Rete Pace e Disarmo consegna le oltre 1600 firme ai Sindaci del golfo – 14 Dicembre 2024
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Dal dragaggio alla Margaret,così soffre il nostro mare

a cura di in data 14 Gennaio 2016 – 08:35
Sao Tomè, visione della roça di Ponta Figo e del golfo di Neves dal monte Careca    (2015)    (foto Giorgio Pagano)

Sao Tomè, visione della roça di Ponta Figo e
del golfo di Neves dal monte Careca
(2015) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 10 gennaio 2016 – La notizia più importante di questi giorni riguardante il nostro mare non è quella dello scontro tra Sindaco e Presidente dell’Autorità Portuale su crociere e waterfront (ne ho scritto ieri su Cds) ma quella dell’inchiesta della magistratura sui lavori di dragaggio del porto, che si sarebbero svolti in più circostanze violando le prescrizioni previste e quindi provocando la dispersione in mare di sedimenti inquinanti. Della questione si discusse a lungo all’inizio degli anni Duemila. Il Comune, d’intesa con le associazioni ambientaliste, si adoperò per l’inserimento del nostro golfo nel Sito di Interesse Nazionale (SIN) per le bonifiche, un provvedimento sulla base del quale l’Icram (oggi Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) elaborò sia un piano di caratterizzazione dell’inquinamento dei fondali sia un progetto preliminare di bonifica, risalente al 2004, a cui devono fare riferimento i progetti definitivi riguardanti le diverse zone, tra cui quelle oggetto dei dragaggi in corso. Un po’ di storia non guasta, anche per ribadire la giustezza della scelta di inserire le colline di Pitelli e il Golfo tra i SIN: senza quella scelta non avremmo avuto i piani di caratterizzazione, non sapremmo cioè in che cosa consiste l’inquinamento e come operare per le bonifiche. E’ vero, in questi anni le bonifiche non sono mai state finanziate dai vari Governi, ma questa loro colpa non inficia la bontà della nostra scelta, che emerge anche da questa vicenda. Sulla base dei piani di Icram si passò infatti alla progettazione definitiva dei dragaggi, che furono di fatto trasformati in interventi di bonifica dei fondali interessati. Le diverse Conferenze dei Servizi approvarono progetti che prevedevano, in sostanza, di sigillare il tratto di acqua in cui operano le draghe, in modo da asportare i fanghi dei fondali senza dispersione; e di portare poi i fanghi in apposite discariche. Tutti i dragaggi precedenti venivano fatti, invece, senza queste precauzioni: i sedimenti si disperdevano e, una volta asportati, venivano scaricati nelle acque al largo. E’ triste e preoccupante che l’inchiesta della magistratura riveli che, almeno in alcune fasi, parrebbe essere stato ignorato questo lavoro progettuale durato anni -diventato atto amministrativo e quindi vincolante- procurando in tal modo danni ingenti al nostro mare. Uso il condizionale perché nella nostra Costituzione c’è la presunzione di innocenza. Ma ciò che è accaduto è ormai chiaro: sono mesi che i mitilicultori e gli ambientalisti lo andavano denunciando, e la stessa Arpal era intervenuta per chiedere una modifica alle tecniche di dragaggio. La speranza è che ciò sia accaduto solo in alcune, limitate, fasi: sarà la magistratura a dirlo. E che non accada mai più: ma a tal fine serve un mutamento di rotta delle istituzioni preposte. La domanda a cui rispondere non è solo “perché chi ha operato ha sbagliato?”, ma anche “perché chi doveva controllare non lo ha fatto?”. Su questa questione il silenzio dei politici della città e della regione, sempre pronti a dichiarare su ogni cosa alla stampa e ai social media, è davvero assordante: è una prova di mediocrità e di conformismo, di assenza di coraggio morale e di indipendenza di giudizio.

Ma c’è un altro punto di sofferenza per il nostro mare: la presenza, appoggiata sulla diga, del relitto della motonave Margaret, affondata dieci anni fa. Dispiace che nessuna istituzione lo abbia ricordato: eppure la ferita è ancora aperta. Erano le 3 di notte del 3 dicembre 2005, una notte di tempesta nel golfo, con raffiche di libeccio fino a 45 nodi. La Margaret, 85 metri di lunghezza, 2643 tonnellate di stazza lorda, battente bandiera georgiana, era partita da Genova e diretta a Varna, in Bulgaria. Cercò riparo avvicinandosi al nostro porto, ma la burrasca le strappò gli ancoraggi e la spinse contro la diga, facendola affondare a poco a poco. L’equipaggio, in gran parte moldavo, era composto da 13 uomini. Un marinaio raggiunse la diga a nuoto, un altro fu recuperato in mare, così gli altri rimasti sulla nave, grazie a un’azione di aerosoccorso compiuta al mattino dalla Guardia Costiera di Luni, con gli elicotteri. Un salvataggio che fece scuola. Così come fu da manuale la salvezza del golfo dalla “bomba” costituita da 85.000 litri di dieseloil e di gasolio nei serbatoi della nave: la dispersione fu minima, i liquidi inquinanti furono recuperati grazie alla Capitaneria di Porto, ai mezzi e agli uomini della nostra Sepor e alle unità speciali inviate dal Ministero dell’Ambiente. Ciò avvenne perché lo specchio acqueo fu sigillato: esattamente ciò che, secondo la magistratura, non è avvenuto con i dragaggi.

Sao Tomè, roça di Ponta Figo: la grande pentola da cui mangiavano i lavoratori in epoca coloniale    (2015)    (foto Giorgio Pagano)

Sao Tomè, roça di Ponta Figo:
la grande pentola da cui mangiavano i
lavoratori in epoca coloniale
(2015) (foto Giorgio Pagano)

Ricordo quelle ore e quei giorni di dieci anni fa come momenti di grande angoscia, e di grandi sospiri di sollievo: fu evitata prima una tragedia umana, poi una tragedia ambientale, grazie a un perfetto lavoro di squadra, coordinato dal Comandante della Capitaneria di Porto Giovanni Pettorino. Ho in mente la paura nel volto di quegli uomini, subito accolti nel Monastero delle Suore Benedettine di Santa Maria del Mare. E poi, dopo una decina di giorni di permanenza, il loro saluto e il loro ringraziamento alla città. Ogni anno, a Natale, vado a trovare le suore del Monastero: è l’unica abitudine della vita da Sindaco che non ho mai abbandonato. E ogni anno ricordo con loro quei momenti, che rimarranno per sempre impressi nella nostra memoria. Soprattutto nella memoria delle suore, così poco abituate alla presenza di uomini, a cui dovevano assicurare il cibo, il dormire, il lavarsi… Anche loro furono straordinarie!
Ma perché, nonostante sia stata evitata la tragedia, ho scritto di una “ferita aperta”? Perché il relitto della Margaret, adagiato su un fondale a dieci metri di profondità, addossato alla diga, inquina l’ambiente circostante, con i prodotti tossici prodotti dai lubrificanti, dalle pitture, e così via. Uno studio dell’Ispra, commissionato dall’Unione europea, ha censito anche il relitto della Margaret, considerandolo -quanto al rischio ambientale- di bassa valenza, ma aggiungendo che qualsiasi incidente che causa l’affondamento di una nave causa inquinamento. Fu lo stesso Governo a riconoscerlo. Il Comune si batté subito perché fosse riconosciuto lo stato di emergenza nel golfo. Guido Bertolaso, Capo della Protezione Civile, ci appoggiò, e ci garantì che prima di Pasqua 2006 il relitto sarebbe stato recuperato. La spesa, ci disse il 20 dicembre in un vertice in Prefettura dopo un sopralluogo, si aggirava sui due milioni di euro. Tallonai Bertolaso e il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (fu la mia prima e unica occasione di contatto con lui), fino a ottenere il decreto, firmato appunto da Berlusconi, di “dichiarazione dello stato di emergenza nel territorio circostante il golfo di La Spezia, in relazione all’affondamento della nave mercantile Margaret”. Era il 18 aprile del 2006. Il decreto era molto chiaro e motivava la dichiarazione dello stato di emergenza con “l’urgenza di porre in essere tutte le azioni necessarie volte alla completa rimozione del delitto”. Continuai a pressare il Governo fino al 2007, quando terminai il mio secondo mandato. Bertolaso sfuggiva, rimandava… Lo rividi a un dibattito sull’Africa organizzato da una ong a Genova, nel dicembre 2009, e mi disse che nessuno, da Spezia e dalla Liguria, lo aveva più cercato. In un’intervista alla “Nazione” (10 marzo 2010) Bertolaso rispose alla domanda di Corrado Ricci “Dunque la Margaret resterà lì?” in questo modo: “Se Regione, Provincia e Comune dovessero reiterare la richiesta di rimozione, ne terremo conto per assecondarla, nei limiti delle risorse disponibili”. Abbiamo poi saputo come la Protezione Civile di Bertolaso spendesse le risorse disponibili… Dobbiamo, allora, “reiterare la richiesta”. Negli ultimi tempi si è affacciata la suggestione di usare il relitto come palestra per le immersioni subacquee: si può fare, previo, però, “la rimozione di tutto ciò che può costituire pericolo per un percorso di visita”, ha detto il sub recordman Vittorio Innocente. Francesco Chionna, ex comandante del Comsubin del Varignano, è stato anche lui chiaro, parlando della possibilità di non demolire ma di affondare le navi militari dismesse e di realizzare un “parco di relitti per le immersioni”: serve prima “la bonifica delle unità”. Rimozione o bonifica della Margaret: discutiamone, ma il nodo di un intervento risanatore resta. Spezia non può rimuoverlo.

lucidellacitta2011@gmail.com

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