Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
All’incontro interverrà Giorgio Pagano, curatore dell’opera e autore di una postfazione e di …

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Finita l’era del “ci penso io” la sinistra ascolti la gente

a cura di in data 18 Giugno 2011 – 17:07

Il  Secolo  XIX – 18 giugno  2011 – Il vento sta cambiando, nella direzione indicata da parole come beni comuni e solidarietà, per molti anni fuori moda. Sono sempre stato convinto, dalla mia “postazione” civica e associativa,  che il “pensiero unico” non fosse poi tanto unico. Che attorno a noi, nelle maglie di una società spesso ignara, operasse il “soggetto solidale e responsabile” di cui parla Edgar Morin: gli individui che si preoccupano e si prendono cura dell’altro e del mondo, le “cellule locali della solidarietà e della cultura”, come le chiama don Virginio Colmegna della Caritas di Milano. Certo: sono sempre stati frammenti, con scarsa capacità di fare massa critica. Ricordo un dibattito a Genova sul volontariato con Umberto La Rocca, da poco direttore di questo giornale. Concordammo sul fatto che mancava ancora il coagulo, ciò che avrebbe consentito ai tanti piccoli mutamenti di accumularsi fino a rompere l’equilibrio esistente e a far collassare il vecchio ordine. La storia ha fornito due occasioni, che non sono andate perdute: le amministrative e i referendum sui  beni pubblici.
Ho intuito che il “momento del coagulo” fosse vicino quasi per caso, tornando a casa un sabato sera da un viaggio di lavoro. Ho acceso la Tv disfacendo la valigia e, dopo molti anni, ho visto la fase finale del Festival di Sanremo. Roberto Vecchioni che cantava di operai senza lavoro, di soldati ventenni catapultati nei deserti, di ragazzi in piazza a difendere libri e pensieri, e che concludeva con “questa maledetta notte dovrà pur finire” mi ha così colpito che, per la prima volta in vita mia, ho partecipato a un televoto. E ho scoperto di essermi emozionato insieme a milioni di persone, che avevano, con me, fatto vincere quella canzone così “anticinica”. Ho capito che per uscire da 25 anni di egemonia del cinismo bisogna saper nuovamente parlare al cuore, suscitare passioni. Come quelle che ci hanno portato a fare l’alba ad aspettare i risultati di Mirafiori e a ritrovarsi nella lezione di dignità degli operai. Fino alle tante piazze di questi mesi e al ciclone internet che ha coinvolto tanti nei referendum, compreso chi, come me, era rimasto all’era del ciclostile. Torna, insomma, la democrazia dei cittadini autonomi e dei sentimenti. Ricordiamoci che non c’è stata svolta storica che non sia stata nutrita da passioni tenaci.
Il cambiamento viene da lontano: la “grande crisi” del 2008, Barack Obama, la primavera araba, Fukushima. Le cause più “italiane” sono note, ma connesse al cambiamento globale. Anche da noi è scattata la rivolta contro le idee dominanti negli ultimi 25 anni: liberismo e privatismo, leaderismo e populismo, deriva oligarchica e separatezza della politica dalla vita. Ecco, il “coagulo” è stato questo: l’idea che il privato non è meglio del pubblico e che le relazioni tra gli individui non sono solo mercantili, il bisogno di un senso del limite e il rifiuto di una crescita a qualunque costo, il bisogno di una politica diretta e partecipata e il rifiuto di una sua concezione verticale, con il popolo spettatore che applaude il leader solo al comando. Sono i temi attorno a cui c’è stato il risveglio civile di studenti, donne, operai, precari. Il ritrovarsi a festeggiare, nel nome della Costituzione, i centocinquant’anni di unità nazionale. Il consenso a un leader con un netto profilo culturale alternativo come Pisapia. La rimessa in movimento delle parrocchie e dei cattolici, che sono tornati alla virtù dei primi cristiani, il parlar chiaro. Siamo, per estensione anche generazionale, oltre la categoria dei “ceti medi riflessivi” che Paul Ginsborg aveva usato in un’altra fase di risveglio civile, quella dei “girotondi”. La mobilitazione è più diffusa e popolare. Ed è contro sia i paradigmi culturali dominanti sia la sostanziale subalternità ad essi del vertice del Pd. Che in buona parte era per il nucleare, non era entusiasta dei referendum sull’acqua, riteneva che si dovesse rompere a sinistra e puntare all’alleanza con il Terzo polo. Ha vinto uno stile politico che viene dal di fuori rispetto al sistema dei partiti: o, quantomeno, ha rappresentato il valore aggiunto decisivo.
A proposito di Sanremo, mi viene in mente che da ragazzino, nel 1970, fui sorteggiato per partecipare alla giuria popolare del Festival. Votai per un altro cantautore, Sergio Endrigo, che arrivò in finale con “L’arca di Noè”, una ballata apparentemente ingenua che era però un chiaro messaggio: “partirà, la nave partirà”. Era l’energia civile del ’68-’69. Endrigo non vinse, ma la nave partì, con tutte le sue speranze di rinnovamento. Si incagliò, però, alla fine del decennio. Nonostante, a proposito, un referendum importantissimo: quello del ’74 sul divorzio. Anche ai referendum sulla legge elettorale del ’91-‘93 non seguì il rinnovamento ma Berlusconi. Il motivo fu sempre l’assenza di un progetto di governo credibile da parte della sinistra, tema che oggi si ripropone. Invece che di categorie astratte -il centro, i moderati- la sinistra ha bisogno di aprirsi alla spinta antioligarchica proveniente dal basso e di consolidare questo capitale riemerso coinvolgendolo in una proposta di governo. La mossa del cavallo sta nell’uscire dal perimetro tradizionale della politica ormai sclerotizzato e nella contaminazione con la vita reale. Obama vinse così. Da noi significa costruire un nuovo grande partito della sinistra, plurale e libertario, laburista e ambientalista, che ricongiunga l’antica storia della sinistra (Pisapia ha detto giustamente che il suo modello è il sindaco socialista Antonio Greppi) con le energie civiche e i giovani di oggi. Pierluigi Bersani ha avuto la saggezza di fare una virata a sinistra, coerente con la domanda della base del Pd e con il bisogno che emerge dal Paese. Gli elettori di Pd, Idv e Sel sono già uniti, e il Pd non può fare a meno di Pisapia, di Luigi de Magistris, di Sel e della sua crescente influenza politica, di Nichi Vendola  e della sua capacità di incrociare la vita e le passioni. Ha bisogno di quello che Franco Cassano chiama “un giro più largo” e non può, come ironizzava Bertold Brecht, “cambiare il popolo”. I partiti attuali sono tutti un work in progress, devono mettersi in gioco, stare dentro l’onda sociale, coinvolgerla rispettandone l’autonomia e evitando il “ci penso io”, cosa a cui sono del tutto disabituati. E unirsi allargando i propri confini. Il Big Bang, cioè la rinascita della sinistra in Italia, è possibile.

Giorgio Pagano
L’autore è presidente di Funzionari senza Frontiere e segretario generale della Rete delle Città Strategiche; alla Spezia presiede l’Associazione Culturale Mediterraneo.

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