Presentazione di “Tra utopia e realismo. Appunti sul Sessantotto” – Venerdì 27 Settembre ore 18 – Massa – Biblioteca Diocesana, dialogo tra Giorgio Pagano e Carmine Mazzacappa
20 Settembre 2024 – 09:34

Presentazione di
“Tra utopia e realismo. Appunti sul Sessantotto”
Venerdì 27 Settembre ore 18
Massa – Biblioteca Diocesana
dialogo tra Giorgio Pagano e Carmine Mazzacappa
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L’eccidio di Punta Bianca e le nuove scoperte sulle menzogne di Kesserling – Seconda parte

a cura di in data 30 Giugno 2022 – 22:11

Anton Dostler prima della condanna a morte

Ameglia Informa, 1° giugno 2022

Sandro Antonini, nel libro Generali e burocrati nazisti in Italia: 1943-1945, riporta le risposte del maresciallo Kesselring negli interrogatori a Hoberuself (6 ottobre 1945) e a Norimberga (29 ottobre 1945) sull’eccidio dei quindici militari americani della “Missione Ginny” avvenuto a Punta Bianca il 26 marzo 1944.
La prima volta disse: “No, non ricordo quell’incidente specifico”[1], la seconda volta: “L’episodio di La Spezia non mi era noto. All’epoca rimasi totalmente assorbito dai combattimenti di Nettuno[2]”.
Eppure in quei giorni, come abbiamo spiegato nella prima parte dell’articolo, Kesselring era a Bonassola.
Secondo Antonini, Anton Dostler, il generale che firmò l’ordine di fucilare i prigionieri, una volta appreso che i membri del commando appartenevano alle forze armate statunitensi, “avrebbe sospeso l’esecuzione richiedendone l’annullamento al maresciallo Kesselring, che avrebbe invece stabilito di procedere. E nel tentativo di scagionarsi per aver obbedito, durante il processo Dostler è in grado di produrre la testimonianza del proprio aiutante di campo, il quale afferma che l’ordine di fucilazione è arrivato dal feldmaresciallo Kesselring in persona, attraverso il generale von Zangen”[3].

Anton Dostler dopo la condanna a morte

Ma Kesselring negò sempre, perché se l’ordine contro le disposizioni della Convenzione di Ginevra del 1929 fosse partito da lui “non avrebbe ipoteticamente potuto evitare una condanna a morte, dal momento che Dostler, per lo stesso motivo, ha subito la fucilazione”[4].
Il giudizio su Kesselring dello storico americano Richard Raiber è ancora più negativo. Spiega Vittorio Gozzer:
“Una delle poche ragioni per cui si poteva credere di poter ammirare, nonostante tutto, la sua incrollabile, teutonica coerenza fu la ferma assunzione delle sue personali responsabilità per l’eccidio delle Fosse Ardeatine con l’intento, così sembrava, di rendere meno gravosa la situazione dei suoi sottoposti. Ma le ricerche di Raiber dimostrano che si trattò di un’abile mossa perché non venisse alla luce il suo coinvolgimento nell’eccidio perpetrato in quegli stessi giorni contro una quindicina di soldati americani. Una colpa che avrebbe potuto avere per lui conseguenze sicuramente più gravi e decisive”[5].
Raiber documenta che, dal 23 al 25 marzo 1944, Kesselring non era a nord di Roma, ma in Liguria: il 24 marzo alle 10,45 arrivò a Spezia. E rivela che, secondo alcuni testimoni tedeschi al processo Dostler, tutti i documenti relativi a quanto era successo a Bonassola e a Punta Bianca furono distrutti in seguito ad ordini perentori di Kesselring.
Nessun testimone, per lo spirito di corpo tedesco, accennò al fatto che il feldmaresciallo in quei giorni era in Liguria. Kesselring sperava di cavarsela in qualche modo e vi riuscì. La sua condanna a morte pronunciata il 6 maggio 1947 fu commutata il 3 luglio successivo, su intervento di Churchill e Alexander, nel carcere a vita. Nel 1952 fu rimesso in libertà per motivi di salute, che non gli impedirono di vivere fino al 1960. Non rinnegò mai il passato e disse che gli italiani avrebbero dovuto dedicargli un monumento.
La verità sull’eccidio di Punta bianca stentò a venir fuori. Il 17 giugno 1998 Indro Montanelli rispose sul Corriere della Sera a un lettore che “Dacchè mondo è mondo e guerra è guerra, spie e sabotatori sono sempre fucilati”[6]. Il giorno stesso Vittorio Gozzer gli inviò un fax per fargli osservare che “secondo la Convenzione di Ginevra [i militari americani] avevano il pieno diritto di essere considerati prigionieri di guerra[7]”. Montanelli non pubblicò nulla. Solo quando Albert Materazzi, l’ideatore e l’organizzatore della “Missione Ginny”, gli inviò una lettera indignata di protesta, la pubblicò abbreviata, con il titolo “Resistenza in Liguria” e senza alcun commento.

Giorgio Pagano

[1] Sandro Antonini, Generali e burocrati nazisti in Italia: 1943-1945, Internos, Chiavari (GE), 2022, p. 28.
[2] Ivi, p. 30.
[3] Ivi, p. 29.
[4] Ivi, p. 30.
[5] Vittorio Gozzer, Kesselring, via Rasella e la “Missione Ginny”, Patria Indipendente, 11 aprile 1999.
[6] La stanza di Montanelli, Il Corriere della Sera, 17 giugno 1998.
[7] Vittorio Gozzer, Kesselring, via Rasella e la “Missione Ginny”, cit.

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