Presentazione alla Spezia di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Sabato 23 marzo ore 17 ad Arcola
17 Marzo 2024 – 20:08

Presentazione alla Spezia di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiSabato 23 marzo ore 17Sala polivalente, piazza 2 giugno – ARCOLA
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La questione sociale a Spezia, mai così grave

a cura di in data 3 Aprile 2021 – 07:23

La Spezia, Fattoria didattica del Carpanedo
(2012) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 21 marzo 2021 – La situazione sociale che c’è oggi in Italia, così come nella nostra città, è a dir poco drammatica. Secondo le ultime stime dell’Istat da un anno a questa parte il numero dei poveri assoluti nel nostro Paese è cresciuto di un milione. Il 10% degli italiani non può permettersi le spese minime per condurre una vita accettabile. Pesa l’ecatombe di posti di lavoro che c’è stata nell’ultimo anno, causata dalla pandemia, che ha colpito soprattutto donne e precari. Una situazione fuori controllo che si innesta su un tessuto sociale sfibrato dalle politiche di austerity, di contenimento salariale e di “flessibilizzazione” del mercato del lavoro degli ultimi decenni. Così come pesa l’erosione del welfare state. Aumenta la distanza tra ricchi e poveri, le donne sono penalizzate più degli uomini, crescono i giovani non hanno prospettive, gli anziani soffrono sempre più di solitudine e di isolamento sociale.
Questa grave crisi sociale ci chiede di reimmaginare tutto. Così come la crisi ambientale e climatica: ne ho scritto qualche settimana fa in questa rubrica, in un articolo intitolato “Quel muscolo che si è rimpicciolito”. E’ il muscolo dell’immaginazione, l’unico che può condurci a una nuova visione.
La stella polare che deve guidarci nel combattere le due crisi è la giustizia sociale e ambientale, il concetto al centro dell’enciclica di Francesco “Laudato sì”. Se vogliamo trovare un nuovo tessuto di riferimento, una nuova cornice di senso comune, di senso della vita, può accadere solo attorno a questa idea. Chiamiamola “sostenibilità”. Tutto è in relazione con tutto: non c’è prosperità economica senza inclusione sociale e senza fare i conti con l’ecosistema; l’interesse individuale sta sempre in rapporto con il bene comune; la vita sociale è un’alleanza intergenerazionale; la diversità è una ricchezza.
Questo è il baricentro per le due sfide.
Un baricentro che ha bisogno di un ruolo forte del pubblico, dallo Stato al Comune: come creatore diretto di giustizia sociale e ambientale.
Nel campo della giustizia sociale mi soffermo su tre temi, tra i tanti che si potrebbero toccare. E con un riferimento particolare al welfare locale e alla “questione sociale” a Spezia.

DARE UNA CASA A CHI NON CE L’HA
Il primo riguarda il bisogno abitativo. Ne ho discusso con Cristiano Ruggia, Segretario del Sunia spezzino. Il 30 giugno scade il blocco degli sfratti: a Spezia i casi sono 400. E troppe persone cercano casa: nel bando del 2011 per le case popolari le domande inevase sono state un migliaio. Il sindacato degli inquilini propone una terapia d’urto: diminuire i massimi di affitto dei canoni concordati, perché molte persone hanno difficoltà a pagare, a fronte di compensazioni fiscali per i proprietari interessati; varare un piano straordinario, con finanza “fresca”, spendibile subito, per ristrutturare le case popolari sfitte (sono 316). Per ora Comune e Arte sono impegnati a ristrutturare alcune decine di appartamenti. Troppo pochi.
Nel medio periodo servono nuove case popolari, da costruire recuperando strutture dismesse. il Comune si propone di farlo nelle ex scuole elementari di Fabiano e Melara: sarebbero 31 abitazioni. Anche in questo caso è troppo poco: si pensi all’offerta di alloggi di edilizia residenziale pubblica che potrebbe scaturire, per esempio, dal recupero di strutture ex militari dismesse, e così via.
Serve un piano straordinario per costruire le case popolari del futuro, come la città ha fatto in passato. Così continua a fare Vienna, sempre e ancora rossa (socialdemocratica), perché sempre fedele al vecchio motto della socialdemocrazia che la governava a inizio secolo: “Chi costruisce palazzi per bambini, abbatte i muri delle prigioni”.
In Liguria la Regione e i Comuni, attraverso l’ANCI, hanno proposto un uso dei fondi europei del Next Generation Eu in gran parte per costruire strade. Un esempio emblematico di “rimpicciolimento del muscolo dell’immaginazione”.

ANZIANI: DALLA RSA ALLA PROPRIA DIMORA
Ad oggi, in Italia, i morti per Covid-19 sono oltre 100 mila (di questi solo l’1,1% ha meno di 50 anni). Amnesty International ha scritto che, nel nostro Paese, un anziano su cinque è deceduto a causa della pandemia in una Rsa. Questo significa che, al di là delle responsabilità o dei meriti dei singoli, è il sistema complessivo delle residenze ad aver dimostrato la propria inadeguatezza di fronte all’evento epidemico.
L’aspetto paradossale è che, nonostante ciò, gli imprenditori del settore annunciano il raddoppio dell’offerta, puntando a realizzare 600 strutture residenziali rispetto alle attuali 300 (secondo stime approssimative). Il business della “silver economy”, basato sugli indici demografici e sulle leggi del mercato, promette bene. Ma è questa l’unica soluzione al problema dell’invecchiamento? Leggiamo le parole di Monsignor Vincenzo Paglia, Presidente della “Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana”, voluta dal Ministro della Sanità Roberto Speranza:
“È indispensabile e urgente intraprendere con decisione la via di forme assistenziali vicine alle dimore e al tessuto sociale delle nostre città e dei nostri Comuni. L’apposita Commissione per la riforma dell’assistenza agli anziani, istituita dal Ministro della Salute, che mi onoro di presiedere, ha elaborato in questi mesi una sostanziale riforma da attuare con i fondi europei del Recovery Plan, che sposti l’asse dall’assistenza residenziale alle case degli anziani, vero luogo di cura e prevenzione, ma vorrei anche dire vero luogo di vita per i nostri vecchi. Si deve traversare una volta per tutte quella sottile ma profondissima linea di demarcazione che vorrebbe i nostri anziani espulsi dal tessuto sociale, familiare e domestico, per concentrarli in quei ‘non luoghi’ rappresentati dagli istituti, secondo un malinteso senso della loro custodia e tutela che tanti danni ha fatto sinora”.
Vedremo che farà il Governo Draghi. Purtroppo in Liguria e a Spezia -come dimostrano anche in questo caso le proposte di utilizzo dei fondi europei- siamo ancora dentro alla vecchia cultura e all’ideologia dello “scarto”: “Persone non più utili allo sforzo produttivo del paese” (Giovanni Toti). Come tali da “depositare” in una struttura protetta. Ma l’istituzione Rsa è fallita, prima se ne prende atto e meglio è. Ha ragione Monsignor Paglia: dobbiamo passare dalla centralità della Rsa alla centralità della casa. Serve una visione diversa del welfare locale che consenta alle persone anziane -e, aggiungo, disabili- di non dover abbandonare la casa, organizzando in modo diverso i servizi socio-sanitari sul territorio e potenziandoli. Oggi l’assistenza domiciliare integrata (Adi) copre solo l’1 per cento delle persone anziane. Una percentuale scandalosa. Ma con i fondi europei -per la telemedicina e per un investimento straordinario che avvii l’ampliamento dell’offerta di servizi di supporto a domicilio e crei così anche molti posti di lavoro- l’alternativa ai “non luoghi” è possibile.

La Spezia, Fattoria didattica del Carpanedo
(2012) (foto Giorgio Pagano)

SALVIAMO LE PUBBLICHE ASSISTENZE
Finora ho insistito sulla necessità di un forte ruolo dello Stato. La salute è un bene comune universale, e come tale va tutelato. Ma il grande progetto che deve ripensare il welfare, nazionale e locale, deve essere basato anche sulla riscoperta e la valorizzazione delle esperienze e degli esempi del mutualismo e dell’organizzazione del movimento operaio ai suoi albori nell’Ottocento. Non si tratta di ferrivecchi, ma di strumenti utili da mettere a verifica nella pratica solidale dell’oggi. E’ il caso delle Pubbliche Assistenze.
Andrea Frau, Presidente della Pubblica Assistenza spezzina, mi ha raccontato le attività svolte nel 2020: acquisto e consegna di 2.200 spese a famiglie in stato di necessità; consegna di venti cene al giorno a persone anziane in difficoltà; consegna ad anziani in stato di bisogno di 400 forniture di medicinali; 400 servizi di assistenza a persone senza fissa dimora con consegna di pasti caldi e coperte; consegna quotidiana di generi alimentari alle mense dei poveri; una volta al mese somministrazione in sede di un pranzo a venti persone in difficoltà; realizzazione di doposcuola per agevolare l’integrazione di bambini in età scolare primaria; 4.300 trasporti sanitari urgenti e 4.500 non urgenti; 700 funerali. Conosco bene l’analoga attività della Pubblica Assistenza di Lerici, e so di quella delle altre Pubbliche Assistenze liguri.
Ebbene, tutto ciò è a forte rischio, a causa di una sciagurata legge della Regione Liguria, la n. 15/2020 del 10 luglio, che ha abrogato la normativa precedente, risalente al 2007.
L’articolo 6 della nuova legge ha stabilito che “l’attività funebre è consentita unicamente a ditte individuali o società di persone o di capitali che abbiano la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività)”. Le Aziende per i Servizi alla Persona come le Pubbliche Assistenze sono pertanto escluse dalla possibilità di esercitare le onoranze funebri, che hanno svolto con serietà e a condizioni di mercato fin dalla fondazione (a Spezia dal 1889). E’ evidente che senza gli utili derivanti dai funerali le Pubbliche Assistenze non possono svolgere le altre attività di solidarietà sociale, con pesanti ricadute sui cittadini.
Lo scopo della legge è stato ben evidenziato in un parere di Alisa: favorire l’imprenditoria privata funebre ed “evitare la concorrenza di soggetti non profit che godono di trattamenti fiscali e normative particolarmente favorevoli”. Peccato che questi “trattamenti” e “normative” non esistano: le Pubbliche Assistenze versano le tasse nella loro completezza, non scaricano l’IVA e hanno maggiore difficoltà negli acquisti dovendo sempre svolgere gare; e non beneficiano di alcun finanziamento pubblico.
La Liguria è un caso unico: è la sola Regione che ha emanato una legge di tal fatta. Tra l’altro la Corte Costituzionale ha ritenuto la materia di competenza nazionale, non regionale. In attesa di una nuova normativa nazionale, è bene che la nostra Regione modifichi la sua legge. Lo hanno proposto le opposizioni, lo chiede un ampio fronte sociale che si batte per la solidarietà.

Post scriptum:
Su questi temi rimando ai miei articoli “Non solo cemento. Costruiamo la Liguria del futuro con il Next Generation Eu” e “Difendiamo le Pubbliche Assistenze e il mutualismo dal basso”, pubblicati nella newsletter “La Voce del Circolo Pertini” del 15 marzo 2021. Le newsletter sono leggibili su www.associazioneculturalemediterraneo.com.

L’articolo di oggi è dedicato a Giuliano Giaufret, “una personalità di grande rilievo umano, professionale e di profonda fede religiosa vissuta in continuo approfondimento”, come ha scritto Carlo Bellotti su “Avvenire”. Giaufret proprio per questo è un protagonista dei due volumi del libro mio e di Maria Cristina Mirabello “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”. Presidente della Gioventù di Azione Cattolica, fu poi il principale animatore, con Gianluca Solfaroli, del Circolo don Milani, a partire dal 1967: la prima esperienza di rottura dell’unità politica dei cattolici, nelle elezioni politiche del 1968, quando il Circolo si schierò per il voto al PCI. L’influenza del Concilio Vaticano II e di don Milani su tutte le culture politiche del tempo fu enorme: fu soprattutto grazie a don Milani e a “Lettera a una professoressa” che il Sessantotto italiano -e spezzino- fu anche cattolico. Una specificità, rispetto al Sessantotto di Berkeley, di Parigi o di Berlino. Giaufret fu inoltre un dirigente della Ceramica Vaccari: anche la storia di questa fabbrica gloriosa e tormentata è raccontata nel libro. Dice Giaufret nella sua testimonianza: “Ero uno spirito critico, mi sono sempre posto dei perché”. Colpisce in particolare, nei documenti del suo archivio (che ora sarà messo a disposizione di tutti presso la Biblioteca Beghi), la passione per la lotta del popolo vietnamita: “Il Vietnam -afferma- fu un punto chiave su cui si arrivò alla rottura dell’unità politica dei cattolici”. Fu una mobilitazione -la battaglia di Davide contro Golia- che unì, in una sorta di fusione emozionale prima ancora che politica, le forze più diverse. Mai la coscienza degli spezzini fu “planetaria” come allora. Giaufret è stato questo e molto altro ancora. Soprattutto fu una persona buona, di rara gentilezza. Con la moglie Hélène ha formato una coppia molto affiatata, unita dall’amore reciproco e dall’amore per gli altri, che per tutta la loro vita si manifestò -e in Hélène si manifesta ancora- nel volontariato. Quando intervistai Giuliano di fatto intervistai anche la moglie: erano un’anima sola. Il libro si conclude con “Quel che resta di quegli anni”: la lotta di Giuliano per dare un nuovo senso alla vita è una lezione che ci parla ancora.

lucidellacitta2011@gmail.com

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