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Presentazione di “Sebben che siamo donne. Resistenza al femminile in IV Zona Operativa, tra La Spezia e Lunigiana” di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello – Venerdì 16 Febbraio ore 17 a Massa

a cura di in data 9 Febbraio 2018 – 10:10
Invito

Invito

Presentazione di
Sebben che siamo donne. Resistenza al femminile in IV Zona Operativa, tra La Spezia e Lunigiana
di Giorgio Pagano
e
Maria Cristina Mirabello
Venerdì 17 Febbraio ore 17
Massa
Palazzo Ducale, Sala della Resistenza

Il libro di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello “Sebben che siamo donne. Resistenza al femminile in IV Zona Operativa, tra La Spezia e Lunigiana” (edizioni Cinque Terre) verrà presentato a Massa (Palazzo Ducale, Sala della Resistenza), venerdì 16 febbraio alle ore 17. Interverranno Dino Oliviero Bigini, presidente della Sezione Anpi di Massa, Elena Mosti, assessore al Comune di Massa, Massimo Michelucci, vicepresidente dell’Istituto Storico della Resistenza Apuana, Chiara Dogliotti, ricercatrice dell’Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea. Saranno presenti gli autori. L’iniziativa è organizzata dalla Sezione Anpi di Massa, dal Museo audiovisivo della Resistenza e dall’Istituto Storico della Resistenza Apuana, con il patrocinio del Comune e della Provincia di Massa.

L’intendimento del libro è quello di fornire un materiale organizzato, anche documentario, tramite il quale capire con la ragione e percepire sentimentalmente il fenomeno della Resistenza al femminile: moltissime donne, nate e cresciute sotto il fascismo, mai prima protagoniste, compirono dopo il 25 luglio e l’8 settembre 1943 scelte morali pesanti e drammatiche. Parteciparono agli scioperi operai, organizzarono proteste, diventarono staffette o partigiane in armi. Nelle campagne e nelle montagne si sviluppò la Resistenza civile delle donne, che furono curatrici e sostenitrici: senza il loro aiuto, variamente declinato fra silenzio, protezione, assistenza, il movimento partigiano non avrebbe potuto superare le traversie del durissimo inverno 1944-45.

Senza la pretesa di esaurire l’argomento “Donne e IV Zona Operativa”, il libro sicuramente costituisce una novità e un punto fermo: il nuovo sta nell’articolazione dei contenuti, nell’apparato di note, nell’ agevole accesso al materiale anche grazie all’indice analitico, nelle indicazioni bibliografiche, nell’ampia documentazione fotografica; il punto fermo è dato dal fatto che sono state raccolte- e oltre l’attuale fase storica sarebbe stato davvero impossibile- le ultime testimonianze delle protagoniste e/o di chi a stretto contatto con esse ha vissuto: 32 sono i ritratti delle donne partigiane, e un intero capitolo è dedicato alle donne delle campagne e delle montagne.

“In un certo senso -scrivono Pagano e Mirabello- si è trattato di fare una corsa contro il tempo, per ‘fissare’ criticamente ma non freddamente un ‘altro’ tempo, senza il quale e senza l’affiorare in esso del protagonismo femminile non ci sarebbero state la Repubblica e la Costituzione. E’ un ‘altro’ tempo che ci parla ancora. Nella vita delle donne protagoniste del libro si intravede l’apertura di una breccia, il principio di un percorso di partecipazione: per tante di loro quei giorni furono ‘vissuti veramente da me’… Oggi che il percorso di emancipazione delle donne, così come il più generale percorso di emancipazione sociale, incontra grandi difficoltà, la concezione della Resistenza civile resta un potente strumento di trasformazione culturale: perché insegna che tutti e tutte, e quindi anche i più deboli, e in ogni occasione, possono fare qualcosa”.


Il libro di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello “Sebben che siamo donne. Resistenza al femminile in IV Zona Operativa, tra La Spezia e Lunigiana” (edizioni Cinque Terre) è stato presentato, dopo La Spezia e Lerici, a Massa. L’iniziativa, organizzata dalla Sezione Anpi di Massa, dal Museo audiovisivo della Resistenza e dall’Istituto Storico della Resistenza Apuana, con il patrocinio del Comune e della Provincia di Massa, è stata introdotta dal Presidente dell’Anpi di Massa Oliviero Bigini, che ha definito “Sebben che siamo donne” un “libro importante”, perché “fa capire il ruolo decisivo delle donne nella Resistenza e anche quanto abbiamo sbagliato a non ricordarlo in tutti questi anni”. Bigini ha sottolineato poi il contributo delle donne alla Costituzione, in particolare sui principi chiave della parità e dell’eguaglianza. Elena Mosti, assessore al Comune di Massa, ha parlato di “pagine emozionanti”. Nonostante terrore e paura, ha detto, “trapela la felicità delle donne”: perché “sono stati giorni vissuti direttamente da me”, come dice una partigiana. La Mosti si è poi soffermata sul ruolo delle donne contadine, insostituibili nella loro opera di sostegno, e sulla complessità della condizione delle donne dentro le formazioni partigiane: “c’erano le difficoltà di inserimento ma anche tanti esempi di parità”.
Massimo Michelucci, vicepresidente dell’ISRA, ha definito il libro “avvincente” e si è soffermato su molte delle donne protagoniste del libro: da Bianca Paganini, “resistente” nel campo di concentramento di Ravensbruck, a Laura Seghettini, che “sceglie” Facio come compagno e non è scelta (esempio di anticonformismo) e definisce il comunismo “una società corretta nei confronti di quelli che hanno bisogno”, spiegando con pochissime parole il senso delle battaglie di tutta la sua vita; da Vanda Bianchi, che spiega, anche lei con grande semplicità, la Resistenza: “noi eravamo puliti… quelli che ne hanno approfittato non erano partigiani”, ad Angela Gotelli, dirigente di primo piano dell’associazionismo cattolico che non esita a mettere a disposizione le sue due case per dare ricovero ai partigiani, fino a Carmen Bisighin, retrocessa da commissaria politica a magazziniera in quanto donna, partigiana con le armi, che fu ferita ma non sparò mai, e sfilò il 25 aprile con un fazzoletto di pizzo al posto della pistola. Furono “partigiane volontarie”, ha proseguito Michelucci, non costrette alla clandestinità come gli uomini che, essendo chiamati alla leva di Salò, dovevano necessariamente compiere una scelta. Soffrirono anche molto: come esempi ha citato Maria Spezia di Calice, “che ebbe il padre fucilato, la madre in carcere e il fratello caduto in combattimento”, e Irlanda Poletti di Isola di Ortonovo, a cui le Brigate Nere uccisero suo marito, suo fratello e suo padre, e che “abortì per il dolore e per lo spavento”. Citando la Prefazione di Lidia Menapace, Michelucci ha parlato di una “Resistenza non monoteistica, ma del molteplice e del diverso”, mai compresa da una storiografia maschilista.
Chiara Dogliotti, ricercatrice dell’Ilsrec, ha parlato di un “libro molto ricco, di storia sociale e di storia di genere”. Mentre le donne senza armi, della Resistenza civile e sociale, hanno un “ruolo materno, tradizionale”, “la situazione si complica con le donne con le armi: bisogna eliminare la femminilità tradizionale, costruire un’identità ex novo”. Emblematica, secondo Dogliotti, la testimonianza di Vera Del Bene, “che non ricorda di avere avuto le mestruazioni e racconta di avere usato le armi ma che la violenza le ha poi tolto il sorriso nella vita”. Infine alla questione se la Resistenza fu un punto di rottura o no dal punto di vista dell’emancipazione della donna, Dogliotti ha risposto così: “ci fu rottura, perché molte donne uscirono dalle mura domestiche, ma anche continuità, perché tante di esse rifluirono poi in un privato di subalternità all’uomo”.
Infine la parola agli autori. Per Giorgio Pagano le donne contadine ebbero un ruolo materno e tradizionale, ma “essere madri era l’unico modo concesso a quelle donne di mostrarsi più forti dell’uomo”. Non a caso i partigiani, nel dopoguerra, tornarono ogni anno da loro in montagna chiamandole sempre “Mamma” e riconoscendo il loro ruolo insostituibile. Ai monti, ha aggiunto, la situazione fu davvero complessa: “ci fu il maschilismo, ma anche barlumi di un nuovo rapporto tra uomo e donna, di vita comunitaria”, mentre il rapporto delle donne con le armi fu controverso: “ci fu chi si esaltò per aver raggiunto la parità con l’uomo, chi non sparò per il disagio, e chi lo fece ma ne portò i segni per tutta la vita”. Per Maria Cristina Mirabello, oltre alle donne contadine e alle partigiane con le armi, occorre riflettere sull’ importanza delle staffette, “che ebbero una funzione non di secondo piano ma di tessuto connettivo della lotta clandestina, e che costituiscono in un certo senso, dal punto di vista della funzione svolta e di come essa era recepita da parte del genere maschile, una specie di ruolo che sta a metà tra quello delle contadine, la cui fisionomia è più tradizionale in quanto legata alla protezione e accudimento, e quello, più di rottura, delle partigiane che vanno ai monti e si inquadrano nelle varie formazioni”. Circa il rapporto di genere con gli uomini, Mirabello ha evidenziato che in alcune testimonianze di donne della Resistenza “le difficoltà nel rapporto con gli uomini sembrano diffuse, ma assai minori nel caso dei dirigenti politici di primo piano, più accorti e sensibili verso l’apporto femminile”.

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