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Perché la destra ha vinto in Italia e perché la Liguria non é un modello

a cura di in data 7 Aprile 2010 – 09:34

PERCHE’  LA  DESTRA  HA  VINTO  IN ITALIA  E  PERCHE’  LA  LIGURIA  NON  E’  UN MODELLO

di Giorgio Pagano

C’è una domanda di fondo che emerge dal voto: perché in tanti, nel centrosinistra, si erano illusi che le crepe vistose nell’edificio del berlusconismo dovessero tradursi in un calo di consenso elettorale? Che questa volta lo schema <classico> del <referendum su Berlusconi>, ripetitivo e senza idee nuove, funzionasse di meno? Premesso che il fossato dell’astensionismo si è ampliato a dismisura, le risposte sono più d’una.
Innanzitutto il berlusconismo si regge su un’egemonia culturale diffusa, che ha radici profonde nella vicenda del Paese di questi anni e non è stata ancora incrinata. Si sono consolidati, cioè, quelli che Guido Crainz chiama “settori sempre più corposi di <società incivile>”, la cui incubazione prese corpo negli anni ’80 e che confluirono nell’<idea d’Italia> di Silvio Berlusconi: individualismo privatistico, rivolta contro l’invadenza burocratica di Stato e partiti, promessa ottimistica dell’arricchimento, paura dell’immigrazione, populismo del <capo> decisionista, fino a prefigurare il disegno di un’altra Costituzione e una strategia presidenzialista che ha come obbiettivo l’investitura plebiscitaria del leader.
La seconda risposta è che Berlusconi vince sì, ma grazie alla Lega e non al Pdl. Il partito maggiore del centrodestra perde voti, ma questi vengono in buona parte intercettati dalla Lega: un’altra destra, più coerente ed omogenea, ma comunque al berlusconismo strettamente legata. Il voto ci dice che il partito <a vocazione maggioritaria> e <liquido> è entrato in crisi anche a destra, non solo a sinistra. Berlusconi ha rivinto il referendum su di sé, ma la maggioranza ha cambiato natura. Sulla crisi del partito principale (finora) della destra c’è una vicinanza tra Berlusconi e Nicholas Sarkozy, con la differenza che quest’ultimo non può allearsi con il partito di Jean-Marie Le Pen, mentre Berlusconi si salva grazie al legame con la Lega. I problemi, però, non mancano: Bossi sta rendendo il Cavaliere sempre meno padrone del gioco. Ed è già oggi il premier ombra, nonostante l’agitazione di Gianfranco Fini.
C’è, infine, una terza risposta: la forza di Berlusconi sta anche nell’assenza di un racconto diverso e alternativo costruito dal centrosinistra. Quello berlusconiano è stato contrastato solo labilmente, anche quando il centrosinistra è stato al governo. Non sono stati messi in campo gli anticorpi per arginare la cultura della <società incivile>. E non è stata costruita né una difesa né una proposta, dalla questione del conflitto di interessi  al tema di una politica economica e sociale alternativa.
Mentre Nicholas Sarkozy si è trovato di fronte all’opposizione netta del Partito socialista, capace di rappresentare un movimento sociale di lavoratori, precari, donne, ceti medi impoveriti e di affondare la campagna <anti-multiculturale> sull’identità nazionale, in Italia il conflitto sociale e la battaglia culturale sono stati assai più flebili. Certo, il Pd di Pierluigi Bersani ha provato a collocarsi su un terreno nuovo rispetto alla sua origine, a superare un vuoto strategico con i primi segmenti di un disegno per l’Italia, che tenga insieme difesa della democrazia e battaglia per uguaglianza e merito. E l’opposizione è apparsa un po’ più unita che in passato. Ma il più resta da fare: il Pd non ha preso il volo. Il lavoro di costruzione del Pd e di un nuovo centrosinistra, che trasformi l’opposizione in alternativa, comincia adesso. Messi da parte la <vocazione maggioritaria> e il <partito liquido>, non è pensabile riproporre la formula dell’Unione e il partito tradizionale. Sono vie piene di detriti. Al Pd spetta diventare un partito che sia insieme luogo delle personalità e comunità coesa; e unire forze diverse su un progetto di società alternativo all’alleanza Lega-Pdl. La priorità è il <cosa>, non il <con chi>. Le alleanze non bastano per vincere. La partita vera riguarda identità e cultura: bisogna sapere quale Italia si vuole rappresentare e fornire una visione del futuro. E’ un lavoro di lunga lena, perché il Pd nacque come partito antiidentitario e che voleva rappresentare indistintamente tutta la società.
E in Puglia e in Liguria, dove ci sono state le vittorie più importanti? Nichi Vendola è stato il più capace a mobilitare la società e a dare identità culturale: ma è un’esperienza esportabile? Claudio Burlando è stato bravo, soprattutto nel rapporto con il popolo. Ma la coalizione ligure non è un modello. Il Piemonte dimostra che al Pd non basta nemmeno più l’Udc per vincere. La destra, nel 2013, potrà essere sconfitta solo con una nuova idea dell’Italia.

7 aprile 2010

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