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25 luglio 1943. Cade il fascismo stremato ma la tragedia non è finita

a cura di in data 25 Dicembre 2023 – 12:58

Il Secolo XIX nazionale, 25 luglio 2023

Dopo tre anni di guerra, il fascismo era ormai stremato. Nel 1943 l’esercito tedesco era già sulla difensiva: prima la vittoria britannica a El Alamein (ottobre-novembre 1942) e la sconfitta a Stalingrado (fine gennaio 1943), poi la battaglia di Kursk a luglio, vinta dai sovietici, che segnò la nuova fase della guerra.
Per l’Italia, alleata della Germania, le cose andavano ancor peggio. La campagna di Russia fu una catastrofe. La testimonianza di Nuto Revelli è emblematica: “La colpa peggiore del fascismo non è di aver tradito noi che abbiamo gridato ‘viva la guerra, viva il duce’. E’ di aver tradito questi poveri cristi, a cui la guerra è caduta sulle spalle come un’epidemia”. Il 10 luglio 1943 gli angloamericani sbarcarono in Sicilia, suscitando entusiasmo. Andato al potere grazie alle premesse poste dalla guerra, proprio dalla guerra il fascismo veniva sgretolato.
Il cambio di orientamento dell’opinione pubblica fu progressivo ma netto. Anche a causa dei bombardamenti alleati nelle città: Genova era stata una delle prime ad essere colpita, nel novembre 1942, nell’aprile successivo La Spezia fu quasi completamente distrutta, il 19 luglio fu la volta di Roma, in modo terrificante. I morti furono 3 mila, il 21 luglio il re andò a visitare il quartiere San Lorenzo, la sua automobile fu presa a sassate da gente esasperata che gridava “E mandaci quell’altro!”. Influì anche la penuria alimentare: il razionamento aveva ridotto le calorie per persona come in nessun’altra nazione in guerra. La frattura del regime con il popolo era stata evidenziata dagli scioperi operai del marzo 1943: una protesta spontanea, per il pane, la pace e la libertà, che diventerà sempre più politica.
L’emergenza ormai totale portò alla crisi politica e al colpo di stato contro Benito Mussolini del 25 luglio, ordito dal re, dai militari e da buona parte dei gerarchi fascisti. Il regime cadde per loro iniziativa: le forze antifasciste erano ancora deboli e gli alleati non ordirono alcun piano.
La sera del 25 luglio gli italiani appresero dalla radio che il re aveva assunto il comando delle Forze armate e il maresciallo Pietro Badoglio il governo militare del Paese, ma ascoltarono anche la frase che tante speranze soffocava: “La guerra continua”. La soluzione del rovesciamento del fronte fu scartata dai congiurati a causa della mancanza di coraggio e della paralizzante paura dei tedeschi. Ma al momento prevalse nel popolo la gioia di essersi liberati dalla dittatura: non fu operata alcuna vendetta, ci si limitò a cancellare e scalpellare insegne e stemmi fascisti, e a reclamare la liberazione dei prigionieri politici.
L’assoluta mancanza di resistenza da parte dei fascisti dimostrò quanto il regime fosse disgregato. Anche le testimonianze dei tedeschi lo confermano. I nuovi governanti temevano i fascisti, ma ben presto si accorsero che nelle piazze era sceso invece, spontaneamente, un popolo che esprimeva fedeltà al re ma anche un’insofferenza più profonda.
Le manifestazioni popolari, soprattutto operaie, non piacquero ai nuovi dirigenti. Si instaurò una dittatura militare, e il 27 luglio il generale Mario Roatta emanò la circolare che porta il suo nome, che ordinava di sparare sulla folla per uccidere. Queste indicazioni provocarono decine di morti, quasi trecento feriti e oltre mille arresti. Già il 26 luglio a Savona, nel corso di una manifestazione che coinvolse operai, donne, perfino bambini, due giovani donne vennero uccise. Seguì, il 27, una grande manifestazione di protesta. Il 26 e il 27 gli operai invasero Genova – in tutto ci furono sei morti – poi la protesta rifluì nelle fabbriche, per allontanare i fascisti e nominare nuovi dirigenti sindacali. Alla Spezia si manifestò in tutti i centri, lo sciopero in città si tenne il 29: furono uccisi due giovani operai, tra cui una donna.
I partiti antifascisti – tutti in fase di riorganizzazione dopo gli anni della clandestinità e dell’esilio – ebbero in quei giorni un ruolo inizialmente marginale, poi crescente, teso a incanalare l’agitazione con gli obiettivi della liquidazione del fascismo, della pace e di un governo formato dai partiti democratici.
L’antifascismo nacque grazie al loro impegno – nel ventennio oltre 5.000 erano finiti in carcere, oltre 12.000 al confino – e si congiunse con il dissenso morale di tanti italiani dolorosamente maturato nel corso della guerra. Una nuova moralità era emersa già fin dall’inizio del conflitto. Ne è esempio la maestra trentina Clara Marchetto, residente a Genova, che nel 1940 copiò documenti sulla corazzata Littorio per poi portarli fuori confine. Ma fu scoperta e condannata all’ergastolo. Liberata dagli alleati, nel dopoguerra fu condannata dallo Stato italiano per rivelazioni di segreti di Stato. Una forte discontinuità tra fascismo e democrazia, quindi, non ci fu. E tuttavia si cominciò allora a scrivere una diversa e più avanzata pagina della storia italiana, sempre oggetto di discutibili quanto superficiali rivisitazioni. Anche l’ottantesimo del 25 luglio ci spinge a raccontare testardamente la storia e le storie delle donne e degli uomini che l’hanno scritta. Fragile e contraddittoria, è pur sempre la pagina più bella che abbiamo scritto. La cosa più bella che abbiamo avuto e che abbiamo.

Giorgio Pagano

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