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Montemurlo, 11 settembre 1943: la prima strage nazista in provincia

a cura di in data 3 Gennaio 2024 – 22:47

Giovanni Pelosini
(foto archivio famiglia Pelosini)

Ameglia Informa, 1° agosto 2023

A ottant’anni dalla lotta di liberazione dal nazifascismo (1943-1945) anche Ameglia deve ricordare. Raccontare le storie di chi ha combattuto per la libertà è un omaggio doveroso e può solo farci bene, perché ci porta a riflettere su quanto sia importante per noi italiani questa pagina di storia. La Resistenza fu un’esperienza difficile, fragile, romantica, coraggiosa. Ma nonostante tutto è lì, e riemerge come un appiglio. Ci ha dato la Costituzione, che ha fondato la nostra democrazia e le ha consentito in tutti questi anni di reagire a crisi profondissime. La Resistenza è la cosa migliore che abbiamo avuto, e che abbiamo.
Ameglia ha dato un contributo di rilievo: molti furono i partigiani amegliesi – anche considerando i tellaresi, perché Tellaro faceva allora parte del Comune di Ameglia – e non pochi i caduti. L’Atlante delle stragi nazifasciste comprende tre stragi avvenute nel territorio amegliese: quella di Punta Bianca del 26 marzo 1944, la più rilevante avvenuta in provincia, in cui furono uccisi quindici soldati americani; quella del 26 ottobre 1944 in via Crociata, quando furono uccisi per rappresaglia – dopo un’imboscata ad Ameglia a due militi delle Brigate Nere spezzine – quattro persone, tra cui un membro delle SAP (Squadre di azione patriottica, composte da partigiani operanti nelle città e nei paesi, non in montagna) e due, forse tre renitenti alla leva; e, prima ancora, quella di Montemurlo, avvenuta l’11 settembre 1943, di cui scriverò in questo articolo, dedicato agli inizi della lotta di liberazione.
La guerra fu decisiva nel crollo del fascismo. Le sconfitte di Germania e Italia ad opera dei sovietici e degli angloamericani tra fine 1942 e inizio 1943 comportarono un cambio netto nell’opinione pubblica, che sempre più desiderava la pace e si allontanava dal fascismo. La crisi militare accelerò la crisi politica. Le forze antifasciste erano ancora deboli: l’iniziativa per destituire Benito Mussolini fu presa dal re, dall’esercito e dalla maggioranza dei gerarchi fascisti. Il popolo gioì scendendo in strada e scalpellando i simboli del fascismo. Il nuovo governo, presieduto dal maresciallo Pietro Badoglio, fu una dittatura militare. Durò 45 giorni, e si schierò ancora al fianco dei tedeschi, fino al baratro dell’8 settembre: l’armistizio tardivo, preceduto dalla vigliaccheria e dall’incapacità di accettare la mano tesa degli alleati che l’armistizio lo proponevano da tempo; la fuga del re e dei militari nel Sud già liberato e i soldati e i cittadini abbandonati da ogni autorità; l’occupazione tedesca del Nord del paese, non contrastata dall’esercito, la liberazione di Mussolini e la costituzione della Repubblica fantoccio di Salò. La nostra classe dirigente si rifiutò di incamminare il paese sulla strada della democrazia, con esiti tragici.


Lettera dei carabinieri al capo della provincia, 26 novembre 1943 (ASSP, Prefettura Gabinetto, Occupazione germanica: industrie, b. 165)

Il paese si risollevò con la Resistenza, che all’inizio fu un moto morale, esistenziale, solo in seguito politico in senso stretto. Già subito dopo l’8 settembre ci furono soldati che resistevano nonostante l’abbandono dei vertici, vecchi antifascisti che ritornavano dal carcere o dall’esilio e riunivano i partiti, popolani che raccoglievano armi abbandonate, ancora senza un fine preciso. Tra questi c’era Giovanni Pelosini, ventenne di Tellaro, che recuperò nell’amegliese, in località Montemurlo, insieme ad alcuni amici, armi abbandonate dai reparti alpini della divisione Alpi Graie sbandatasi nella zona. Sorpreso dai tedeschi, Pelosini tentò la fuga ma venne gravemente ferito da colpi di armi da fuoco. Morì all’ospedale di Sarzana. Fu uno dei primi caduti della Resistenza spezzina. Una targa lo ricorda nella sua Tellaro.
In quei mesi gli occupanti tedeschi si dedicarono al rafforzamento della difesa della costa nel tratto tra Montemarcello e Lerici, in particolare a Punta Bianca, dove già esisteva una batteria. Ameglia cominciò a trasformarsi: i tedeschi erano di casa, così i lavoratori impegnati nelle opere militari dalla tedesca Todt.
Il comandante dei carabinieri spezzini così scriveva al prefetto e capo della provincia, il fascista Franz Turchi, il 26 novembre 1943:
“il 21 corrente mese sono giunti in frazione Bocca di Magra, dove hanno preso alloggio nei baraccamenti della disciolta marina, nr. 230 operai italiani, provenienti dal Veneto e dalla Lombardia, ingaggiati dall’organizzazione Todt per lavori di fortificazione che verranno testé iniziati nelle frazioni di Bocca di Magra e di Montemarcello nel Comune di Ameglia, e sul tratto costiero prospiciente il mare da Montemarcello a Lerici. E’ annunciato prossimamente l’arrivo di un altro scaglione di 100 operai ”.
Il comando tedesco aveva occupato Villa Angelo, un km. nord est da Montemarcello. Già il 7 dicembre 1943 il comando tedesco scriveva al prefetto una lettera in cui affermava: “è stato commesso un atto di sabotaggio. Sono stati infatti tagliati 25 metri di filo interrompendo così le comunicazioni telefoniche.” E pregava che “vengano comandati tre uomini di guardia a turno (giorno e notte)”. Nel caso avvenissero altri atti di sabotaggio, aggiungeva, alla guardia preposta “verrà applicata la pena di morte” . A dimostrazione della totale sudditanza fascista, Turchi ordinò il giorno dopo quanto richiesto al Podestà di Ameglia e ai carabinieri, copiando ogni parola tedesca. Poi, il 13 dicembre, Turchi tranquillizzò il comando tedesco.
Il rapporto tormentato e tragico tra gli amegliesi e i nazifascisti, cominciato con la strage dell’11 settembre 1943, continuò e non ebbe mai sosta, fino al 25 aprile 1945.

Giorgio Pagano

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