Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
All’incontro interverrà Giorgio Pagano, curatore dell’opera e autore di una postfazione e di …

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Un grande abbraccio a Renzo, poeta centenario

a cura di in data 10 Marzo 2022 – 22:29

Renzo Fregoso – La Spezia, Teatro Civico, 3 agosto 2006
(foto Enrico Amici)

Città della Spezia, 30 gennaio 2022 – Ho conosciuto poche persone nella mia vita così colte, umane e gentili come Renzo Fregoso, che ha compiuto cent’anni nei giorni scorsi.
Renzo è il dialetto, è il poeta più grande del dialetto spezzino, con Ubaldo Mazzini. La sua poesia è originalissima nel gioco linguistico, nella contaminazione tra dialetto e lingua. Ironica, anche autoironica. Spezzina nell’anima. Comica ma anche malinconica. Piena di nostalgia per una città, e per una piazza Brin, che non ci sono più: “Quer campanèo der chèe ch’i me fa Brin” è il titolo di una delle più belle raccolte di poesie di Renzo. La piazza di Ivo, “l’omo der fi”, l’uomo del filo, protagonista di una poesia della raccolta “Tazebao”. Tra poco sarà il centenario della prima esibizione di Ivo Aprigliano in piazza Brin: era il 6 giugno 1922. Quella sera Ivo salì su un cavo d’acciaio a venticinque metri d’altezza tra due tetti dei palazzi della piazza e cominciò tra lo stupore degli astanti a esibirsi con esercizi di incredibile equilibrismo. I ragazzi erano incantati. Nelle poesie di Renzo appaiono davanti a noi i ragazzi di piazza Brin che giocano a camalasso, alle biglie, alle piastrelle, che vanno alla processione del venerdì santo… Renzo ci fa conoscere Gigión Abossa e Bacicin… Ci fa rivivere la gioia e il dolore, il fascismo, la guerra, e poi “Bèla ciao”, “en ciànto dosse e ciao ch’i vinsa a guèra”.
Renzo è un gran dicitore del dialetto. Come ha scritto Spartaco Gamberini “è il miglior dicitore o lettore o attore che dir si voglia, che il dialetto spezzino abbia mai avuto. Non solo è un interprete meraviglioso, ma in bocca sua il dialetto assume una limpidezza e una chiarezza uniche, diventa lingua di grande dignità, rivela tutte le finezze semantiche e fonetiche del testo, sia ch’egli legga cose proprie o altrui”. In questo ruolo lo abbiamo ammirato per trentotto anni, nel salone dell’Accademia Capellini il pomeriggio del 19 marzo, San Giuseppe, e in tante altre occasioni.
Renzo, nel libro “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”, racconta la formazione sua e del fratello Sergio, che diventerà un grande fotografo:
“Per noi fu fondamentale la lezione di don Antonio Mori, Parroco di piazza Brin”.
Renzo e Sergio furono giovanissimi redattori di “Cose nostre”, il foglio parrocchiale.

Renzo Fregoso – La Spezia, Teatro Civico, 3 agosto 2006
(foto Enrico Amici)

Restarono nel “gruppo di don Mori” anche quando scelsero, politicamente, la sinistra:
“Per la nostra maturazione -anche la mia, ero stato Presidente della Gioventù Maschile di Azione Cattolica- fu molto importante la lezione di padre Ernesto Balducci: ci aprì un mondo nuovo, ci fece conoscere una concezione nuova. Era un uomo di profonda fede e di profondo sapere. E non uscì mai dalla Chiesa. Anche la lezione di don Lorenzo Milani fu molto importante. Ma il distacco per Sergio cominciò già nel 1948, proseguì negli anni Cinquanta e più marcatamente negli anni Sessanta, quelli del Concilio Vaticano Secondo. Sergio ebbe però una maturazione che precedette il Concilio. Ricordo che si teneva¬no diversi funerali dei comunisti in chiesa, per volontà dei parenti. Ma a loro non era consentito fare la Comunione. Sergio, per solidarietà con loro, per un senso di rispetto, rinunciava anche lui a farla. Per lui la fede non fu mai ostentazione, ma andava praticata con le opere”.
In entrambi rimase sempre viva “la lezione di don Mori, prima ancora di tutte le altre: la sua sottoli¬neatura della socialità del cristianesimo”.

Ogni Natale Renzo invia una poesia agli amici. Regalo ai lettori, d’accordo con lui, la poesia del Natale 2019, “Convalessensia”:

Convalessénsia
Vècia maotia brendosa, a zoventù
a l’ho pià da fante
e la m’ha portà ‘n zio finché l’ha ossü.
Poi a vita la m’ha ato na man
e, manaman,
‘n inverno dopo l’àotro en Ciassabrìn,
a ‘n son sortì con quarche recaita.
Anchè
quéla fréve de vive l’è spaì.
M’arencressa per voi, me a son guaì.

(Sibén ghe sia dée vòte………
Véi séa, presénpio, daré a fae ‘r presèpio,
c’ho recoì
a statuina de Gesù con man de fante.
En man d’en Fante).

Convalescenza
Vecchia malattia lentigginosa, la gioventù / l’ho presa
da ragazzo / e mi ha portato in giro finché ha voluto. /
Poi la vita mi ha dato una mano / e, mano a mano, /
un inverno dopo l’altro in piazza Brin, / ne sono uscito
con qualche ricaduta. / Oggi / quella febbre di vivere è
sparita. / Mi rincresce per voi, io son guarito.

(Sebbene ci siano delle volte…/ Ieri sera, per esempio,
dietro a fare il presepio, / che ho raccolto / la statuina di
Gesù con mani di bambino. / In mano d’un Bambino).

Siccome la poesia è giocata su tutte le ruote, in caso di bucatura del primo verso, questo può essere sostituito dalla ruota di scorta che gira così:
“Maotia ‘npetisenà, a zoventü” dove il neologismo “’npetisenà” (ricavato da “petìsene” = impetigini, efèlidi) rende meglio gli impeti, le impennate di quando si cavalcavano i vent’anni.

Renzo
Caro Renzo, vogliamo ancora tante tue “ricadute” nella “vecchia malattia” della “gioventù”.
Un grande abbraccio da tutti noi

Post scriptum:
Le fotografie di oggi sono state scattate da Enrico Amici al Teatro Civico il 3 agosto 2006. Dietro a Renzo ci sono i musicisti dell’Orchestra Mussinelli.

Due domeniche fa, nel post scriptum, ho raccontato lo sciopero della fame di Mario Sanna, terremotato di Amatrice, per avere giustizia. Mario ha interrotto lo sciopero perché la politica del nostro tristissimo Paese si è mossa, l’ha incontrato e ha garantito l’avvio delle procedure per l’istituzione del fondo per i familiari delle vittime del terremoto. La burocrazia -dicono- richiederà del tempo, ma la cosa si farà. Noi, e soprattutto Mario, rimaniamo vigili. Ma un uomo con quella determinazione non avrebbe interrotto la lotta se non avesse la sincera sensazione di aver ottenuto giustizia. E comunque è pronto a ripartire nel caso anche questa promessa venisse tradita.
Al di là di tutto credo che sia una grandissima cosa: in questi tempi così bui, un uomo senza poteri ma con una grande determinazione, coraggio e spirito ha dimostrato che a volte con solo il proprio corpo si possono smuovere cose che sembrano ormai inamovibili. Concludo con una riflessione che mi ha inviato l’amico Carlo Perazzo, il mio tramite con Mario:
“E se tra sei mesi fossimo in venti o cinquanta, sparsi in tutta Italia, a scioperare organizzati per chiedere una cosa semplice e di buon senso, una piccola briciola: prendere tre miliardi dalle spese militari e metterli nella scuola e nella sanità. Chi potrebbe dire di no, che non è giusto, che non serve, che non è il momento? Mario ci insegna che forse a volte vale la pena essere idealisti…”

lucidellacitta2011@gmail.com

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