Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
All’incontro interverrà Giorgio Pagano, curatore dell’opera e autore di una postfazione e di …

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La montagna sacra e il sacrificio di Giovanni

a cura di in data 23 Settembre 2017 – 10:47
Veduta del monte Dragnone dalla strada per il passo del Rastrello (2017)    (foto Giorgio Pagano)

Veduta del monte Dragnone dalla strada per il passo del Rastrello
(2017) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 17 settembre 2017

DAL LUOGO DI CULTO DEI LIGURI APUANI AL SANTUARIO MARIANO
La nostra “montagna sacra” non poteva che essere a Zignago, piccolo Comune tra collina e montagna, incastrato tra Lunigiana e Val di Vara. Zignago è al centro di un territorio ricco di storia e di testimonianze, dove si sono conservate tutte le tracce delle popolazioni che hanno abitato la Liguria: dai luoghi di culto degli antichi liguri che popolarono il territorio prima della dominazione romana, alle fortificazioni e ai tracciati bizantini, fino alle tracce di villaggi medievali longobardi e poi genovesi. I due siti più rilevanti sono il monte Dragnone e il monte Castellaro, entrambe “montagne sacre”. Il Dragnone lo è tuttora, per la presenza del Santuario mariano, oggetto di pellegrinaggio.
Durante l’età del bronzo cinque famiglie transumavano le greggi dai villaggi più bassi ai pascoli del Castellaro, e per questo innalzavano abitazioni. Le capanne venivano costruite nel pendio, su ripiani ottenuti con muri a secco, che risultano i più antichi della Liguria. Il fenomeno dei temporali, frequenti attorno alle due vette, veniva interpretato come segno della presenza di poteri soprannaturali, come in Grecia riguardo il monte Olimpo: nel X secolo a.C., sulla vetta del Castellaro, venne costruita una capanna dedicata alla Dea Madre, dove negli anni di poca pioggia si facevano offerte. Nel IV secolo a.C., invece, i Liguri Apuani effettuavano riti con libagioni sulla vetta del monte Dragnone, dove poi è stato costruito il Santuario. Sul Castellaro, i bizantini eressero un castello con torre e doppia cinta muraria (unico messo in luce nelle province della Spezia e di Genova) per controllare l’eventuale arrivo di truppe longobarde, tracciando un sentiero ancora visibile. Nel XII secolo i signori di Vezzano costruirono invece una torre che permetteva di comunicare proprio con il castello di Vezzano.
Il Santuario mariano del Dragnone potrebbe essere stato costruito sui resti di un antico edificio di culto dei Liguri Apuani, come testimoniano alcuni reperti archeologici della zona. Sulla data della costruzione del Santuario non vi sono dati e informazioni certe. Secondo la tradizione locale la sua fondazione fu ad opera dei monaci di San Colombano di Bobbio. La leggenda vuole che i monaci, provenienti o fuggiti dalla città di Luni per cause incerte, si rifugiarono nell’altopiano di Zignago diffondendo il culto religioso e l’insegnamento dell’ agricoltura agli abitanti locali. Le prime documentazioni ufficiali risalgono al 1568: un antico documento del “Libro dei conti” del Santuario, conservato ancora oggi nell’archivio parrocchiale della pieve locale, attesta la presenza di un edificio religioso nella zona dell’odierna struttura, che risale al 1856.
Il Dragnone è da sempre considerato una “montagna sacra” anche per via delle rocce rosso scure (ofioliti), resistenti all’erosione e poco adatte alle coltivazioni: lo sfruttamento della steatite (o pietra saponaria) del Dragnone è iniziato nell’età del rame ed è proseguito fino al Novecento.
Il monte, dunque, è un concentrato di storie e credenze. Oggi il culto della Madonna del Dragnone, Patrona di Zignago, è molto sentito, tanto che l’8 settembre, giorno della solenne ricorrenza, ogni anno accorrono moltissimi fedeli in pellegrinaggio dalla Val di Vara e dallo Zerasco, ma anche dalla Val di Magra e dal Parmense. La tradizione vuole che alle funzioni religiose segua il pranzo al sacco. Anche quest’anno centinaia e centinaia di pellegrini sono saliti sul monte per poi disperdersi in un ampio tratto dell’Alta Via dei Monti Liguri, che in nessun altro giorno dell’anno è così frequentata.

GORDON LETT E IL SANTUARIO RIMASTO ILLESO
Gordon Lett, militare inglese con il ruolo di maggiore, dopo l’8 settembre 1943 cercò di raggiungere, da Piacenza, gli alleati. Ma fu impossibilitato a farlo a causa dell’occupazione nazista, con il sostegno fascista, del Nord Italia. Si fermò a Rossano di Zeri, dove arrivò il 15 ottobre. Rossano era vicino, in linea d’aria, a Torpiana di Zignago, dove si stava formando un gruppo resistenziale per “Giustizia e Libertà”. Lett prese contatti con il gruppo, per un’azione comune. Il 2 gennaio 1944, costretto da in rastrellamento, il maggiore si recò a Torpiana. Qui il parroco don Battista Ravini gli consigliò di nascondersi sul monte Dragnone. Un sacerdote facoltoso aveva fatto costruire a ridosso della Chiesa un’abitazione nella quale viveva in ritiro per lunghi periodi, che dopo la sua morte era rimasta disabitata. Fu in questa casa che giunsero i fuggitivi guidati da Lett. Causa una spiata, a fine gennaio il gruppo dovette abbandonare in tutta fretta il nascondiglio, per riparare in una cascina sopra Torpiana. I fascisti non trovarono nessuno, ma i tedeschi non dimenticarono. Quasi un anno dopo, infatti, rasero al suolo la casa con un tiro di mortai. Il Santuario, invece, fu solo leggermente danneggiato.

Monte Dragnone, la lapide in memoria di Giovanni Pagani e dei suoi compagni    (2017)    (foto Giorgio Pagano)

Monte Dragnone, la lapide in memoria di Giovanni Pagani e dei suoi compagni
(2017) (foto Giorgio Pagano)

UNO “SCANZONATO” EROE SENZA MACCHIA E SENZA PAURA
Il Dragnone è una “montagna sacra” anche per chi crede nei grandi valori dell’umanesimo: lo è perché fu il luogo del sacrificio del partigiano Giovanni Pagani e dei suoi uomini nel terribile rastrellamento del Gottero del gennaio 1945. Li ho commemorati, insieme al Sindaco di Zignago Simone Sivori, proprio l’8 settembre scorso sul Dragnone, davanti alla lapide che li ricorda, al termine delle funzioni religiose del mattino. Ho letto questo bellissimo testo del comandante Nello Quartieri “Italiano”, scritto nel 1973:
“Giovanni Pagani, allievo ufficiale di complemento -arma di fanteria- subito dopo l’8 settembre raggiunse la sua famiglia e poco dopo iniziò la sua vita di partigiano, formando con pochi compagni il primo nucleo di quella che doveva essere la Colonna ‘Giustizia e Libertà’.
Dapprima gregario, venne, per il suo comportamento ardito e per le sue doti di animatore e di comandante, nominato capo-plotone e successivamente Comandante della IV Compagnia.
Le azioni che vennero ideate e condotte a termine da Giovanni sono innumerevoli. In particolare egli si era specializzato negli atti di sabotaggio lungo la via Aurelia, nel tratto Bocca Pignone e Borghetto Vara. Alcune azioni da lui condotte in particolari difficili condizioni di ambiente acquistano oggi, a distanza di tempo, del leggendario.
Con pochi uomini a lui assolutamente fedeli egli, per numerose volte, interruppe il traffico sulla Aurelia e ne sbarrò l’accesso alle formazioni nemiche all’altezza di Brugnato e di Rocchetta Vara.
In lui il Comando della IV Zona Operativa aveva assoluta fiducia e a lui, di conseguenza, affidava le imprese più rischiose e più delicate.
Lo ‘scanzonato’ Giovanni seppe farsi amare in modo veramente sentito dai compagni di lotta e dai superiori.
Ai compagni egli diede quanto era umanamente possibile dare; da ultimo anche la vita.
Il 20 gennaio 1945, con pochi dei suoi uomini, tentò di fermare le grosse colonne nemiche che dall’Aurelia risalivano verso la regione dello Zignago.
A tarda sera raggiungeva con un nucleo di compagni il paese di Vezzola; dovette ripartirne poco dopo perché il nemico aveva raggiunto Serò.
Pensò di poter trovare rifugio e riposo in una grotta sulle falde del monte Dragnone e ivi rimase fino al giorno 23, quando una vedetta tedesca, avendo scorto dei movimenti, informò un grosso pattuglione che circondò il rifugio.
Alla intimazione di resa Giovanni Pagani sapeva di poter contare fino all’ultimo sui suoi partigiani, ma sapeva anche che, accettando il combattimento, avrebbe coinvolto nel supremo sacrificio anche quei pochi civili che si erano aggregati al suo gruppo.
Così egli preferì arrendersi e scese dai monti al piano ormai prigioniero di quelle brigate nere che lo sapevano loro giurato nemico.
Tradotto nelle carceri del famigerato ‘21° Fanteria’, torturato e interrogato con ogni astuzia possibile, rivelò anche ai suoi nemici il suo adamantino coraggio e il suo fiero carattere.
Ad essi egli rivolse parole di scherno e non cercò vane difese per giustificare il suo operato, limitandosi invece ad avocare a se stesso tutte le colpe che venivano attribuite ai suoi compagni di lotta.
La sera del 3 febbraio 1945 venne prelevato, unitamente all’amico e compagno di fede Ezio Grandis, dalla cella dove si trovava rinchiuso.
Trasportato nei pressi della sua abitazione, in località Chiappa alla Spezia, veniva messo al muro. Neanche in quell’estremo momento il cuore di Giovanni Pagani ebbe un attimo di titubanza, né di sconforto.
Forse egli rivedeva i monti lontani, i suoi compagni di lotta e la sua adorata famiglia.
Una scarica di fucileria stroncava così la nobile esistenza di quello che fu senza dubbio il più fulgido esempio d’ardimento e di valore delle formazioni partigiane della Colonna ‘Giustizia e Libertà’. A lui deve sempre andare il reverente commosso pensiero di quanti lo conobbero e di tutti coloro che attraverso le sue gesta lo immaginarono ‘scanzonato’ eroe senza macchia e senza paura”.
I civili furono risparmiati. Del gruppo di Giovanni Giuseppe Da Pozzo fu ucciso a Monterosso, Vittorio Brosini a Stagnedo di Beverino. Per Giovanni il Comitato Unitario della Resistenza ha chiesto la Medaglia d’Oro.

Post scriptum
Dedico questo articolo a Carlo Borione “Bill secondo”, un partigiano valoroso e un caro amico, mancato un mese fa. Ho raccolto la sua testimonianza, in questa rubrica, in “L’epopea del Gottero”, 25 gennaio 2015.
Sul sacrificio di Giovanni Pagani ho scritto, in questa rubrica, in “Siamo i ribelli della montagna”, 8 febbraio 2015

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