Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
All’incontro interverrà Giorgio Pagano, curatore dell’opera e autore di una postfazione e di …

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La casa sempre aperta agli ultimi

a cura di in data 22 Dicembre 2020 – 15:05

Don Andrea Gallo e Giorgio Pagano in occasione dell’iniziativa per i due anni di vita dell’Associazione Culturale Mediterraneo, Centro Allende, 3 novembre 2010
(foto Enrico Amici)

Città della Spezia, 13 dicembre 2020 – Nata giusto cinquant’anni fa a Genova per prendersi cura delle persone fragili, la Comunità di San Benedetto al Porto si è occupata negli anni di tossicodipendenti, prostitute, migranti, vittime di tratta, persone “in transizione”… Una casa sempre aperta agli ultimi, ai bisognosi, a chi ha sbagliato ma merita una seconda possibilità. “Una palestra di radicalità e di ricerca della verità”, ha detto don Luigi Ciotti il giorno dell’anniversario. Gestita con un approccio alternativo ai modelli di intervento di natura meramente assistenzialistica, che punta invece sull’assunto della responsabilità individuale, alla quale si riconduce la possibilità di cambiare la propria vita da parte della persona che soffre. Un luogo in cui la persona è al centro, è il primo attore in grado di operare il cambiamento perché capace di autodeterminare le proprie scelte.

Domenico “Megu” Chionetti, portavoce della Comunità, per tanti anni collaboratore del fondatore don Andrea Gallo, mi racconta le attività e i progetti in corso: non solo le strutture di accoglienza, ma anche la solidarietà concreta a chi si trova nel bisogno, il ristorante, la fabbrica del riciclo, il negozio di abiti usati… “Abbiamo retto, dopo la scomparsa di don Gallo -mi spiega- grazie alla progettualità”. Non era facile, venuta meno la figura di riferimento e la guida, ma i ragazzi di San Benedetto ce l’hanno fatta, restando fedeli alla grande lezione di Andrea: lavorare con gli altri e per gli altri.

Tutto cominciò l’8 dicembre 1970, quando don Gallo venne accolto da don Federico Rebora nella sua parrocchia sotto la Lanterna. Era stato cappellano sulla nave-riformatorio Garaventa. Poi la sua prima parrocchia, quella del Carmine. La Chiesa conservatrice del cardinale Giuseppe Siri non apprezzò le sue vedute e il suo attivismo politico e lo spedì sull’isola di Capraia a fare il cappellano in carcere, tra le proteste dei fedeli. Fino al ritorno a Genova, ma nella parrocchia di San Benedetto, dove per fortuna c’era don Federico: il suo contributo e sostegno all’opera del Gallo sono sempre stati decisivi.

Ora il Gallo manca, ma non solo alla sua Comunità. Manca a Genova, alla Liguria, al Paese. Sarebbe utile a Papa Francesco, al Papa che, in “Fratelli tutti”, è arrivato a dire: “Finché il nostro sistema economico-sociale produrrà ancora una vittima e ci sarà una sola persona scartata, non ci potrà essere la festa della fraternità universale”. E che per questo è sottoposto a tanti attacchi, anche interni alla Chiesa.

Il Gallo sarebbe utile anche alla sinistra, per la sua passione per la giustizia e per la sua capacità di unire. Ho sempre pensato che, lui in vita, le elezioni regionali del 2015 sarebbero andate diversamente. Quelle del 2020 non credo, tanto la crisi della sinistra si è aggravata: “La Sinistra è (quasi) fuori dalla Storia”, mi scrisse in un messaggio in una notte del 2012. Viene in mente certa sedicente “sinistra” di oggi, quella degli avventurieri pronti alla crisi di governo nel pieno del dramma della pandemia…

Il cappello di don Andrea Gallo
(2010) (foto Enrico Amici)

Il Gallo sarebbe utile oggi a tutti, di fronte a questo dramma. Farebbe bene solo vederlo e sentirlo, perché darebbe speranza. Ci farebbe capire che si può sempre ripartire da tutte le difficoltà della vita, che non possono non mancare. Ci insegnerebbe a rialzarci dopo essere caduti, a riprendere il cammino dopo i fallimenti, le sconfitte, gli smarrimenti. A uscire dalla malattia della “sicurezza” (che curiamo a forza di paure) per indicarci che la guarigione consiste nel riuscire a vivere l’insicurezza come una condizione dell’essere umano e nel vivere nel nome della speranza, sempre più forte del male. Ci farebbe forse immaginare un Natale diverso, in cui riuscire a comunicare quei sentimenti a cui non vogliamo rinunciare, pur sapendo che questa volta dobbiamo vivere la festa lontani dai nostri cari per difenderli dai rischi.

A me manca soprattutto il Gallo che ha ricordato in questi giorni Moni Ovadia: quello della consapevolezza che “nessuna vera rivoluzione può accadere senza una dimensione spirituale, che non riguarda solo i credenti”, e che “quello per cui le persone si battono deve essere interiorizzato, deve avere una dimensione intima e profonda”. Motivai con queste parole il mio distacco, nel 2007, dalla “politica tradizionale”, tra ironie e attacchi dei miei ex “compagni” della sinistra che stava sparendo perché usava sempre più le parole degli altri. Scelsi la strada dell’impegno in altre forme di attivismo, sociale e culturale, ma portandomi dentro un nascosto “senso di colpa”. Fu lui che “mi liberò” nei nostri colloqui, e poi con la bellissima Prefazione che fece al mio libro “La sinistra la capra e il violino”, che volle presentare con me in giro per la Liguria: “L’importante-mi disse- è che tu non smentisca la tua scelta. La priorità della tua vita è la politica per le persone, non questo o quel partito”.

Post scriptum:
le foto di oggi ritraggono don Andrea Gallo (o meglio, una ritrae il suo “mitico” cappello che mai abbandonava, quindi sempre lui!). Le ha scattate Enrico Amici in una delle tante iniziative fatte insieme, la presentazione del suo libro “Così in terra così in cielo” in occasione del festeggiamento dei due anni di vita dell’Associazione Culturale Mediterraneo, il 3 novembre 2010 al Centro Allende.
L’articolo di oggi è dedicato a tutte le amiche -Lilli in primis- e gli amici della Comunità di San Benedetto e ad un’altra amica, che purtroppo il Covid-19 ci ha strappato nei giorni scorsi: Lidia Menapace, staffetta partigiana, cristiana, comunista, pacifista. Espressione di una politica bella, alta, forse irripetibile. Anche lei mi onorò di una Prefazione: al libro, scritto con Maria Cristina Mirabello, “Sebben che siamo donne. Resistenza al femminile in IV Zona Operativa, tra La Spezia e Lunigiana”. Parlando delle donne le cui vite sono narrate nel libro e di se stessa, Lidia scrisse: “I gesti anche minimi, i mezzi anche modesti, la forza ottenuta vincendo le paure, il coraggio costruito quotidianamente, visto che eravamo persone comuni e non ‘eroi’, sempre potranno esserci, se non si lasciano cancellare né deformare gli eventi”. Le saremo fedeli se ci impegneremo per la memoria, contro il “presentismo assoluto”, senza ieri né domani, senza memoria né speranza. E se saremo ancora capaci, nel nostro tempo, di quei “gesti anche minimi”.

lucidellacitta2011@gmail.com

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