Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
All’incontro interverrà Giorgio Pagano, curatore dell’opera e autore di una postfazione e di …

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La civiltà affonda nel Mediterraneo

a cura di in data 19 Giugno 2015 – 09:24
Egitto, Valle del Nilo - Il Grande Tempio di Abu Simbel   (2012)  (foto Giorgio Pagano)

Egitto, Valle del Nilo
Il Grande Tempio di Abu Simbel
(2012) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 14 giugno 2015 – ll continuo flusso di migranti, fenomeno non governato e lasciato a soluzioni trovate sul momento, sta mettendo a nudo la crisi profonda della “civiltà” europea e italiana. L’Unione europea è ben lontana da un’assunzione di corresponsabilità. L’Italia e ancor più la Grecia sono chiamate a Bruxelles per obbedire ai diktat dell’austerity neoliberista, ma non per far sì che i confini siano permeabili non solo alla concorrenza, ma anche agli esseri umani disperati. Dobbiamo criticare, dunque, l’egoismo dei leader dei Paesi europei; e anche Renzi per l’inefficacia della sua azione affinché l’Italia e il sud dell’Europa non siano lasciati soli a fronteggiare l’emergenza. Ma dobbiamo anche criticare le becere sortite propagandistiche di Maroni, Zaia e Toti, che rifiutano i migranti nei territori delle loro Regioni. Con quali credenziali Renzi può pretendere dai partner europei una solidarietà che viene negata all’interno stesso del Paese che rappresenta?

Ma quanti sono i profughi? Alessandro Cassinis, sul Secolo XIX, ha dimostrato come per tutta la campagna elettorale il centrodestra abbia ingigantito il fenomeno, per “scatenare il panico da invasione”. In realtà, finora, i profughi arrivati in Liguria sono 2000; ne sono rimasti 910, lo 0,05% dei liguri. In Italia, dall’inizio dell’anno al 7 giugno, il numero dei profughi è di 52.671: poco più dei 47.708 registrati nello stesso periodo dell’anno scorso. Sulla base d questo trend è calcolabile un numero di 190.000 – 200.000 a fine anno. Come si giustificano i toni paranoici? Davvero si vuole far credere che l’arrivo di alcune centinaia di migliaia di persone costituisca una minaccia per gli equilibri economici e sociali di un gruppo di Paesi tra i più ricchi del mondo? Che le poche decine di eritrei bloccati a Ventimiglia sconvolgeranno la vita della Francia?

Certo, il fenomeno va ricondotto ai suoi numeri reali, ma non sminuito. Stiamo parlando di fatti e drammi che sono conseguenza del mondo che abbiamo costruito, della globalizzazione sregolata che ha diffuso la violenza e non la pace, e che ora si rivolta contro di noi. In Libano ci sono 1,6 milioni di profughi, in Giordania 600.000, in Turchia 650.000, in Iraq 250.000. All’interno della Siria gli sfollati sono 6,5 milioni. In Egitto 500.000, in Libia forse più di un milione. Sono persone fuggite dalla deflagrazione del conflitto in Siria, dalle guerre in Afghanistan e in Iraq, dagli scontri da tempo in atto in Somalia, in Sudan, nel Congo, in Mali… In Nigeria Boko Haram ha creato 3,2 milioni di profughi, metà è già in Ciad, Camerun e Niger, metà sta cercando di fuggire. Non hanno cercato e trovato accoglienza nei Paesi più ricchi d’Europa ma nei Paesi più vicini, molto più poveri. Si discute di pattugliamenti navali, bombardamenti di barconi… Ma nel 2013, spiega Ignazio Masulli sul Manifesto, Pakistan, Iran, Libano, Giordania, Turchia, Kenya, Ciad, Etiopia, da soli, hanno raccolto 5 milioni e mezzo di profughi! Il che significa che un gruppo di Paesi, il cui Pil è 1/5 di quello dei Paesi dell’Ue, ha accolto in un anno un numero di immigrati e di rifugiati che è 136 volte più grande del numero di quelli che sono disposti ad accogliere i Paesi della grande Europa in due anni!

Palestina, Veduta di Gerico dal Monte delle Tentazioni   (2007)  (foto Giorgio Pagano)

Palestina, Veduta di Gerico
dal Monte delle Tentazioni
(2007) (foto Giorgio Pagano)

Quindi anche l’Europa deve fare la sua parte. Purtroppo le guerre non finiranno presto. A proposito, ricordiamoci che si tratta di guerre combattute in gran parte con armi europee: quando si usa la retorica dell’“aiutiamoli a casa loro”, bisognerebbe considerare che il primo passo per aiutarli a casa loro è non vendere loro armi, come dice sempre il Papa. Molti Paesi sono distrutti, non c’è più posto per chi è fuggito. Dobbiamo ampliare lo sguardo, non chiudere gli occhi. I profughi sono milioni, i flussi non si fermeranno. La prospettiva di annegare nel Mediterraneo non convince la gente che fugge dai luoghi in cui si muore di guerra o di fame a restare ad agonizzare a casa sua. Ricorrere alla forza non serve, perché prima o poi i muri crollano e i confini impermeabili si rivelano porosi, dal Muro di Berlino alla frontiera tra Stati Uniti e Messico. Il dramma del Mediterraneo occuperà il resto della nostra vita. Va quindi gestito con una cura speciale, senza illudersi di risolverlo con la forza e le scorciatoie militari: lo renderemmo ingestibile.

Finora non siamo stati in grado di gestire il dramma, né come Italia né come Europa. L’Europa non ha una politica comune dell’immigrazione: ogni Stato viaggia per conto suo. L’Italia aveva “Mare Nostrum”, che ha salvato molte vite umane. Ma l’ha sostituito con il quasi inutile “Triton”. Pensate: “Mare Nostrum” costava due euro all’anno per ogni italiano, sarebbe costato venti centesimi all’anno per ogni europeo. Il messaggio è stato chiaro: i soldi europei devono restare nelle banche, non essere spesi per salvare vite. Lo stesso messaggio di questi giorni: nessuna o ben poca solidarietà verso i Paesi del sud Europa più esposti ai flussi migratori. Ma anche l’Italia ha le sue colpe: non ha una vera e propria legge sull’immigrazione, perché la Bossi – Fini è un provvedimento sul mercato del lavoro, o meglio una legge a favore del lavoro nero, che considera gli immigrati una massa di lavoratori senza diritti, disposti a lavorare in qualsiasi condizione. E non ha nemmeno una legge sul diritto d’asilo.

L’Italia e L’Europa sono davanti a un bivio: o predisporci ad accogliere, a vivere in una vera comunità interculturale; o scegliere il respingimento e la guerra. La prima scelta non è poi così difficile: un continente di mezzo miliardo di anime può attrezzarsi per ricevere nel tempo qualche milione di persone, distribuendo concordemente lo sforzo sulle spalle di ciascun Paese in proporzione alle sue risorse. La seconda scelta è gravida di conseguenze: sarebbe una ecatombe senza fine.

Che fare, dunque? Occorre creare presidi internazionali, umanamente decenti, nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo, da cui smistare i rifugiati nei diversi Paesi europei. E intanto ripristinare “Mare Nostrum” e organizzare vie legali di fuga per togliere i fuggitivi dalle mani dei trafficanti. Dobbiamo far sì che le persone possano rivolgersi agli Stati, all’Unione europea, all’Onu, e non agli scafisti. Altrimenti non elimineremo la loro schiavitù.

Vanno poi affrontate due questioni decisive. La prima è che i poveri europei si sentono abbandonati, e se la prendono con chi è più povero di loro. Occorre dunque assicurare standard minimi di reddito, abitazione, lavoro, servizi per tutti. La seconda è che serve un grande piano di cooperazione allo sviluppo, basato sul partenariato tra “noi” e “loro”: il che significa che noi dobbiamo andare da loro a trasferire tecnologie ed esperienze, ma anche che noi dobbiamo supportarli, qui in Italia, a pensare progetti in grado di aiutare i loro Paesi di provenienza, affinché possano tornare a casa loro, che è ciò che vogliono.

lucidellacitta2011@gmail.com

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