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A Paolo, amico di una strana tribù

a cura di in data 25 Marzo 2019 – 09:17
Sao Tomé e Principe, Ribeira Afonso, donne e bambini (2015) (foto Giorgio Pagano)

Sao Tomé e Principe, Ribeira Afonso, donne e bambini
(2015) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 17 marzo 2019 – E’ stata una settimana terribile, in cui troppi amici se ne sono andati. Prima Franco Bernardi, partigiano cristiano, con cui ho condiviso per anni la Presidenza del Comitato Unitario della Resistenza. Poi Aldo Giacché, dirigente del Partito Comunista e Sindaco della città, a me molto caro, per il ruolo fondamentale che ha avuto nella mia formazione culturale e politica e nelle mie scelte di vita. Ma prima di loro se ne è andato un altro amico, e nel modo più brutale. E’ di lui che scriverò oggi. A Franco e ad Aldo dedicherò altri articoli, perché certamente ognuno di loro lo merita.
Questo amico si chiamava Paolo Dieci. Era uno degli otto passeggeri italiani a bordo del Boeing 737 della Ethiopian Airlines precipitato domenica scorsa mentre era appena decollato da Addis Abeba per Nairobi.
Paolo era direttore del Cisp, Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli, un’Organizzazione non governativa nata nel 1983 a Roma, e Presidente di Link 2007, una rete di collaborazione tra Ong veramente preziosa. Vicino alla Comunità di Sant’Egidio, era impegnato con grande passione e competenza nella Cooperazione internazionale, a cui aveva dedicato la vita. Aveva 56 anni, era sposato ed era padre di tre figli, di cui una nata in Etiopia, il Paese dove aveva vissuto cinque anni. Stava andando a Nairobi per raggiungere la Somalia, per una missione del Cisp.
Nino Sergi, fondatore della Ong Intersos, ha raccontato l’ultima telefonata con Paolo: “Vado in Somalia sempre volentieri, perché è un Paese che amiamo, anche se difficile e rischioso… ci sono interventi a beneficio delle comunità che il Cisp può e ha il dovere di fare e i nostri operatori, somali e internazionali, vanno sostenuti e guidati”. All’amico che raccomandava di non esagerare con la sua generosità che non si prendeva mai pause, Paolo ribatteva: “Dobbiamo insistere perché se non andiamo noi in questi Paesi finisce che non va più nessuno, dobbiamo andarci e spiegare a tutti il perché”.


Roma, libreria Griot, Paolo Dieci e Giorgio Pagano alla presentazione di "Sao Tomé e Principe-Diario do centro do mundo" (2017) (foto archivio Giorgio Pagano)

Roma, libreria Griot, Paolo Dieci e Giorgio Pagano alla presentazione di “Sao Tomé e Principe-Diario do centro do mundo”
(2017) (foto archivio Giorgio Pagano)

Paolo Dieci era ostinato e tenace, ma anche capace di dialogare e di tessere reti di collaborazione. Era generoso, gentile e affidabile: studiava molto, era sempre preparato sugli argomenti che affrontava.
Ho di lui tanti ricordi: dalla partecipazione alla Conferenza sulla Cooperazione internazionale a Roma nel 2012, in cui ebbe un ruolo chiave, alla sua vicinanza in tante occasioni a Januaforum, l’associazione dei cooperanti liguri di cui sono stato uno dei fondatori. Insieme abbiamo lottato e poi abbiamo ottenuto la riforma della politica e del sistema della Cooperazione internazionale con la legge 125 del 2014, dopo molti tentativi. Insieme abbiamo affrontato la sfida umanitaria e culturale dei flussi migratori, per l’affermazione della giustizia sociale e dei diritti umani. Insieme abbiamo capito che per l’Italia la Cooperazione è un interesse primario: non è solo un dono agli altri, è anche un’opportunità per noi.

Mi fece l’onore di presentare a Roma, nel 2017, il mio libro “Sao Tomé e Principe – Diario do Centro do Mundo” con un bellissimo intervento che conservo come un dono prezioso. Potete leggerlo qui: “Un atto d’amore a Sao Tome e una nuova visione dell’Africo e della cooperazione di Paolo Dieci, presidente di Link 2007.
In poche righe c’è tutto il suo pensiero, un pensiero di avanguardia. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ha detto di Paolo:
“Quelli come Paolo Dieci, un pugno di eroi, non hanno paura del futuro. Sono persone buone ed efficaci, non fanno prediche e non temono le situazioni difficili, ma la loro differenza è che sanno che la nostra Italia estroversa è davvero adatta al mondo globale. I buonisti, ormai li chiamo anch’io così, rivelano un’intelligenza più profonda di chi sta sulla difensiva… Paolo aveva capito che non basta la miseria per trasformare un uomo in un migrante. Quell’uomo si mette in marcia solo quando perde ogni speranza nel suo Paese”.
Paolo non stava a guardare ma si dava da fare per dare speranza. Faceva parte di quella strana tribù delle tanto vilipese Ong, composta da persone che non stanno incollate ai social ad offendere gli altri ma si battono in prima persona per chi sta peggio.

lucidellacitta2011@gmail.com

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