Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
All’incontro interverrà Giorgio Pagano, curatore dell’opera e autore di una postfazione e di …

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I ribelli della Lunigiana e Aurelio Gallo, il torturatore

a cura di in data 27 Aprile 2019 – 18:09
Lunigiana, partigiani della Brigata Borrini - foto archivio Luigi Leonardi

Lunigiana, partigiani della Brigata Borrini
foto archivio Luigi Leonardi

Città della Spezia, 22 aprile 2019 – Il luglio 1944, in Lunigiana, fu un mese terribile. Un solo esempio:
“Ponticello, Comune di Filattiera. Il 3 luglio Maria, 11 anni, venne prelevata da casa con la mamma, la nonna e il papà. Tutti furono portati di fronte alla chiesa. Subito dopo videro arrivare tedeschi con cinque prigionieri. Erano civili rastrellati per la morte di un soldato tedesco: Enrico Angella, ferroviere; il fratello Francesco, mugnaio; Leopoldo Mori, contadino; i fratelli Giovanni e Vincenzo Sardella, pittori imbianchini.
Sul piazzale della chiesa venne raccolta la popolazione affinché assistesse. Metodo del terrore. I cinque, tenuti in una stalla, vennero portati a uno a uno davanti al portone di una grossa villa, villa Zangrandi, sul lato destro della chiesa. Cinque tedeschi componevano il plotone d’esecuzione. I primi quattro condannati, le braccia piegate sopra la testa, ebbero la loro scarica di piombo alla schiena; ucciso uno, sotto l’altro, e man mano ognuno doveva spostare il corpo del compagno precedente. Il comandante del plotone stava sull’uscio della chiesa e da lì ordinava il fuoco, e mentre faceva questo mangiava un panino. L’ultimo ad essere fucilato fu Leopoldo. Per tre volte lo avevano messo di schiena, ma lui si rigirava. Gli spararono allo stomaco.
Maria era terrorizzata; tra gli uomini radunati con la popolazione c’era anche suo padre e lei credeva che uccidessero anche lui. Non fu così: venne però deportato. Poi dovette ubbidire quando a tutti fu dato il comando di portarsi fuori del paese. E per farlo dovevano passare sopra il lago di sangue che si era formato in quel piazzale. La nonna di Maria aveva ottant’anni. Era cieca e lei la teneva a braccetto con una sua cugina. La nonna era pure scalza, e quando sentì bagnato sotto i piedi si scansò. Ma doveva pestarlo il sangue e allora le affibbiarono il calcio del mitra nella schiena. Pure Maria era scalza e tutto quel sangue lo sentiva scivolare sotto i piedi.
Poi saccheggiarono il paese, rubarono polli, maiali, insaccati, le bestie. Quando tornarono a casa dopo 15 giorni, Maria e i suoi scoprirono che avevano portato via tutto”.
I cinque sfollati uccisi erano estranei alle bande partigiane. I loro corpi furono poi appesi alle fronde degli alberi.
Il racconto della strage di Ponticello è uno dei tanti che compongono il bel libro di Luigi Leonardi “Umili e ribelli. Storie di guerra in Lunigiana”, scritto con il suo stile di raccontatore di storie. Ci sono tutti gli orrori del rastrellamento “Wallenstein I”, che all’inizio del luglio 1944 colpì la zona che va dal passo del Brattello (tra Pontremoli e Borgotaro) e raggiunse la Garfagnana: non ci fu paese di quest’area che non vide la presenza feroce di nazisti e di fascisti del Battaglione Lupo della X Mas. Fu un rastrellamento che si contraddistinse per la sua estrema durezza verso la popolazione. Furono uccisi, nella sola Lunigiana, una trentina di civili, tra i quali molti giovani renitenti, ma anche pastori, sfollati, medici, anziani e disabili. E, per la prima volta, furono presi di mira i parroci. Nella diocesi di Pontremoli ne furono arrestati e deportati in Emilia 22, salvati solo grazie all’intervento del Vescovo di Pontremoli Sismondo e di quello parmense Colli. Non si salvò, invece, don Lino Baldini, parroco di Camporaghena di Comano, che fu fucilato il 4 luglio.
Il rastrellamento, come ha raccontato Maria a Leonardi, fu inoltre una gigantesca razzia di derrate alimentari, bestiame e soprattutto uomini da destinarsi ai lavori forzati in Italia e in Germania.

DALLA BRIGATA “37b” ALLA BRIGATA “BORRINI” E ALLA MORTE DI “EBIO”
Ma chi erano i partigiani che i tedeschi e i fascisti cercavano in quella zona? Erano in buona parte legati a Spezia. Tra Bagnone e Licciana Nardi si era sviluppata infatti la banda di Ernesto Parducci “Giovanni”, unico sopravvissuto della strage del monte Barca nel Bagnonese (14 marzo 1944), di cui ho scritto più volte in questa rubrica, e a cui Leonardi ha dedicato il suo libro precedente, “I ragazzi del Monte Barca”. La banda, denominata “37b”, era legata ai comunisti sarzanesi. Dopo il ferimento di “Giovanni” il 18 giugno, il comandante era diventato Piero Galantini “Federico”, inviato ai monti dai comunisti, futuro comandante della Brigata “Muccini”. Il rastrellamento provocò la dissoluzione della “37b”: alcuni uomini furono catturati, ma molti ribelli riuscirono a raggiungere il fondovalle, mente un gruppo guidato da “Federico” si diresse verso il Monte Tondo, in Garfagnana.
Nell’autunno del 1944, sui monti di Bagnone e Licciana, sorse, sulle ceneri della “37b”, la Brigata “Borrini”, dal nome di Leone Borrini, comunista di Villafranca Lunigiana caduto nella guerra di Spagna. La Brigata faceva parte della nostra IV Zona Operativa -il suo principale organizzatore, Edoardo Bassignani “Ebio”, di Merizzo, era collegato con il PCI spezzino- ma dal punto d vista militare il rapporto era con la IV Zona Apuana.
Nel libro di Leonardi c’è anche la storia della Brigata “Borrini”, delle sue azioni e -attraverso la memoria di Lorenzo, un bambino di 7 anni- della morte di “Ebio”, il 3 febbraio 1945 per mano di alpini fascisti a Merizzo. “Ebio” tentò la fuga ma fu ucciso da una raffica di mitra, presente sua madre, che corse da lui disperata:
“L’aveva preso nel suo grembo e lamentosa borbottava: ‘Il mio cico… il mio cico’. E lo accarezzava, e prendeva il suo cervello, una parte sparso a terra, e cercava di risistemarglielo dentro la ferita del cranio, con cura. Prendeva quella materia bianca e rosa, simile a ricotta, e la riaccomodava come fosse possibile riaggiustarlo”.

Licciana Nardi, Apella, rifugio della Brigata "37b" - foto archivio Luigi Leonardi

Licciana Nardi, Apella, rifugio della Brigata “37b”
foto archivio Luigi Leonardi

LA TRAGEDIA DEL XXI REGGIMENTO E LA GIUSTIZIA POPOLARE
Nella seconda parte del libro, Luigi Leonardi ricostruisce la vicenda della visita di Mussolini a Mocrone e poi della sua fuga, fino all’arresto da parte dei partigiani, e infine una vicenda successiva alla Liberazione: l’arresto, il processo e la condanna a morte di Aurelio Gallo, il terribile torturatore dell’ex XXI Reggimento Fanteria.
Ecco la storia di Marcello, arrestato il 3 febbraio 1945 dai repubblichini e portato in Questura e poi, da Gallo, al XXI. Gli fu trovato addosso un cliché già battuto a macchina, per essere riprodotto a ciclostile. Non parlò, fu portato nella sala chiamata “scannatoio”:
“Entrò nella sala con Aurelio stesso, venuto di persona a prelevarlo. Nello ‘scannatoio’ c’erano già alcuni sgherri. Quando fu dentro Aurelio chiuse la porta e gli ordinò di spogliarsi. Restò con la sola camicia. Gli sgherri si disposero uno per ogni angolo della sala. Marcello restò nel mezzo, di fronte al boia che brandiva con bestiale ferocia un lungo nervo. Cominciò la danza: ‘Tu sei comunista?’ lo apostrofò Gallo. ‘Guarda cosa facciamo noi dei comunisti’. E giù nervate su tutta la parte del corpo e della testa… ovunque capitasse. A ogni nervata, urli da belva, e improperi a lui e al suo partito.
Cercando di sfuggire dal mezzo della stanza per sottrarsi alle nervate, il malcapitato veniva colpito a calci e pugni dagli altri aguzzini, per ritrovarsi ancora nel mezzo. A un certo punto entrò un altro; aveva in mano una robusta catena. Questi gli sferrò subito un pugno che gli ruppe il naso, poi, con la catena, aiutava i suoi compari a batterlo. Si ritrovò così di fronte a sei aguzzini; chi non aveva nervo o catena faceva a gara a picchiare più forte a suon di calci, pugni, schiaffi. Marcello non sapeva più da che parte voltarsi: ovunque pioveva qualcosa sulla sua testa. Poi il Gallo lo fece mettere a gambe divaricate, in piedi. In quella posizione lo picchiò con il nervo sotto i testicoli. Quindi con la catena, gli fece legare i polsi dietro la schiena e lo volle disteso a terra bocconi. Continuando a batterlo come un dannato con il nervo gli saltava addosso con i piedi. Questa danza durò per un’ora, finché sfinito e grondante sudore Aurelio si gettò su una poltrona per riposarsi. Fu allora la volta di un altro, più fresco e agile del maestro, a frustarlo. Alla fine, visti vani i loro tentativi di ottenere qualcosa di concreto dalla sua bocca, Gallo ordinò di mettere la corrente nei suoi testicoli. Ma tale operazione non poterono farla. Marcello grondava sangue da ogni parte del corpo…”.
I catturati, dopo questo inferno, venivano poi in gran parte deportati in Germania. Ecco perché:
“Subito alla fine della guerra il popolo chiese giustizia”.
Il processo si celebrò il 6 maggio 1946. La tensione era altissima. Ci furono oltre 120 testimonianze raccapriccianti. Migliaia di persone vigilavano, in prima fila le donne di Migliarina, madri, spose, sorelle dei caduti. Il 14 maggio Gallo e gli altri membri della sua banda, Emilio Battisti, Achille Morelli, Matteo Guerra, Aldo Capitani, furono condannati alla pena di morte. All’alba del 5 marzo 1947, al forte Bastia di Vezzano Ligure, la sentenza fu eseguita per Gallo, Battisti e Morelli. La mobilitazione popolare non si era mia interrotta. In un contesto generale caratterizzato dal colpo di spugna la condanna di Gallo, Battisti e Morelli fu un’eccezione: la “sovranità” del popolo spezzino si impose e prevalse.

IL PASSATO E IL PRESENTE
Certamente oggi dobbiamo volere la riconciliazione e superare ogni rancore: ma non possiamo consentire che sia violentata la realtà storica e che abbiano spazio le idee che sono state sconfitte settantaquattro anni fa.
Altrettanto certamente oggi dobbiamo guardare non solo al passato ma anche al presente. Guardare alla crisi della nostra democrazia, alle crescenti diseguaglianze sociali. Ma questo significa tornare ai fondamenti costituzionali della nostra vita comune. C’è un legame forte tra le difficoltà del presente e le lezioni del passato. Perché si può uscire dalle difficoltà del presente solo attuando la Costituzione nata dalla Resistenza.

Post scriptum:
Sull’eccidio del Monte Barca si veda:
Il coraggio della libertà e la buona politica in www.associazioneculturalemediterraneo.com, 11 aprile 2010.
I ragazzi di Valmozzola e del monte Barca e la Medaglia che ci spetta, in “Città della Spezia”, 24 aprile 2016.
Sulle Brigate “37b” e “Borrini” si veda:
La Brigata dei sarzanesi – prima parte, in “Città della Spezia”, 19 aprile 2015.
Sul processo e la condanna alla banda Gallo, si veda:
Prefazione a Umili e ribelli, in www.associazioneculturalemediterraneo.com.

lucidellacitta2011@gmail.com

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