Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
All’incontro interverrà Giorgio Pagano, curatore dell’opera e autore di una postfazione e di …

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“Gustinoli”, un mazziniano al Monteverdi

a cura di in data 29 Aprile 2017 – 08:46
Monterosso    (2008)    (foto Giorgio Pagano)

Monterosso
(2008) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 23 aprile 2017 – Agostino Ruggero Grasso, per tutti “Gustinoli”, è nato a Monterosso nel 1925, da genitori pescatori. A 19 anni, nei primissimi mesi del 1944, divenne partigiano, nome di battaglia “Tino”. Quando nacque la sua “scelta morale”, il suo personale “ardir”? Leggiamo le sue parole: “Avevo un debole per l’opera, davano la Tosca al Monteverdi, cantava il grande tenore Mario Filippeschi… c’erano i giovani della Repubblica di Salò che facevano i gradassi e i prepotenti… ho sentito una grande rabbia… non mi andava giù la negazione della libertà, la mia fu una reazione spontanea contro l’autoritarismo”. Fu Giovanbattista Nicora, comunista del CLN, a contattarlo per diventare staffetta. “Gustinoli” era mazziniano: “Nel dopoguerra fui sempre iscritto al Partito repubblicano, fino a quando non si schierò con Berlusconi… da allora sono un repubblicano di sinistra senza tessera”.

Ho ascoltato i suoi ricordi in una cantina di Monterosso, davanti a un bicchiere di sciacchetrà e a un piatto di acciughe offerti da amici generosi: “Portavo i messaggi a ‘Farinata degli Uberti’, non ho mai saputo il suo vero nome, so che era un maresciallo di Marina. Potevo muovermi liberamente perché non ero un renitente alla leva come altri partigiani, ero troppo giovane. Facevo parte della ‘Brigata Costiera’, poi passai alla ‘Brigata Gramsci’, il mio comandante fu Silvio Mari”.

La “Brigata Costiera” fu una piccola formazione partigiana, la cui area di riferimento era quella che va dal monte Parodi a Deiva Marina. Aveva come obiettivo quello di compiere sabotaggi, sia lungo la linea ferroviaria che va da Spezia a Genova sia contro altre vie di comunicazione. La sede del Comando era a Villa Faggiola, lungo la mulattiera tra Levanto e Pignone, questo perché le azioni della “Costiera” riguardavano non solo la costa ma anche la bassa Val di Vara, compresa fra Riccò, Padivarma e Roverano. Fu una formazione fragile, che fu sciolta dopo il rastrellamento nazifascista del 29 marzo 1945 nel fondovalle tra Riccò e Levanto. “Gustinoli” passò dopo pochi mesi, nel novembre 1944, alla “Brigata Gramsci”, cioè a quello spezzone di partigiani garibaldini comandati dal comunista Silvio Mari, che più tardi diventò il “Battaglione Maccione”.Fu un battesimo di fuoco: il 10 novembre 1944 gli alpini della “Monterosa”, insieme a soldati tedeschi, attaccarono le posizioni delle Brigate “Gramsci” e “Matteotti” (da poco unitesi alla Brigata “Vanni” nel raggruppamento delle brigate Garibaldi della IV Zona operativa) nell’area di Sesta Godano. Grazie a guide locali e a un efficace “effetto sorpresa” i nazifascisti occuparono Cornice, facendo ritirare disordinatamente i partigiani della “Gramsci” lì presenti, e nella mattina dell’11 anche Scogna, anche qui poco ostacolati dai partigiani.A quel punto la salvezza dell’intero schieramento della IV Zona fu in mano alla “Matteotti” e a quei partigiani della “Gramsci” riorganizzati e riposizionati dal Comando del raggruppamento (se gli alpini avessero raggiunto da Scogna il monte Picchiara avrebbero spaccato in due lo schieramento partigiano).Gli alpini riuscirono però, seppure con difficoltà, a occupare la località di Calabria, dove c’era il comando della “Matteotti”, e Merzò. A Merzò una pattuglia di cinque uomini della “Matteotti” di ritorno da Sesta Godano incappò negli alpini ed ebbe uno scontro. In quell’occasione morirono Emilio Rossi di Fezzano e Domenico Veratti di Modena. L’episodio è stato raccontato dal partigiano Tino Acerbi in questa rubrica (“Richetto, Tino e la santa pattona”, 18 gennaio 2015). Nei giorni scorsi mi ha scritto il nipote di Veratti chiedendo notizie sulla morte del nonno. Grazie allo storico Maurizio Fiorillo e soprattutto a Tino Acerbi abbiamo ricostruito tutto: Veratti era uno degli alpini della “Monterosa” (una trentina) che decisero di passare con i partigiani, Tino era con lui al momento della morte. Era uno dei cinque, con il suo comandante Franco Coni, e fu ferito. Ci fu un altro morto, Ettore Toso di Sesta Godano, che stava salendo con una damigiana d’olio.In seguito gli alpini furono contrastati da un piccolo reparto di uomini particolarmente motivati della “Gramsci” e, avendo probabilmente esaurito le forze, ripiegarono verso valle in direzione di Carrodano e Mattarana. Ora il nipote di Veratti verrà a Spezia per conoscere Tino, compagno d’armi del nonno etestimone del suo sacrificio.

Piero Ottone e Giorgio Pagano    (2010)    (foto Enrico Amici)

Piero Ottone e Giorgio Pagano
(2010) (foto Enrico Amici)

Ma torniamo al racconto di “Gustinoli”: “Il 2 gennaio del 1945 i fascisti mi catturarono. Avevo un appuntamento con dei ragazzi di Monterosso per portarli in montagna, fui preso e picchiato dai fascisti di Bonassola. Mi chiedevo di continuo: ‘Resisterò al dolore?’Per fortuna tra di loro c’era uno di Monterosso che faceva il doppio gioco e mi salvò. C’erano dei comunisti infiltrati. Dissero che non ero partigiano né renitente alla leva, e mi fecero liberare. Mi dissero ‘siamo compagni’ e mi salutarono con il pugno chiuso. Parlarono della morte di ‘Facio’, dissero che era stata un’ingiustizia”. Poi il terribile rastrellamentonazifascista del 20 gennaio 1945: “Gustinoli” era in missione nella vallata di Levanto per raccogliere giovani, salì verso Pogliasca e Cornice, sbandò, e rientrò a Monterosso. Poi tornò nel “Battaglione Maccione”, dove Emilio Pellistri “Mastrilli” aveva sostituito al comando Silvio Mari. Ricorda la battaglia di Monterosso, dove furono uccisi più di venti tedeschi, condotta dai garibaldini, che poi furono protagonisti dell’ultima battaglia, quella di San Benedetto (24 aprile 1945). Ricorda la morte a Borghetto di Ermanno Gindoli e dei suoi compagni del Battaglione “Zignago” della Colonna “Giustizia e Libertà” -“ero lì poco prima”- e lo strascico dell’uccisione dei repubblichini di Borghetto. Fino al ferimento: “Arrivai a Spezia prima degli altri partigiani”.

“Gustinoli” è orgoglioso del contributo alla Resistenza della sua Monterosso: “60 ragazzi partigiani, 5 morti. Il bombardamento del 23 gennaio 1945, con 23 morti. La battaglia di Monterosso, e quella di Soviore, con tante vittime tedesche. La fucilazione, il 5 marzo 1945 in piazza Garibaldi, dei partigiani Giuseppe Da Pozzo e Luigi Zebra. E la liberazione di Portovenere l’hanno fatta i monterossini”. E soprattutto evidenzia “il sostegno attivo della popolazione”. Certo, conclude, “ci fu violenza”. Ma“Gianpaolo Pansa ha torto marcio”, perché “non eravamo uguali, noi avevamo la scabbia e i pidocchi, loro mangiavano, bevevano e vivevano nel lusso… noi ci difendevamo, loro uccidevano con il gusto di uccidere… noi lottavamo per la libertà, loro per la dittatura e l’orrore”.Nel dopoguerra “Gustinoli” fece il pescatore, il contadino, il marinaio nei transatlantici, alla fine il bidello. Non ha mai chiesto nulla. Non manca mai, con la bandiera dell’Anpi, a ogni manifestazione.

Fu grazie alla Resistenza e a tanti uomini semplici come “Gustinoli” che gli italiani costruirono un Paese democratico, dopo vent’anni di dittatura. Dall’impegno dei partigiani e dei resistenti maturò la consapevolezza che poi ci consegnò la Costituzione. Dopo il 25 aprile l’Italia era un Paese distrutto, mancava tutto. Ma c’era una grandissima voglia di rimettere in piedi il Paese. A distanza di tanto tempo viviamo in un’Italia smarrita. Ha perso molti dei suoi valori, vive una crisi economica enorme, è più ingiusta. E c’è meno voglia di ribellione e di riscatto. Ma non dobbiamo rassegnarci, dobbiamo fare come i partigiani e i resistenti: essere attori, non spettatori.Cercare tutti insieme di liberare, di autogovernare, di rendere degne le nostre vite. Riconoscendoci sempre nell’altro, aprendoci incondizionatamente all’altro.

Dobbiamo scegliere la partecipazione civile e il governo democratico contro l’idea dell’ultimo ventennio, che ha portato all’uomo solo al comando e al cittadino sempre più spettatore, rassegnato e abulico. La dignità del lavoro contro la sua mercificazione. La liberazione della donna contro la sua oppressione. L’accoglienza dei migranti contro il loro respingimento. La pace contro il riarmo e la guerra. Dobbiamo, semplicemente, attuare la Costituzione.
L’abbiamo difesa, nel referendum del 4 dicembre. Ora dobbiamo attuarla. Possiamo farlo solo se conosciamo e non rinneghiamo la Resistenza, perché la Costituzione è il risultato della Resistenza. Aveva ragione Piero Calamandrei nel suo celebre discorso ai giovani del 26 gennaio 1955: “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione”.
La memoria della Resistenza ci fa capire la Costituzione: il primato della persona, che prevale sullo Stato (il contrario del fascismo), l’eguaglianza, la solidarietà. La Costituzione è un programma, ci dice ciò che dobbiamo fare.

Oggi, per esempio, ci dice che dobbiamo fare tre provvedimenti urgenti e indispensabili per far cessare la strage nel Mediterraneo e contro la schiavitù e il razzismo in Italia: riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro Paese in modo legale e sicuro; riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro Paese; abrogare tutte le scellerate e incostituzionali misure razziste imposte dai Governi italiani negli ultimi decenni.

Post scriptum:
Dedico questo articolo a un caro amico che se ne è andato, Piero Ottone. Fu Direttore del Secolo XIX e del Corriere della Sera. Una persona squisita e un grande giornalista, con il mito dell’obbiettività. Ci conoscemmo quando ero Sindaco. Da lì nacque un’amicizia che si consolidò negli anni. Presentò a Spezia il mio libro “La sinistra la capra e il violino”con parole generoseche non ho mai dimenticato. L’Associazione Culturale Mediterraneo presentò il suo libro “Italia mia. Il Paese che abbiamo sognato e che non c’è”. Ecco alcune sue parole pronunciate quella sera, quanto mai attuali:
“Si possono criticare Dc e Pci per tanti motivi, ma non si può negare che credessero in qualcosa e avessero dei principi.Oggi, invece, siamo governati malamente da una classe dirigente che non crede in nulla ma solo nel tornaconto personale. La questione di fondo non è la competenza, ma la coscienza, cioè la capacità di avere fini superiori, regole, credibilità. Per superare la deriva attuale bisogna ripartire da queste virtù, che devono vivere innanzitutto negli individui e in segmenti della società. E’ il compito di ognuno di noi”.

lucidellacitta2011@gmail.com

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