Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
All’incontro interverrà Giorgio Pagano, curatore dell’opera e autore di una postfazione e di …

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Il berlusconismo si può battere, Obama insegna

a cura di in data 21 Agosto 2009 – 12:08

Il  Secolo XIX – 21 agosto 2009 – Alle elezioni europee solo 22 italiani su 100 hanno votato Pdl e meno di 6 hanno espresso un voto di preferenza per Berlusconi. Il Presidente del Consiglio, che pensa di avere un consenso così ampio da esimerlo in qualche modo dal dovere del confronto con il Parlamento, le forze sociali, la giustizia, ha di che riflettere.

Il suo consenso è calato, sia per gli scarsi risultati dell’azione contro la crisi che per lo scandalo della prostituzione di regime. Ma non è crollato. Sbaglierebbe la sinistra a pensare che la fine del berlusconismo è vicina. Lo pensavamo in tanti dopo le sconfitte della destra nelle elezioni locali dal 2002 al 2005, ma sbagliavamo profondamente. Tanta parte della società italiana, ancora oggi, crede al Presidente del Consiglio ed è in forte sintonia emotiva con lui. Lo dimostra l’assenza o quasi delle prese di distanza delle elite nazionali, a differenza di quelle internazionali, dai comportamenti personali di Berlusconi. C’è stata molta prudenza a mettere la faccia su affermazioni di tipo valoriale: anche da parte della Chiesa, che pure non è stata silente. E c’è stata una timidezza eccessiva da parte dell’opposizione.

Come è potuto accadere? La verità è che le affermazioni e i comportamenti di Berlusconi, scrive Carlo Galli su Repubblica, “cadono su un terreno sociale già preparato ad approvarle”, in cui vigono schemi culturali e credenze che costituiscono un senso comune. E’ l’egemonia culturale del populismo e del privatismo.

Il populismo si fonda su questo schema: la politica è irrilevante, è sufficiente il mandato dell’imprenditore di successo e del sovrano boss; la democrazia è il sistema per cui il popolo delega il capo carismatico; il cittadino è uno spettatore di fronte alla messa in scena della politica, al “primo statista pop che abbia mai calcato il palcoscenico della storia” (la definizione è di Massimo Gramellini sulla Stampa).

Lo schema del privatismo, invece, è questo: la vera legge è quella dell’individuo, un individuo non solidale e non aperto alle relazioni con gli altri, che misura tutto sul perimetro definito dal suo io e da quello dei suoi cari, che aborre la discussione e si attruppa attorno al capo carismatico. A dominare sono i valori privati: io sono il primo tu non sei nessuno; questo è mio e nessuno me lo tocca; io faccio quello che voglio e come voglio; non ti immischiare negli affari miei; il privato è superiore al pubblico.

Un individuo la cui parola d’ordine è “libertà di essere se stessi”, intesa non come atto di  sincerità sociale e di spontaneità, ma come rivendicazione del primato dell’individuo, che vuole esprimere in pieno la propria personalità, positiva o negativa, lecita o illecita. E’ questa la fotografia della ricerca “La deregulation dei comportamenti”, che il Censis ha scattato tra i giovani dai 18 ai 30 anni nei giorni del Noemigate: un Paese liberato da ogni vincolo e tabù, che disprezza la parola “buonismo” e in cui prendono sempre più piede un “egoismo pragmatico e familistico” e un ritorno al particolare, a scapito di un “civismo vago”, percepito come espressione “di un altruismo ideologico”. I disvalori di un tempo e le trasgressioni sono pienamente tollerati, metabolizzati e resi compatibili con una vita ordinaria: pochi, per esempio, si scandalizzano per l’uso di cocaina nel fine settimana, e il comportamento del “politico potente con vizi privati” viene poco stigmatizzato. Il “cinico dovere di essere se stessi”, scrive Giuseppe De Rita, “produce una società senza unità d’intenti, coesione sociale, morale condivisa”: è questo il lasciapassare per l’immunità dei comportamenti di Berlusconi.

Populismo e privatismo si fondono perfettamente nell’ideologia del berlusconismo e spiegano il suo successo. E’ parte integrante di questa ideologia, per cui l’ascesa sociale e la felicità sono raggiungibili attraverso la mercificazione di sé, la proposta di un modello unico di riuscita e di comportamento per le donne: quello, scrive Michela Marzano su Repubblica, “della bambola impeccabile la cui sola preoccupazione è l’immagine del proprio corpo e la seduzione maschile”. Il principio della libertà sessuale del ’68 e del femminismo viene stravolto nella banalizzazione della libertà, nel suo ridursi a libero consumo. Uno stravolgimento che trova complicità in molte donne e naturalmente in molti uomini, che si riconoscono in questa immagine della maschilità e dei rapporti uomo-donna. Insomma, l’Italia populista e privatista è anche materialista e maschilista.

La sinistra ha opposto a questa cultura o una sterile contestazione o una mimesi compiacente: un pensiero debole. Per ricostruire una cultura forte servono intanto il coraggio e la generosità per affermazioni e comportamenti radicalmente diversi, che sfidino anche l’impopolarità. Si possono percorrere altre strade, non conformiste. Vanno valorizzate le differenze e le irrequietezze rispetto al modello dominante: i giovani che non aspirano a diventare Fabrizio Corona o Noemi, le donne non subalterne al machismo, gli operai che tornano “eroi positivi” e non si arrendono alla scomparsa della questione sociale, gli imprenditori che non usano lavoratori in nero e non evadono il fisco, i cattolici che prendono le distanze da un potere lussurioso e libertino, le forze etiche più attente alla coscienza del noi che alla mera affermazione dell’io. Una cultura democratica popolare e non populista, dell’individualismo sociale e cooperativo  e non del privatismo, della dignità delle donne e non del machismo.

Molte delle parole d’ordine di Obama erano condivise, fino a poco tempo fa, da una minoranza: oggi quelle idee hanno vinto le elezioni nel primo Paese del mondo. Per vincere è stato indispensabile l’incontro tra un leader, un partito e le spinte culturali emergenti dalla società. Due studiosi della comunicazione, tra loro molto diversi, Manuel Castells e Mario Perniola, hanno usato nei giorni scorsi parole molto simili: il futuro, per ricostruire legami sociali, sta nella presa di coscienza e nella collaborazione di gruppi e associazioni della società civile. Il berlusconismo sarà sconfitto solo da una sinistra pensante e anticonformista, e da una mobilitazione nella società che aiuti la sinistra a cambiare.


Giorgio Pagano

L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).

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