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Crisi climatica e nuove politiche energetiche

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Il clima, la scienza e la politica

a cura di in data 6 Gennaio 2024 – 10:48

Antessio, chiesa di San Lorenzo, statua della Madonna col bambino (2020), mostra fotografica di Giorgio Pagano “Arte, storia e natura nelle terre del Gottero”, Sesta Godano, Aia della corte, 27 luglio-6 agosto 2023

Città della Spezia, 6 agosto 2023

CRISI, PIUTTOSTO CHE CAMBIAMENTO
Dal caldo torrido ai chicchi di grandine grossi come pesche, sono i fatti a dirci la verità sulla crisi climatica. L’Associazione Culturale Mediterraneo, nata nel 2008, titolò così uno dei suoi filoni di attività: “Crisi climatica e nuove politiche energetiche”. “Cambiamento climatico” quasi suona bene, ma è meglio chiamare le cose con il loro nome. Oggi proporrei “catastrofe climatica”. Comunque: usiamo pure questo o quel termine, ma quello che ci sta capitando è sotto gli occhi di tutti. Basta riflettere un poco e capiamo quanto sia alto il costo dell’inazione e quanto sia vicino il punto di non ritorno.
L’IPCC, il più importante organismo internazionale per la valutazione del fenomeno climatico, nel suo recente sesto Rapporto è molto chiaro. Ribadisce che la crisi sta colpendo tutto il mondo, e che alcune attività umane sono la principale causa dell’aumento della temperatura media del pianeta. Si tratta delle attività legate all’uso di combustibili fossili (combustioni di carbone, petrolio e gas), all’abbattimento di foreste, all’allevamento di bestiame, che contribuiscono all’emissione di grandi quantità di “gas a effetto serra” nell’atmosfera.
L’Italia, come tutti i Paesi del Mediterraneo, è identificata come un’area in cui la crisi è molto visibile, in cui cresceranno ondate di calore, incendi, desertificazione, precipitazioni estreme, innalzamento del livello dei mari. Popolazioni, ecosistemi e attività come l’agricoltura e il turismo sono sempre più a rischio. Le zone costiere sono le più vulnerabili.
Le popolazioni più povere sono le più colpite. Così i Paesi del mondo più poveri. La crisi climatica accentua dunque le diseguaglianze sociali ed economiche. E’ un fenomeno che va oltre la questione ambientale e si intreccia con la questione sociale, come ha colto papa Francesco, che non smette di indicare agli uomini la via della “giustizia sociale e ambientale”.
La questione sociale riguarda anche il prezzo da pagare per evitare il disastro e per l’obbligata “transizione ecologica”. Questo prezzo non lo devono pagare i cittadini comuni con le bollette, o i migranti che scappano per desertificazioni e inondazioni, ma le grandi compagnie del fossile, che in questi anni hanno lucrato enormi profitti, mentre noi arrancavamo a pagare le bollette e i migranti morivano in mare.

LE RINNOVABILI FANNO BENE ALL’AMBIENTE, ALL’ECONOMIA E ALLA DEMOCRAZIA
La via maestra per la “transizione” è il passaggio alle fonti rinnovabili. Eolico e fotovoltaico producono da 100 a 200 volte meno CO2 di carbone, petrolio e gas, inquinano meno e fanno bene anche all’economia. Le fonti rinnovabili, infatti, non ci espongono all’inflazione: la nostra storia recente ha sempre visto l’ondata inflattiva come effetto dell’esplosione dei prezzi delle fonti fossili. Inoltre le rinnovabili creano lavoro: in Italia l’impatto occupazionale previsto al 2030 è di circa 1,5 milioni di posti di lavoro, una cifra superiore ai posti di lavoro persi nel settore fossile. Noi italiani ed europei dobbiamo sbrigarci: Stati Uniti e Cina sono già molto avanti, rischiamo di perdere anche la partita industriale.
Le rinnovabili, infine, fanno bene alla democrazia, perché spingono alla condivisione, alla collaborazione, al senso di comunità, alla partecipazione attiva del cittadino non solo in quanto singolo ma anche in quanto membro di una comunità, quella energetica – di condominio, di quartiere, di paese – in particolare.

IL GOVERNO NON VUOLE RIDURRE LA CO2 MA SOTTERRARLA
Eppure la nuova versione del Pniec (Piano nazionale integrato energia e clima) varata dal governo Meloni non cambia rotta, anzi. E’ vero: fissa obiettivi di crescita per le rinnovabili, ma sono persino al di sotto di quello che gli operatori economici sono in grado di fare. E alla fine continua a puntare sul gas. Siamo il Paese che ha autorizzato in sei mesi i rigassificatori galleggianti di Piombino e Ravenna e che mediamente impiega sei anni per dare il via libera a un parco eolico!
Il governo spinge sul gas e non prevede alcuna seria misura per l’abbattimento della quota di CO2 emessa in atmosfera. Minima è la riduzione delle emissioni prevista per l’industria non energetica, perché non è presa in considerazione la messa in atto dell’economia circolare, secondo la quale i prodotti devono essere progettati e realizzati in modo da avere il minimo di emissioni incorporate, essere durevoli, riparabili, riusabili, rigenerabili e, infine, riciclabili. Il Pniec interpreta invece l’economia circolare come semplice riciclo, e a questo fa riferimento, mentre la messa in atto della “vera” economia circolare implica una riduzione della produzione a favore della manutenzione, e se si produce meno, si emette meno CO2, e senza danno alle attività economiche e all’occupazione. Il vecchio imperativo della produttività continua a regnare, e non viene sostituito con quello nuovo della circolarità.
Il governo spinge sul gas perché non vuole contrastare l’economia produttivistica e consumistica e, in particolare, le grandi compagnie del fossile, Eni in primis.
Lo dimostra il fatto che nel Pniec gli obiettivi di decarbonizzazione richiesti dall’Europa si raggiungono grazie a un corposo contributo della tecnica della cattura e stoccaggio sottoterra della CO2 (CCS, Carbon Capture and Storage). Cioè, invece di non emetterla utilizzando fonti rinnovabili, si continua in parte a bruciare combustibile fossile e la CO2 prodotta si sotterra, e così non va in atmosfera.
La comunità scientifica ha forti perplessità in merito alla sicurezza e alla affidabilità di questa soluzione tecnologica, che è anche intrinsecamente insostenibile, in quanto centrata sul principio estrai-produci-usa-getta che è la causa prima della crisi ambientale. E poi ci sono i costi, molto elevati, che non si ripagano se non ci sono contributi pubblici. Il sociologo Federico Butera lo spiega molto bene:
“Le compagnie Oil&Gas spingono molto questa tecnologia perché se si afferma possono continuare a estrarre, vendere e fare usare il loro prodotto, e in più fare pagare anche il sotterramento del rifiuto che ne deriva, la CO2. Infatti sono loro stesse ad avere la capacità tecnologica di estrarre la CO2 dai fumi di combustione, liquefarla e pomparla sottoterra. Doppio guadagno, e addio transizione alle fonti rinnovabili. Anzi triplo, o quadruplo guadagno, perché se – come intendono fare – la CO2 si pompa in un giacimento di idrocarburi esausto, si spreme tutto quel petrolio o gas che è ancora rimasto e che non viene fuori da solo, e questo ‘succo’ si vende. Si vende e naturalmente poi si usa, producendo quindi altra CO2 e vanificando in parte il precedente sotterramento. Ma la convenienza non sta solo in questo.

Chiusola, il torrente Gottero (2023), mostra fotografica di Giorgio Pagano “Arte, storia e natura nelle terre del Gottero”, Sesta Godano, Aia della corte, 27 luglio-6 agosto 2023

I posti in cui la CO2 oggi si può sotterrare non sono dappertutto. Quindi bisogna estrarre la CO2 nel luogo di produzione, convogliarla in apposite tubazioni, che vanno costruite, e inoltre, se il cimitero (il luogo di sotterramento) è oltremare, usare apposite navi. Un business fantastico, tanta roba da costruire che costa tantissimo, con l’obiettivo di fare pagare la collettività. Si sapeva già dell’intenzione dell’Eni di usare i giacimenti esausti dell’Adriatico per pomparci dentro CO2, si legge nel suo piano strategico, ma il Pniec delinea un progetto di ben più ampia dimensione. Disvela un piano volto a fare dell’Italia non solo un hub per il metano, estratto in Africa e nel Medio Oriente per trasferirlo ai vari Paesi europei (così come annunciato dal governo), ma anche hub per la CO2. Si parla di flussi di CO2 provenienti da altri Paesi dell’area mediterranea, nell’ambito del progetto Callisto che, testualmente: «coinvolge l’Italia lungo l’intera filiera CCS, fornendo un impegno significativo per lo sviluppo delle infrastrutture per la cattura, il trasporto e lo stoccaggio della CO2 in Italia. In questo progetto, l’Italia è il Paese destinatario delle emissioni di CO2 di altri Paesi, diventando il perno della filiera attraverso il suo sito di stoccaggio geologico nel Mare Adriatico». Proprio una bella idea: Italia pattumiera della CO2 mediterranea. Insomma, non solo dovremmo rinforzare la rete di trasporto del gas come hub europeo contando sul fallimento del Green deal europeo (anzi provocandolo), ma dovremmo anche costruire una nuova rete, per il trasporto della CO2. Il tutto contro l’obiettivo di finirla col fossile, per sempre”.
Non a caso il governo ha confermato i vertici di Eni, ma non quelli di Enel. L’ex amministratore delegato di Enel Francesco Starace aveva detto, a proposito della CCS: “Quante volte dobbiamo riprovare una cosa che non ha funzionato?”.
Si continua con una visione vecchia, che appartiene al passato. Ci vorrebbe un’Italia che guidasse un patto per salvare il Mediterraneo e si ponesse all’avanguardia nel mondo per costruire un futuro sostenibile per le prossime generazioni. Continuare così è da folli.

Le fotografie di oggi sono esposte nella mostra “Arte, storia e natura nelle terre del Gottero”, allestita a Sesta Godano, nell’Aia della corte (27 luglio-6 agosto 2023). La mostra sarà poi allestita a Varese Ligure, nel Castello dei Fieschi, dal 12 agosto (inaugurazione ore 18) al 26 agosto 2023. La foto in alto è della statua della Madonna col bambino nella chiesa di San Lorenzo ad Antessio. La foto in basso è del torrente Gottero, a Chiusola.

lucidellacitta2011@gmail.com

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