre il perimetro pubblico” e l’impegno delle istituzioni per i beni comuni. E’ una sfida enorme: perché, per vincerla, bisogna superare quella diffidenza verso lo Stato che è cresciuta in questi anni di “pensiero unico” neoliberista. Una diffidenza che si supera solo con una logica non puramente difensiva. Che cosa voglio dire? Che va certamente ripresa l’iniziativa per definire livelli essenziali di prestazioni sociali adeguatamente finanziati dalla spesa pubblica e garantiti a tutti come diritti di cittadinanza. Ma anche che, nel contempo, è sempre più necessario mobilitare tutte le risorse di cui la società dispone. E quindi governare con una “visione condivisa”, l’unica capace di creare “capitale sociale” e fiducia, di coinvolgere la società e di mobilitare la cittadinanza attiva, il volontariato, l’associazionismo. Come si è fatto con il “Traghetto”. Anche la spesa privata, come hanno scritto i sindacati dei pensionati Cgil, Cisl e Uil della Liguria, può essere orientata per fare crescere il benessere e generare occasioni di lavoro, incentivando comportamenti solidali e spirito di comunità. Un solo esempio: se non sarà comunque sufficiente avere più risorse pubbliche per finanziare tutti i servizi di cui hanno e avranno bisogno gli anziani, si può pensare a usare meglio il valore del patrimonio immobiliare, la casa propria che molti anziani hanno, dove devono poter vivere fino all’ultimo, ma che deve essere in qualche modo “consumato” da loro stessi per vivere nel miglior modo possibile gli ultimi anni. Ovviamente con strumenti alternativi alle pure logiche del mercato immobiliare. Insomma, anche il tema della riforma del welfare spinge gli amministratori locali ad avere più capacità di costruire il futuro. Ecco un altro punto cardine dell’auspicabile “elaborazione partecipata” dei programmi elettorali.

lucidellacittà2011@gmail.com

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