Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
All’incontro interverrà Giorgio Pagano, curatore dell’opera e autore di una postfazione e di …

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La battaglia del Gottero e l’eroismo di Amelio

a cura di in data 24 Gennaio 2012 – 10:32

La Spezia, torrente Lagora (2011) - Mostra del Gruppo Fotografico Obiettivo Spezia "Lagora (racconti per immagini)", pizzeria "Sopra il Lagora", 23 dicembre 2011 - 15 gennaio 2012 (foto Giorgio Pagano)

Città  della  Spezia,  22  gennaio  2012 – Appena posso mi “ricarico” con lunghe camminate nei nostri sentieri. In quelli di collina e di montagna, tra val di Vara, val di Magra, Lunigiana, Appennino e Apuane, cerco sempre i segni in memoria della Resistenza. Sono i luoghi in cui combatterono le nostre bande partigiane. Domenica scorsa ero al Lago Santo, nell’Appennino parmense, ai piedi del monte Marmagna. E’ un luogo a me molto caro, per la sua grande bellezza e perché il rifugio sulle sue rive fu sede di un episodio  leggendario della nostra Resistenza: la battaglia condotta nella notte tra il 18 e il 19 marzo 1944, dentro il rifugio, da nove ribelli guidati da Dante Castellucci (Facio), che costrinsero alla ritirata oltre cento nazifascisti. Ne nacque un’epica tra le valli: la prova che la Resistenza poteva essere vittoriosa. Camminando in quei sentieri immagino quello che tante volte mi è stato raccontato dai miei compagni e amici partigiani: il loro passaggio, dopo essere stati riscaldati e curati, sui carri contadini per cambiare zona, e ai loro lati la gente di montagna che piange e si inginocchia, mentre  loro salutano con le armi in pugno.

Ma il monte che più amo è il Gottero, ai confini tra Liguria, Toscana e Emilia. Dalla vetta, accanto alla stele che ricorda la Resistenza, si ammirano gli Appennini, le Alpi e il mare, fino alla Corsica. E soprattutto il nostro golfo, in una veduta magnifica. Dopo esserci stato, un suo ufficiale fece dire a Napoleone la celebre frase, che descrive il nostro golfo come “il più bello dell’Universo”. Il Gottero è un altro luogo simbolo della Resistenza, legato al drammatico rastrellamento del 20 gennaio 1945. Era un momento molto duro per le nostre bande della IV Zona Operativa: tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre 1944 i rastrellamenti avevano avuto conseguenze pesantissime, quasi un tracollo. A gennaio le condizioni meteorologiche peggiorarono, ci furono forti nevicate. Si sopravviveva e si combatteva a dieci, quindici gradi sottozero. La mattina del 20 gennaio ebbe inizio l’atteso e temuto rastrellamento concentrico contro la IV Zona, condotto da nazisti e fascisti: scesero da nord verso il passo delle Cento Croci, salirono da sud verso Sesta Godano, Borghetto e Calice, dilagarono da est nello Zerasco. Gran parte delle bande si ritirò sul monte Gottero. Subirono colpi, ma non ci fu lo sbandamento generale. Ci furono “solo” 50 morti e  40 prigionieri. Moltissimi partigiani subirono congelamenti più o meno gravi agli arti inferiori, privi com’erano delle calzature adatte.  Il comandante della IV Zona Mario Fontana poté scrivere al CLN spezzino che “i reparti e i comandi sono ancora in piedi e approfitteranno di quest’altra dolorosa esperienza per uscirne maggiormente rafforzati”. Fu davvero così: i partigiani si riorganizzarono e ripresero la lotta, fino alla vittoria finale contro la barbarie.

La battaglia del Gottero ebbe però un ultimo drammatico epilogo. Il ritiro della colonna Giustizia e Libertà fu più complesso, perché era troppo lontana dal Gottero. Un contingente della III compagnia della colonna azionista si rifugiò a Valeriano, e fu sorpreso dalla brigate nere nella notte tra il 25 e il 26 gennaio. I partigiani, guidati dal loro comandante Amelio Guerrieri, si aprirono un varco di fuga grazie al “fuoco continuo” dei loro fucili. Purtroppo lasciarono sul terreno due uomini, ma tutti gli altri si salvarono. A sentirla raccontare sembra un’impresa impossibile: riuscì solo grazie al coraggio e all’intelligenza di Amelio. Ancora oggi i suoi “ragazzi” gli obbediscono come a un capo. Ma non scrivo oltre di lui. E’ così modesto che mi rimprovererebbe. L’ha fatto anche ieri, alla manifestazione a Valeriano, in cui ero oratore a nome del Comitato Unitario della Resistenza. Sottolineo solo un concetto, che Amelio e i suoi “ragazzi”, come tutti i partigiani, si meritano sia sempre ricordato: il ruolo dei ribelli fu decisivo dal punto di vista militare, ma anche e  soprattutto da quello politico e morale. Perché offrirono un’alternativa al fascismo e una speranza per il domani. Perché, come a Valeriano, non si arresero mai. Perché seppero scegliere tra il bene e il male. E’ un messaggio così forte che spinge ognuno di noi  a riconoscervisi.

Ecco perché queste iniziative nei nostri borghi più colpiti per tener viva e rinnovare la memoria riescono sempre. Ci sono i ragazzi con i loro insegnanti: presentano i lavori, sempre pregevoli, fatti a scuola studiando la Resistenza. Ci sono il sindaco, il parroco, le associazioni, tanta gente… E la prova che la Resistenza fu un fatto di popolo, e che i suoi valori sono ancora vivi e forti nella nostra comunità. La partecipazione popolare fu un segno distintivo della Resistenza, e un fatto nuovo nella storia nazionale: si pensi al rapporto tra partigiani e contadini dei monti e operai delle città. Mai, come allora, ci fu un così forte desiderio di partecipare alla vita pubblica. Oggi, pur tra tante difficoltà,  abbiamo segni di un nuovo civismo e di una voglia di contare: guai a farli a cadere. Una democrazia non vive se la politica è una sfera castale, separata dalla società e dalla vita reale delle persone, se non rende protagonisti i più deboli, se non è lo strumento del loro riscatto e della loro emancipazione.

lucidellacitta2011@gmail.com

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