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Nuove leadership per un nuovo sviluppo

a cura di in data 3 Maggio 2009 – 16:49

 

Il Secolo XIX3 maggio 2009

Al centro della festa del 1° maggio c’è stata lariflessionesu come si esce dalla crisi. “La situazione è molto grave -scrive l’economista francese Jean-Paul Fitoussi- perché si chiedono sforzi ai lavoratori e ci si accorge che negli ultimi trent’anni il salario medio si è abbassato”. “Abbiamo permesso -prosegue- che fossero rafforzate le discriminazioni economiche: la dottrina andava fino ad accettare che le disuguaglianze fossero considerate un fattore positivo di crescita e dinamismo economico”. Ma è proprio questo meccanismo che ha prodotto la crisi. E oggi non è neppure pensabile tornare a crescere senza un nuovo equilibrio sociale. Ciò vale più che mai in Italia, uno dei Paesi con gli indici di disuguaglianza più alti. Ridistribuire il reddito è dunque decisivo: per la civiltà della democrazia, che entra in crisi se l’ingiustizia sociale è troppo forte, e per far ripartire l’economia.

Per un New Deal c’è un altro aspetto decisivo: ridare un ruolo a sindacati forti e rappresentativi, senza i quali il lavoro continuerà ad essere mortificato. Anche in questo caso occorre una rottura rispetto alla dottrina imperante, che considera il sindacato un ferrovecchio inservibile nella società degli individui. In Italia il sindacato ha retto più che altrove, ma non è stato capace di rinnovarsi e di unificarsi, e quindi di riproporsi come soggetto della contrattazione nei luoghi di lavoro e come interprete di interessi generali. La sfida è quella di far prevalere il rinnovamento e l’unità, come negli anni tra i ’60 e i ’70, e come dopo la crisi di quell’unità verificatasi sul decreto sulla scala mobile.

Una sfida formidabile, che potrà essere vinta soltanto con un grande progetto. E che deve stare a cuore alle forze politiche riformiste, che ritroveranno slancio solo se rimetteranno al centro il lavoro: “il nostro punto di partenza”, come diceva Vittorio Foa.

E’ in questo contesto che leforze sindacali e politiche spezzine fanno i conti con la crisi che si manifesta acutamente anche da noi: 1500 posti di lavoro persi, tra mobilità e cassa integrazione. Servono coesione e condivisione, soprattutto se non si vuole solo sopravvivere ma progettare il futuro con una strategia. Dopo l’intesa tra sindacati e Confindustria sul “Patto per lo sviluppo”, nei giorni scorsi le istituzioni pubbliche e le forze socialihanno convenuto su un’ “Agenda dello sviluppo”. E’ il metodo giusto, che riprende lo “spirito” del Piano strategico: la strategia non si fa nel singolo Comune, ma nell’area vasta, quantomeno provinciale; e si fa facendo cooperare tutte le energie, nessuna esclusa.

Ora bisogna andare ancora avanti: la classe dirigente deve chiamare alla partecipazione tutta la città e coinvolgere nuove forze attorno ad un’impresa collettiva di lungo termine, per attuare i “vecchi” progetti ed esplorare strade inedite, come quella della green economy. Sappiamo che oggi i corpi politici e sociali fanno riferimento agli interessi organizzati, non ai segmenti più giovani, moderni e dinamici. Il rischio è che la politica si adatti trovando in questa situazione la giustificazione alla propria innata vocazione alla mediazione di piccolo cabotaggio. Ecco perché serve una leadership lungimirante, non autoreferenziale, che prepari il ricambio generazionale e sappia anche attrarre energie esterne. Ricordiamoci del collasso dell’industria della seta a Bologna nel Cinquecento, causata dallachiusura a uomini e idee provenienti dall’esterno.

lontanoevicino@gmail.com

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