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Cambiare la politica? Cominciamo dalla cultura

a cura di in data 30 Dicembre 2011 – 13:51

La  Repubblica – Il  Lavoro – 27 dicembre 2011 – Oltre trenta associazioni culturali della Liguria si sono costituite in un coordinamento per dar vita a iniziative comuni. Che cosa ci unisce? Il volontariato, l’autonomia da partiti e istituzioni, la volontà di far crescere il pensiero critico. E, ancor più oggi, l’impegno per il nostro Paese. Il nostro contributo potrebbe essere utile soprattutto su un punto: la costruzione di un nuovo rapporto tra cultura e politica, oggi separate da un imperante pragmatismo senza meta. C’è bisogno di fare, ma anche di pensare. La sostanza ideale e culturale è contenuto essenziale della politica: per essere “concreti” bisogna anche essere “astratti”, perché la politica non è solo tecnica e razionalismo ma deve vedere tutto il “contorno”, che è appunto culturale: idee, speranze, paure.

La politica, di destra ma anche di sinistra, ha fallito nella sede naturale, il Parlamento: lo dimostra la nascita del Governo Monti, che non è causa ma conseguenza della mortificazione della politica. E’ quel che passa il convento, in un’Italia in cui alla crisi economica si assomma quella dei partiti: mancano i grandi partiti nazionali, con una solida base culturale, idee forti, leadership autorevoli. La politica è debole come in nessun altro Paese, Grecia inclusa, perché è incapace nell’arte di governare, cioè di esercitare il potere con una “veduta lunga”. Regna il non sapere. L’emergenza democratica cominciò con la crisi della prima Repubblica, fu aggravata da Berlusconi ma non finisce con lui, perché la politica non sa più capire il Paese e raccontarlo ai cittadini con il “linguaggio della verità” di cui parla Giorgio Napolitano. Lo stesso assetto politico-istituzionale della seconda Repubblica (maggioritario e leaderistico) non ha funzionato, tant’è che per tentare di uscire dalla crisi è stato necessario contravvenire a tutti i suoi principi.

La crisi è tale che anche partiti senza meta e senz’anima sono chiamati a dare risposte, a fare i conti con se stessi, a riflettere a fondo per trovare la meta e l’anima. Cioè la cultura, un pensiero su diseguaglianze, precarietà, immigrazione, clima… Il dilemma non è più Berlusconi sì o no, mentre intanto nei due fronti convivevano tendenze opposte: come nella sinistra, in parte liberista e in parte no. Il dilemma è il domani dell’Italia e dell’Europa, tema su cui ricostruire un vero profilo culturale dei partiti. E quindi, con cristallina chiarezza, una destra e una sinistra davvero differenti tra loro. Non c’è più la destra che abbiamo conosciuto,la Legava per la sua strada populista e antinazionale, il Pdl è diviso e in parte tentato dal centro, il partito della stabilizzazione moderata e efficientista e del “neoguelfismo” di una parte dei cattolici. Anche nella sinistra tutto è in discussione, con il Pd diviso tra l’alleanza con Idv e Sel e quella con il centro, in cui rischierebbe un ruolo ancillare e subalterno. Né la destra né la sinistra  possono tenere insieme tutto sulla base del niente: il big bang è ormai innestato nei partiti, nelle coalizioni e nello stesso bipolarismo. E il centro può diventare egemonico, soprattutto se la sinistra non apre orizzonti nuovi.

Può esserci, dopo la sua sospensione, la ripresa della politica, della sua capacità di riconnettersi a una società di cittadini in cerca non di prontuari ma di “senso” e di “cultura”. Per me, uomo della sinistra, deve significare cultura “altra”: dominio della democrazia sull’economia; rappresentanza della richiesta di giustizia sociale; sostegno all’individuo perché esca dall’individualismo privatistico e si muova insieme agli altri individui verso una società non più dominata dal denaro. La crisi è un’occasione, non sciupiamola. Anche la cultura ligure può fare la sua parte.

Giorgio Pagano

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