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Da queste macerie nasceranno nuovi leader?

a cura di in data 4 Marzo 2010 – 13:30

Il Secolo XIX – 4 marzo 2010 – Di fronte ai tanti episodi di corruzione e di decadenza morale, molti commentatori hanno criticato lo schema “politica malata – società sana”. Così Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera: la corruzione italiana sfugge a ogni facile terapia “perché non ha alcuna natura propriamente politica ma affonda radici profondissime nel corpo sociale”. Anche per Gian Enrico Rusconi (La Stampa) “la nostra politica rispecchia la nostra società”; “la politica è la fonte prima di disgregazione e di incompatibilità morale e culturale” e “la società civile è a pezzi, depressa, senza guida”. Sono analisi che colgono una buona parte della verità. Se la cogliessero interamente, mi chiedo, la situazione sarebbe senza speranza alcuna. Come potrebbe sorgere “il vero leader” capace di trasmettere “un nuovo senso di responsabilità”, auspicato da Rusconi?
Guardiamo a Obama: la sua leadership è sorta per merito della sua personalità, ma anche per la svolta politica maturata nelle primarie del Partito democratico e per una mobilitazione nella società che ha determinato un cambiamento nella politica. Ero in America prima del voto, bastava vedere i neri ad Harlem o gli operai sfilare nel Labour Day per capire dove stava la forza di Obama.
Anche da noi, dunque, per avere un leader serve una svolta politica. Difficile perché veniamo da anni di antipolitica e di pensiero unico liberista sull’onnipotenza del mercato, che, ha scritto Aldo Schiavone su Repubblica, hanno reciso “quei rapporti tra cultura e politica, tra politica e idee e tra politica ed etica, che, bene o male, avevano alimentato per decenni la nostra vita pubblica e avevano rappresentato il meglio della nostra storia repubblicana”. E tuttavia Schiavone ha ragione: “è dalla politica e dalla sua riforma che bisogna partire”, perché “senza una rigenerazione della politica, senza restituirle la sua vocazione propriamente moderna -che è quella di cambiare il mondo- non potremmo mai farcela”.
Ma qual è il punto di forza su cui far leva per rigenerare la politica? Questi partiti? Questa sinistra, per parlare della mia parte politica? Potenzialmente sì, a patto che il Pd, come Bersani ha detto di voler fare, abbia il coraggio di rimettersi in gioco lasciandosi alle spalle il pragmatismo senza mete e il profilo subalterno degli ultimi anni. Per “dare un senso a questa storia”, un senso che non sia solo mestiere e potere. E’ una sfida enorme, per le macerie che abbiamo alle spalle.
Ma la questione è anche e forse soprattutto un’altra: il nuovo leader e la svolta politica ci saranno se emergerà una spinta politica e culturale dalla società. Non credo che tutta la società sia malata. Io in giro per l’Italia e nella mia città incontro tanti cittadini e giovani, puliti, combattivi, generosi. Si sentono poco rappresentati: è come se avessero l’urgenza di parlare con qualcuno ma non sapessero chi cercare. Lo ha detto bene Edgar Morin, una delle voci più importanti della cultura contemporanea: “Oggi tutto deve essere ripensato. Tutto deve ricominciare. E in effetti tutto è ricominciato, senza che lo si sappia. Siamo allo stadio degli inizi: modesti, invisibili, marginali, dispersi. Perché esiste già, su tutti i continenti, un fermento creativo, una moltitudine di iniziative locali che vanno nella direzione della rigenerazione economica o sociale o politica o cognitiva o educativa o etica o degli stili di vita. Queste iniziative non si conoscono tra loro, nessuna amministrazione le nomina, nessun partito ne parla. Ma esse sono il vivaio del futuro. Si tratta di riconoscere queste vie multiple che potranno formare la Via nuova”. Forse Morin è troppo ottimista, ma una cosa è certa: la politica non va delegata a un ceto sempre più autoreferenziale, la società civile è anche un luogo di produzione della politica. La sinistra non dovrebbe dimenticare il suo  pensatore più fecondo, Antonio Gramsci: per lui la spontaneità della società civile era un obbiettivo da raggiungere, non uno spauracchio da agitare. Bisogna tentare di unire la politica alla vita reale, “andandola a cercare nei luoghi dove può rinascere”, come ci raccomandava Vittorio Foa. Troveremo magari solo dei frammenti. Che vanno aiutati ad avere capacità coagulante. Si può fare con l’umiltà del passo dopo passo, che è la linfa e la premessa di ogni cambiamento vero. Solo così, ricollegandosi alla vita, la politica si rigenererà e  potranno nascere nuovi, veri leader.

Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche)

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