Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
All’incontro interverrà Giorgio Pagano, curatore dell’opera e autore di una postfazione e di …

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Una nuova idea di città

a cura di in data 9 Agosto 2020 – 22:21
Milano, i grattacieli di piazza Gae Aulenti - Utopia architettonica della globalizzazione (2017) (foto Giorgio Pagano)

Milano, i grattacieli di piazza Gae Aulenti – Utopia architettonica della globalizzazione
(2017) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 2 Agosto 2020 – Dopo il lockdown, che ha messo in pausa la vita delle città, e mentre la pandemia è ancora in corso, con le città che ancora non hanno raggiunto la frenesia di un tempo, dobbiamo affrontare un interrogativo “esistenziale” sulla sorte delle città. La domanda la pone con grande chiarezza Paul Chatterton, urbanista inglese, su “Internazionale”:
“A cosa serve davvero una città? A favorire la crescita, attirare investimenti e competere con i rivali sulla scena globale? O a migliorare la qualità della vita di tutti, favorire la sostenibilità e la capacità di affrontare le difficoltà?”.
Un approccio non esclude l’altro. Il punto è trovare un equilibrio.

Ci aiuta a trovarlo l’accordo storico raggiunto dall’Unione europea (ne ho scritto domenica scorsa su questa rubrica). L’accordo è storico perché crea per prima volta la possibilità che l’Unione Europea si indebiti per sostenere una serie di progetti comuni nei Paesi membri, mettendo in moto un’enorme massa finanziaria. E soprattutto perché rispetta le priorità progettuali già fissate dalla Commissione Europea: Green new deal, digitalizzazione, lotta alle disuguaglianze.

Di fronte alle tante risorse disponibili l’Italia ha il compito non di spenderle purchessia ma di spenderle sulla base di queste priorità, cioè di una visione. La questione -sostiene Enrico Giovannini, portavoce dell’ASviS (Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile)- è “la coerenza delle politiche”. Sono tre mesi che la Commissione europea ha indicato per che cosa dovrebbero essere usati i fondi: peccato che l’Italia nel frattempo ne abbia parlato poco. Le famose “condizionalità” europee esistono davvero: per fortuna, perché sono “condizionalità” del tutto condivisibili. Chi pensa che questi fondi potranno essere usati per altro sbaglia: l’Europa non ce lo consentirà.

Alla domanda di Chatterton si può rispondere con il giusto equilibrio: si può tutelare il sistema economico delle città in nome del bene supremo ambientale, si possono creare tanti posti di lavoro con lo sviluppo socialmente ed ambientalmente sostenibile.
Bene ha fatto, allora, il Sindaco di Milano Giuseppe Sala, a nome del C-40, l’organizzazione che riunisce i primi cittadini di quaranta città di tutto il mondo, a scrivere una lettera alla Cancelliera federale della Germania Angela Merkel e al Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel: “Finanziate solo i progetti che vanno nella direzione della sostenibilità ambientale”. Sala ha così spiegato la lettera intervenendo a “Radio Popolare”:

Ho scritto alla Cancelliera, che ha la presidenza di turno del Consiglio europeo: abbi fiducia nelle città perché stanno facendo questa battaglia, quindi considerate l’opportunità che i fondi del Recovery vadano ai Paesi, ma possano premiare progetti che partono dalle città… Le città vogliono essere protagoniste perché pensano di essere un esempio sulle azioni che si possono fare sulla sostenibilità… L’Unione europea deve decidere un budget realmente verde, con il 100 per cento dei fondi per la ripresa che vada ad aiutare la decarbonizzazione e a ridurre l’inquinamento”.

“Noi -ha scritto Sala a nome dei Sindaci- richiamiamo i leader europei a fare investimenti prioritari nelle città resilienti e nella sostenibilità… e in infrastrutture di trasporto pubblico e di energia pulita per assicurare che gli investimenti creino società e comunità più inclusive e giuste e che finiscano gli investimenti pubblici in combustibili fossili”. La lettera ha un allegato, che specifica meglio ogni passaggio. Per esempio, la parte del trasporto pubblico, propone di “agevolare l’acquisto di bus elettrici” e favorire “spostamenti in bicicletta e a piedi”. E, a proposito di energia pulita, si chiede ai governi nazionali di “interrompere con decisione l’investimento nelle industrie ad elevate emissioni di CO2 e che impegnano combustibili fossili”.

Roma, un cortile della Garbatella - Utopia architettonica del "dopo" (2018) (foto Giorgio Pagano)

Roma, un cortile della Garbatella – Utopia architettonica del “dopo”
(2018) (foto Giorgio Pagano)

Basta documentarsi su ciò che succede in giro per le città del mondo per capire la “rivoluzione” che è in corso. Nella nuova Giunta di Parigi la Sindaca Anne Hidalgo ha nominato un’Assessora alla Città del Quarto d’Ora, puntando sul nuovo concetto di urbanismo. dove tutto -casa, lavoro, scuola, svaghi, servizi essenziali- deve essere a non più di 15 minuti a piedi o in bici. Una rivoluzione non solo ambientale, ma anche sociale, nel senso della ricreazione del tessuto sociale, contro “il pendolarismo che divora tempo, sacrifica la nostra vita di comunità ed è fonte di inquinamento”, dice il professor Carlos Moreno, che ha ispirato la Hidalgo. Una rivoluzione che si sta sperimentando in zone di Ottawa, Edimburgo, Utrecht, Melbourne, Copenhagen… E’ il concetto di “living city”, che ha ormai superato quello di “smart city”.
Una città “organismo vivente”, dove circolano meno auto, ci sono più trasporto pubblico -magari gratuito come già in alcune città-, più zone pedonali e piste ciclabili, più alberi, più parchi, più negozi di quartiere, più servizi sociali e sanitari sul territorio… Con meno grattacieli e più cortili, come spiego con le foto di oggi.
Il futuro si avvicina. L’urgenza della crisi climatica aveva già avviato la “rivoluzione”. Ora il Covid-19 l’ha accelerata, anche perché le idee delle persone stanno cambiando. Il risultato delle elezioni municipali in Francia l’ha dimostrato.
E Spezia? La città dovrebbe presentarsi pronta all’appuntamento dei progetti europei. Abbiamo l’Enel che vuole costruire una nuova centrale ma non ci sono progetti per le energie rinnovabili, per un uso alternativo delle aree… Non abbiamo l’Ospedale, ed i servizi sul territorio sono carenti. C’è la ferrovia Pontremolese da finanziare. Sulla mobilità e sul verde siamo fermi da molti anni, o quasi. C’è molto da pensare, da progettare, da fare. A chi amministra la città e a chi si candida per governare la Regione dobbiamo chiedere queste cose. Non le solite strade per i soliti Tir.

Post scriptum:
Dedico l’articolo di oggi a Ernesto Azzolini, uno dei capi della classe operaia spezzina del dopoguerra, scomparso nei giorni scorsi. Fu assunto come edile dall’Edison (che diventò ENEL nel 1962) nel 1961, a Spezia. Poi lavorò a Tavazzano, a Trino Vercellese ed a Carate Brianza, finalmente con il contratto degli elettrici. Il passaggio a questo contratto fu una grande battaglia dei lavoratori che costruirono l’ENEL. L’11 giugno 1969 gli operai bloccarono la centrale per 12 ore. Azzolini era rientrato a Spezia nel 1968. Ecco un brano del suo racconto nel primo Volume di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”:
“Entrai come nastrista al carbonile. Mi iscrissi subito alla CGIL ed al PCI. Il passaggio di contratto non garantiva solamente l’occupazione, ma anche condizioni più favorevoli per la sicurezza sul lavoro e per il salario. Avemmo successo per la concomitanza con la nazionalizzazione: con l’ENEL statale era più facile fare accordi. Sapemmo sfruttare l’occasione”.
Nel secondo Volume dirà:
“La centrale era strategica, era la più grande d’Italia. Se si fermava un giorno, si fermava tutta l’Italia! Facemmo le battaglie non solo per il posto di lavoro ma anche per il salario, per una maggiore eguaglianza e per la sicurezza e l’ambiente. Cominciammo anche ad andare a teatro: ‘Vita di Galileo’ di Brecht, ‘Mistero buffo’ di Fo…”
Fu per moltissimi anni il Segretario sia della Sezione del PCI dell’ENEL che del Consiglio di Fabbrica. La sua figura è emblematica della comunità operaia spezzina dell’epoca: una comunità con un fortissimo senso della dignità della persona che lavora, equilibrata, “riformista” ma fermissima nei principi, colta perché cresciuta nella scuola di vita del partito e del sindacato e perché aperta al mondo.
Oggi i soggetti sociali non sono di moda, tanto meno gli operai. Per i politici esistono gli “italiani”. Una memoria collettiva è andata perduta. Le lotte di quegli anni è come se non fossero mai accadute.
Eppure gli operai e i lavoratori esistono ancora. Devono tornare ad essere protagonisti consapevoli del loro riscatto. Perché accada occorre un’identità collettiva che, prefiguri, come allora, una nuova moralità e un nuovo senso della vita. La sinistra rinascerà solo se saprà reinventarsi questo compito, che ha svolto nella storia e che ha dimenticato.

Nelle prossime quattro domeniche di agosto la rubrica “Luci della città” sarà sospesa e sostituita, d’intesa con la direzione di “Città della Spezia”, con la rubrica “Diario dalle Terre Alte”, reportage dai piccoli luoghi della nostra montagna. “Luci della città” ritornerà domenica 6 settembre.

lucidellacitta2011@gmail.com

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