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I giovani senza futuro

a cura di in data 17 Marzo 2010 – 10:11

Il  Secolo  XIX – 17 marzo 2010 – I dati Istat ci parlano di una disoccupazione giovanile drammaticamente in crescita: tra chi ha meno di 25 anni è balzata dal 18 al 27% in un solo anno e mezzo. Dall’inizio della recessione abbiamo perso 781.000 posti di lavoro, ma esiste un’emergenza dentro l’emergenza. Per quasi due terzi i posti persi riguardano i giovani: contratti a progetto e lavori a confine tra il lavoro autonomo e quello dipendente. Mai una crisi ha colpito così duramente i giovani, con licenziamenti massicci. “E’ un problema sociale nuovo -ha commentato Tito Boeri su Repubblica- cui non siamo minimamente preparati”: solo il 10% di chi ha perso il lavoro è oggi coperto da sussidi di disoccupazione e indennità di mobilità.
Il tema è l’oggetto del libro “Giovani al lavoro” dello psicologo sociale Piero Amerio, risultato di un’indagine su aspettative e aspirazioni di duemila giovani torinesi tra i 20 e i 33 anni. Sotto la lente c’è la difficoltà dei giovani poco scolarizzati, ma -spiega il libro- anche chi ha un titolo di studio e una preparazione di buon livello ha difficoltà a trovare lavoro. I più colpiti sono comunque i figli delle famiglie operaie, artigiane e del ceto impiegatizio medio-basso, segno che esistono disuguaglianze che ripetono  una tradizionale storia di ordine economico-culturale.
“Ormai ci sono pochi sbocchi anche per i sogni”, scrive Amerio. Gli studenti, spiega, sono orientati a proseguire gli studi dopo la laurea, attraverso scuole di specializzazione, master e dottorati, ma  le aspirazioni sono già ridimensionate prima ancora di essere verificate, perché i giovani sanno già che loro passione per la ricerca servirà a poco.
Cambia anche la percezione del lavoro. La dimensione che balza in primo piano nell’ambito dei significati che i giovani danno al lavoro è il denaro. Poi il lavoro è percepito come fatica, obbligo, ma anche come luogo per impegnarsi e per autorealizzarsi. Questa immagine positiva del lavoro è presente soprattutto tra le donne. Non è vero, quindi, “che le nuove generazioni sono aride e composte da fannulloni”, conclude Amerio. Il problema è che i giovani non sanno dove indirizzare questa voglia di impegno e sono costretti “a navigare a vista, impossibilitati a elaborare un progetto a lungo termine sulla propria vita”. Dalla loro percezione del lavoro la componente del futuro è letteralmente scomparsa: è l’insicurezza il sentimento prevalente.
L’indagine fa giustizia della campagna sui “bamboccioni”. I casi estremi ci sono sicuramente, ma questi giovani non sono né pigri né presuntuosi: semplicemente fanno quello che possono, si arrangiano. E se fanno progetti piccoli e corti, c’è una ragione che non sta in loro, ma nel clima sociale.
Il dato della crescita della disoccupazione giovanile accomuna tutti i Paesi europei e gli Stati Uniti, come ha spiegato Irene Tinagli sulla Stampa, e dovunque è al centro del dibattito culturale e politico. Non è così da noi. Il Governo è convinto che i costi sociali della crisi tra i giovani siano marginali perché i giovani possono contare su quello speciale ammortizzatore sociale che è la famiglia di origine. Ma si sbaglia, sia perché la disoccupazione colpisce anche i giovani che non stanno più con la famiglia -immigrati in primis, ma non solo-, sia perché comunque una generazione che entra in ritardo nel mondo del lavoro sarà poi meno motivata e dinamica, con conseguenze su tutta la società. Se i ventenni non hanno speranze, che futuro potrà avere il Paese? Ecco perché la questione giovanile deve diventare una grande questione nazionale: la questione della difesa del futuro degli italiani. E’ ormai chiaro che il berlusconismo, pur ancora forte nel Paese, ha perso la sua carica propulsiva e ha ridotto la sua azione di governo alla mera sopravvivenza. Compito ineludibile del Pd è costruire un’alternativa credibile e convincente, basata su una nuova idea del futuro dei giovani e dell’Italia.

Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).

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