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Non siamo immuni

a cura di in data 6 Luglio 2020 – 15:46
La Spezia, Pieve di San Venerio (2012) (foto Giorgio Pagano)

La Spezia, Pieve di San Venerio
(2012) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 28 giugno 2020 – Il virus è ancora tra noi, in grado di trasmettersi con efficacia. L’indice di contagio è risalito in tre regioni oltre la soglia critica dell’1%. In Liguria siamo vicini, l’indice è allo 0,8%. Nel mondo la situazione resta drammatica negli Stati Uniti, in Brasile, in India… Il Covid-19 non farà come la Spagnola nel 1918: siamo più attrezzati, e allora c’era appena stata una guerra mondiale. Ma ha già colpito 10 milioni di persone, uccidendone 500 mila. E può colpire ancora di più: è del tutto prematuro parlare di un virus diventato più debole, visto come sta impazzando in certe zone del mondo. Gli scenari possibili, ha detto il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, sono due:
“In quello più ottimista, i Paesi sviluppati coordineranno le loro risposte e riusciranno a contenere il virus per evitare una seconda ondata. E i Paesi in via di sviluppo riusciranno ad evitare una catastrofe. Nel giro di due-tre anni le cose torneranno alla normalità. Nello scenario più pessimista, la risposta coordinata non ci sarà e vedremo un disastro nell’emisfero meridionale e una seconda ondata pesante nel Nord del mondo, con conseguenze economiche terribili e una depressione mondiale di cinque o sette anni.”
Una cosa è chiara: quella che stiamo vivendo è ancora la prima ondata, compresa quella che sta riemergendo in Cina. Siamo in tempo a evitare una seconda ondata catastrofica -lo scenario pessimista di cui parla Guterres? Certo: ma non con il vaccino, che arriverà dopo (minimo tra un anno). La catastrofe si può evitare con le decisioni dei Governi e con i comportamenti dei cittadini. Impariamo la lezione: se avessimo “chiuso” il Paese una settimana prima, migliaia di vite sarebbero state risparmiate. All’inizio l’Occidente, non toccato dalla Sars, ha commesso il grave errore di trattare il Covid-19 come una normale influenza, vedi il Primo Ministro inglese Boris Johnson e la sua tesi sull’immunità di gregge. Il ritardo di Johnson sul lockdown è costato almeno 25 mila vittime, ha calcolato Richard Horton direttore della rivista scientifica “Lancet”. Tra i leader occidentali il nostro Conte ha fatto molto meglio di altri. E molto bene ci siamo comportati noi, cittadini italiani.
Ora dobbiamo continuare ad avere molte precauzioni. Senza fidarci troppo del caldo, perché molti Paesi caldi vedono esplodere i casi Ma gli uomini politici devono dirlo pubblicamente con chiarezza: non siamo immuni. Se gli uomini politici non lo dicono i cittadini, conseguentemente, si comportano in maniera scellerata.
I principali problemi sono chiari a tutti: il Sud, dove l’epidemia potrebbe scoppiare perché i sieropositivi sono pochissimi; i giovani, che si sentono “inattaccabili”; le scuole, dove il contagio rischia di diventare una bomba; gli asintomatici, che diffondono i contagi ma si rintracciano con difficoltà. Ma cerchiamo di entrare un poco nel merito su ciò che si dovrebbe fare.

RIFLESSIONI SU LERICI
A Lerici il Sindaco Leonardo Paoletti ha deciso che si può andare in spiaggia solo su prenotazione; e ha organizzato la passeggiata fino a San Terenzo dividendola in due sensi di marcia per i pedoni. Decisioni sagge, che ben conciliano ripresa del turismo e coscienza sociale. Matteo Salvini, nel suo comizio a Lerici, le ha però criticate. Va detto che Paoletti ha il sostegno, per le imminenti elezioni comunali, del centrodestra, Lega compresa. Ma il centrosinistra lericino si è ben guardato dall’evidenziare la contraddizione. Quasi che Salvini avesse ragione. Mentre invece ha torto marcio. Dal 3 giugno Lerici è invasa dai turisti, soprattutto lombardi con la seconda casa, e dai ragazzi spezzini. Non tutti hanno la mascherina, non tutti evitano gli assembramenti, non tutti rispettano le ordinanze sindacali. Molti lericini anziani, visto l’andazzo, non escono più per ansia e paura e preferiscono chiudersi in casa. L’altra sera passeggiavo con la mascherina e una ragazzina (spezzina, riconosciuta dall’accento) mi ha urlato: ”Viva il coronavirus!”. Qualche sera prima un un signore (lombardo, riconosciuto dall’accento) mi aveva apostrofato: “Non è obbligatoria!”.
Non dobbiamo esagerare con l’ansia e la paura, ma è bene che tutti si attengano alle misure igieniche e alle normative, per ridurre il rischio sia di contrarre il Covid-19 sia di trasmetterlo ad altri, i più vulnerabili. Nessuna epidemia della storia è stata così influenzata dall’insieme dei comportamenti individuali, argine fondamentale al virus: guai a dimenticare la lezione!
Ma perché tanti cittadini ignorano le precauzioni? La responsabilità è la loro, ma anche degli uomini politici, che non sanno più parlare il linguaggio condiviso dei tempi del lockdown. Vale per Salvini, che è di destra, come per il Sindaco di Napoli, che è di sinistra, e ha giustificato il “contagio della felicità” dei tifosi napoletani per la conquista della Coppa Italia. Di fronte a messaggi politici così incoerenti, come faccio a esecrare la ragazzina spezzina? Esecro di più il signore lombardo, ma anche lui va in qualche modo “capito”: non ascolta più una forte raccomandazione delle autorità.
E’ bene che i più giovani sappiano anche che l’”immunità generazionale” non esiste. Ho studiato il problema per il mio libro “Africa e Covid-19 Storie da un continente in bilico”: il dato della popolazione molto giovane, motivo di speranza per molti, non regge di fronte ai dati. Ahmed Ogwel Ouma, Vicedirettore del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie (Africa-Cdc), ha dichiarato:
“In base alle nostre ricerche possiamo affermare che non ci risulta una maggiore resistenza della popolazione africana al virus o una minore incidenza legata all’età anagrafica, visto che abbiamo avuto numerosi contagi e decessi di persone di ogni età, in tutto il continente”.
L’infettivologo Francesco Menichetti, parlando del nostro Paese, qualche giorno fa ha scritto:
“Adesso le fasce di età coinvolte sono più giovani, trenta, quaranta e cinquantenni e non anziani e grandi anziani, già colpiti e purtroppo spesso deceduti”.

La Spezia, Pieve di San Venerio (2012) (foto Giorgio Pagano)

La Spezia, Pieve di San Venerio
(2012) (foto Giorgio Pagano)

RIFLESSIONI SUL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE, LIGURE E SPEZZINO
Si ripresentano in questa fase alcune carenze che abbiamo avuto nei mesi scorsi. In modo particolare la debolezza della sanità territoriale, necessaria per il sistema test & tracing, la strategia più efficace contro il virus. La questione è che dobbiamo rintracciare gli asintomatici. Quindi non basta il distanziamento, dobbiamo fare test e far funzionare al meglio l’app Immuni. In Italia, e in Liguria e a Spezia in particolare, gli aspetti legati alla prevenzione nel territorio sono stati messi nell’angolo, e i risultati si sono visti e si vedono. E’ il momento, quindi, di invertire la rotta. La priorità è un grande impegno per la sorveglianza territoriale.
Venerdì 19 giugno ero anch’io davanti all’ASL, insieme agli amici del Manifesto per la sanità locale, per denunciare le gravi lacune mostrate dall’ASL spezzina: la mancanza del “Piano per affrontare le epidemie respiratorie”, la riduzione del personale (mancano 800 lavoratori), la riduzione dei posti letto (ne mancano 286), la disorganizzazione della sanità nel territorio, il personale lasciato allo sbando.
Dobbiamo pretendere sia un piano per affrontare una eventuale nuova epidemia (acquisto di dispositivi di protezione e di tamponi, implementazione dell’epidemiologia e della prevenzione), sia un piano per affrontare la nuova “emergenza No Covid”: tutte le altre patologie che per quattro mesi alla Spezia non sono state curate. Un piano che permetta alle persone di curarsi senza dover andare fuori sede o nel privato.
La sanità spezzina ha raggiunto il suo punto più basso: il Presidente della Regione Toti non può più ignorarlo. E Spezia, unita, non glielo deve consentire.
Ma è tutta la sanità, nazionale e regionale, che deve cambiare. Centrale, nel nuovo sistema per cui occorre battersi, è la proposta delle “Case della salute” e delle “unità complesse di cure primarie”, con il compito di erogare prestazioni assistenziali tramite il coordinamento e l’integrazione dei medici di famiglia, dei medici specialisti, degli infermieri, delle professionalità ostetrica, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e del sociale a rilevanza sanitaria… Una riforma tutta spostata sul territorio e sulla comunità, che si prenda davvero cura del paziente, contro ogni logica “ospedalocentrica” e privatistica.

Post scriptum:
Sulle tematiche sanitarie legate alla pandemia rimando a questi miei recenti articoli:
Covid-19 due mesi dopo. Impariamo dagli errori” (in questa rubrica, 26 aprile 2020);
La guerra contro il virus si vince nel territorio” (www.associazioneculturalemediterraneo, 9 maggio 2020);
L’Africa e il coronavirus, Pagano racconta in un ebook un continente in bilico” (“Città della Spezia”, 1° giugno 2020).

lucidellacitta2011@gmail.com

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