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Per un’etica condivisa di Enzo Bianchi

a cura di in data 6 Maggio 2008 – 17:29

Quelli in cui viviamo sono “giorni cattivi” per coloro che credono nel dialogo tra credenti cristiani e non cristiani e tra cattolici e laici.

Troppo spesso alcuni cattolici sembrano voler costituire gruppi di pressione in cui la proposta della fede non avviene nella mitezza e nel rispetto dell’altro.

Dove prevale l’intransigenza e l’arrogante contrapposizione a una società giudicata malsana e priva di valori. Ma è solo riconoscendo la pluralità dei valori presenti anche nella società non cristiana che si può stare nella storia e tra gli uomini secondo lo statuto evangelico.

Ed è solo ricordando che il futuro della fede non dipende mai da leggi dello stato che il cristianesimo può ancora conoscere una crescita spirituale e numerica.

Perché i cristiani devono favorire, con le loro parole e le loro azioni, l’emergere di quell’immagine di Dio che ogni essere umano porta con sé. Anche il non cristiano.

Credenti e non credenti, il dialogo possibile

di Lorenzo Fazzini, AVVENIRE, 15.4.09

intessuta della passione per il Vangelo questa lapidaria affermazione di Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, saggista tra i più conosciuti in Italia. Un’affermazione importante che dimostra come anche un fautore del « dialogo e ascolto » tra credenti e non credenti nel nostro Paese qual è fratel Bianchi sia convinto che la sconfessione del carattere pubblico della dimensione religiosa costituisca una perdita per la coscienza civile dell’Italia intera. E invece – è ancora Bianchi a denunciarlo – può succedere che vi sia chi, come «gli uomini di scienza », « finiscono per identificare il ‘sapere religioso’ con la superstizione o un atteggiamento puerile ». Il titolo di questo nuovo saggio –  Per un’etica condivisa (Einaudi, pp. 126, euro 10) – tende a restringere il campo di argomenti trattati dal monaco piemontese, quando invece il suo indagare i rapporti tra cristianesimo e società attuale raggiunge più vasti lidi. È qui presente, ed è apprezzabile, il tono accorato di quei « cristiani credenti in Gesù Cristo e nella forza del vangelo che hanno alle spalle una vita segnata dalla ricerca di dialogo, di confronto, di apertura ».

Ebbene, sono questi a denunciare « i giorni cattivi » nei quali langue il dialogo tra laici e cattolici a causa di una serie di «malintesi». Farà discutere un’affermazione di Bianchi sul montante anticlericalismo, ora molto in voga sulle pagine dei giornali e nei salotti chic: « Negli ultimi anni è in atto anche una ripresa dell’anticlericalismo, atteggiamento che è sempre una reazione a un clericalismo che si nutre di intransigenza, di posizioni difensive e di non rispetto dell’interlocutore cristiano ». Anche il grande storico francese René Remond viene citato dallo stesso Bianchi come colui che previde una « strumentalizzazione » politica della religione da parte di « forze politiche ad essa estranee », anche se denunciò che l’anticlericalismo oggi di ritorno non deve essere letto solo come una reazione al clericalismo, visto che la Chiesa attuale ha abdicato alle tendenze teocratiche di un tempo. Il biblista di Bose, poi, non teme di denunciare quelle operazioni culturali di sbeffeggiamento del cristianesimo e del fenomeno religioso tout court. « Ormai non passa giorno – scrive – che un matematico impertinente o un giornalista arguto o un ‘ateologo’ autodidatta non pubblichi un volume in cui viene spiegato con ironia pari all’approssimazione ‘perché non possiamo dirci cristiani’ oppure ‘come la religione avvelena ogni cosa’ ». Sono facilmente rintracciabili qui i nomi di Piergiorgio Odifreddi, Michel Onfray e Christopher Hitchens con i loro rispettivi titoli antireligiosi, anticristiani per la precisione. Qual è dunque la ‘ricetta’ che il monaco fratel Enzo propone al dibattito culturale italiano odierno? Egli prospetta tre punti dedicati specificatamente al mondo ecclesiale, cioè « tre appelli ai cristiani »: il « primato della fede », cioè « rimettere al centro l’umanità di Gesù » come antidoto per « arginare la barbarie dilagante nella società »; quindi « la riserva escatologica » intesa nel senso che « la vita non può limitarsi al nostro orizzonte mondano »; e, infine, « un’arte della comunicazione » da parte degli stessi cristiani verso il mondo esterno.

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