Per un golfo di pace, lavoro e sostenibilità “Riflettiamo sul progetto Basi Blu” – Sabato 13 aprile ore 17 alla Sala conferenze di Tele Liguria Sud
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Funzionari senza Frontiere: intervista di Plural al Presidente Giorgio Pagano

a cura di in data 14 Marzo 2013 – 09:08

Come nasce l’associazione Funzionari senza frontiere? Che tipo di attività vengono promosse e in quali parti del mondo?

L’associazione è nata nel 2010, con lo scopo di accompagnare e sostenere i processi di rafforzamento che sono in corso nelle amministrazioni locali africane attraverso il metodo dell’affiancamento tra amministrazioni locali europee e africane e l’impegno dei dipendenti pubblici europei come cooperanti. All’origine dell’associazione ci sono due progetti, integrati tra loro, realizzati a partire dal 2004, “Euro-African Partnership for Decentralised Governance” (voluto dalle Nazioni Unite e dalla Regione Toscana) e “Municipi senza Frontiere” (voluto dall’Anci). Fino a pochi anni fa il dialogo euro-africano è stato organizzato al solo livello dei Governi e dei Parlamenti degli Stati, ora si sta allargando alle istituzioni locali. Noi siamo nati nel vivo di questo impegno: portare tra le sfide della cooperazione tra Europa e Africa la prospettiva locale. Perché senza il decentramento, l’autogoverno dei territori e lo sviluppo locale non c’è futuro per l’Africa. In questo contesto la cooperazione diventa partenariato “comunità a comunità”, basata su reciprocità e scambio, capace di coinvolgere sia le istituzioni locali che le organizzazioni della società civile, le nostre comunità e quelle africane. Le attività dell’associazione consistono in primo luogo nella collaborazione con Enti locali e ONG che hanno progetti in cui è presente il tema del decentramento amministrativo, in Africa ma anche in Palestina: contribuiamo alla stesura dei progetti e individuiamo i dipendenti pubblici esperti nelle materie di volta in volta al centro dei progetti stessi, per un loro impegno “sul campo”. Abbiamo, in particolare, un rapporto positivo di collaborazione con il Comune di Pontedera: una sede operativa dell’associazione è stata aperta nel “Laboratorio della Cooperazione Internazionale” di Pontedera, alla cui realizzazione abbiamo contribuito. In secondo luogo facciamo informazione, comunicazione e ricerche: stiamo avviando un sito sulla cooperazione toscana e ligure, produciamo periodicamente policy briefs, e così via. Siamo infine impegnati nel rafforzamento e rinnovamento dei Sistemi territoriali della cooperazione in Toscana e in Liguria, in collaborazione con enti locali e ONG.

Il rafforzamento delle istituzioni locali è un efficace strumento per generare sviluppo e coesione sociale: quali sono i principali ostacoli che incontrate nel trasferimento di conoscenze? Esistono dei casi di successo che potrebbe menzionare?

Effettivamente il rafforzamento delle istituzioni locali è uno degli elementi che generano sviluppo e coesione. Una ricerca di alcuni anni fa della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa mise in luce -con riferimento all’Africa sub-sahariana- che gli Stati in cui è presente il decentramento hanno sostanziali benefici per i cittadini in termini di investimenti sull’istruzione, accesso ai servizi fondamentali come l’acqua, riduzione del livello di corruzione, migliore rispetto dei diritti civili e politici, contenimento delle spese militari. Gli ostacoli li vedo ancora oggi in una politica che, a livello internazionale, privilegia il ruolo degli Stati e non ha sempre presente le esigenze e i bisogni dei cittadini. Tuttavia dobbiamo riconoscere che in questi ultimi anni sono stati fatti molti passi in avanti sia nel rafforzamento delle organizzazioni internazionali di Enti locali che nella attenzione al tema del decentramento da parte di grandi istituzioni come l’Unione europea e le Nazioni Unite. La stessa recente grande riunione di città africane, tenutasi in Senegal all’inizio dello scorso mese di dicembre, rappresenta un segnale positivo del cammino intrapreso dall’Africa. Gli esempi positivi della collaborazione tra Comuni italiani e africani non mancano. Ricordo l’esperienza del Comune di Santa Croce sull’Arno (Pisa) in Burkina Faso per il rafforzamento dello stato civile in collaborazione con il Governo e l’associazione dei Comuni del Burkina, oppure quella di Tavarnelle Val di Pesa (Firenze) in Ciad per il rafforzamento dello sviluppo locale. Ancora si possono ricordare positive esperienze in campo sanitario ed anche il citato progetto “Municipi senza Frontiere”, che ha operato per il rafforzamento dei Comuni del Niger. Ricordo infine, ma non certo per importanza, la costituzione dell’associazione Euro-African Partnership, composta da un primo gruppo di Enti locali della Toscana con il sostegno di enti omologhi dell’Africa.

Lo scenario mediterraneo vive un grande momento di incertezza dal punto di vista politico. Il processo di democratizzazione, che con la Primavera Araba aveva destato molti interrogativi ma anche profonde speranze, pare aver esaurito la sua spinta di rinnovamento economico e sociale. Le ONG, operando a stretto contatto con la società civile e gli attori economici ed istituzionali, offrono un punto di vista speciale e concreto sui problemi che attraversano le nazioni della Sponda Sud del Mediterraneo. Quali sono a suo giudizio le prospettive nel Bacino Mediterraneo, anche in considerazione della crisi finanziaria che sta attraversando l’Europa e il mondo occidentale?

La Primavera Araba, dal punto di vista politico e culturale, è un evento di portata storica, comparabile con la caduta del Muro di Berlino. Certo, la transizione in corso è complicata, ma la democrazia deve essere paziente. Basti pensare ai gravi difetti che hanno ancora molti Governi attualmente al potere nei Paesi dell’Europa dell’Est. E più in generale alla fatica, e al sangue versato, per costruire la democrazia in Occidente. Non penso che la Primavera sia già diventata “inverno”, né che l’Europa debba rimpiangere i vecchi regimi. Penso piuttosto che la Primavera sia “in bilico”, e che l’Europa debba impegnarsi per favorire un approdo positivo del processo in corso e la ripresa di quella spinta al rinnovamento che incontra così tanti ostacoli. Dobbiamo aprire un dialogo con le leadership emergenti, anche se non ci piacciono, per condizionarle dal punto di vista del rispetto dei diritti umani e civili -delle donne e delle minoranze in primo luogo- e del consolidamento della democrazia. Dobbiamo capire che l’elemento identitario della religione è in quei Paesi decisivo, e imparare a distinguere tra Islam politico e fondamentalismo intollerante, incoraggiando non solo le forze laiche ma anche le tendenze a conciliare Islam e democrazia. Dobbiamo mettere da parte tentazioni neocoloniali, e elaborare politiche comuni sull’energia e sull’immigrazione. E dobbiamo impegnarci di più per la soluzione del conflitto israelo-palestinese, perché è fondamentale anche per combattere il fondamentalismo islamico. Operando in questo modo il Bacino Mediterraneo conoscerà una prospettiva nuova, quella della progressiva integrazione delle due Sponde. La stessa crisi economica che, in forme diverse, colpisce sia la Sponda nord che quella Sud può trovare soluzioni nella cooperazione e nell’interscambio, che rappresentano la vera “nuova frontiera” per le nostre e per le loro imprese.

L’attività di cooperazione presuppone una riflessione politica articolata a capace di stare al passo con i mutamenti economici e sociali. Esiste secondo lei un gap culturale che impedisce alle classi dirigenti europee e mediterranee di trovare nella dimensione internazionale una soluzione comune ai problemi?

Certo, c’è una arretratezza della cultura e della politica europea che va superata. C’è un crescente distacco dell’Europa -la Mitteleuropa in particolare- dal Mediterraneo e dai Paesi di entrambe le Sponde. Lo si può superare solo ridando all’Europa un’idea di se stessa di cui il Mediterraneo sia parte integrante: l’Europa e il Mediterraneo si salvano solo insieme. E’ arrivato dunque il momento di riflettere sulla necessità di dare una nuova cornice istituzionale alle relazioni tra l’Unione europea e i Paesi della Sponda Sud. Abbiamo alle spalle le macerie del processo di Barcellona e dell’Unione per il Mediterraneo, dobbiamo andare molti avanti, nella direzione della comunità euro mediterranea. Impegnando non solo i Governi, ma anche la società civile, le imprese, le ONG: ritorna il concetto di partenariato “comunità a comunità”. Naturalmente vedo tutte le difficoltà di questo impegno: non solo per gli ostacoli alla democrazia operanti nella Sponda Sud, ma anche e soprattutto per la crisi dell’Europa. Mediterraneo, Medio Oriente, Europa: per dirla con Barbara Spinelli “per ora non sono che sottotitoli di un libro ancora da scrivere, sapendo la tragedia di un’Unione divenuta un problema anziché una soluzione, per il pianeta e anche i propri cittadini”. Non c’è alternativa alla Federazione, agli Stati Uniti d’Europa. Bisogna indicare con urgenza la via, i modi, i tempi. L’Europa ha ancora una forza potenziale nel mondo nuovo che sta nascendo, ma diventerà del tutto irrilevante se continuerà ad essere mal governata da una debole confederazione di Stati nazionali. Da subito va intrapreso il percorso dell’Europa federale, una comunità euro mediterranea aperta alla collaborazione con il mondo arabo e con l’Africa (come dimostra la vicenda del Mali tra Africa mediterranea e Africa nera non ci sono ormai più confini). E’ la grande sfida del nostro tempo, pena la nostra decadenza.

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