Presentazione alla Spezia di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Venerdì 5 aprile ore 17 alla Biblioteca Civica Arzelà di Ponzano Magra
28 Marzo 2024 – 08:58

Presentazione alla Spezia di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiVenerdì 5 aprile ore 17Biblioteca Civica Arzelà – PONZANO MAGRA
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I ricchi e carini e la solitudine degli ultimi

a cura di in data 3 Gennaio 2013 – 11:47

Norvegia, l’Opera House di Oslo (2010) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia – 30 Dicembre 2012 – Come sarà il 2013? Nonostante ci sia chi tenta di nasconderlo, la realtà sociale del nostro Paese è drammatica. L’Italia sta precipitando sempre più in basso: crolla la produzione industriale, vola la disoccupazione, le previsioni della Banca d’Italia e del Fondo Monetario Internazionale sono molto preoccupanti. Centinaia di migliaia di contratti precari scadranno il 31 dicembre: molte aziende non li rinnoveranno, altre utilizzeranno tipologie ancora peggiori, come partite Iva, prestazioni occasionali, voucher. Sei milioni di pensionati, quelli con pensioni superiori ai 1200 euro al mese, perderanno 1135 euro nel biennio, per decisione del Governo Monti. Infatti nei twitter del premier non c’è scritto “abbattiamo il precariato” o “difendiamo le pensioni”. Basterebbe guardare al di là del naso liberista, ma per Monti è un’impresa impossibile.

Norvegia, isole Lofoten (2010) (foto Giorgio Pagano)

L’anno che verrà inizierà con quello che è già sotto i nostri occhi da tempo, e che prenderà sempre più forma visibile: l’attacco delle oligarchie del denaro e della rendita contro la politica, e la loro rivendicazione del potere. Come spiegava Antonio Gramsci, è ciò che avviene sempre nelle crisi. Avvenne anche vent’anni fa, con la presa del potere di Berlusconi. Anche allora arrivò l’”uomo del fare” contro la “politica politicante”. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: avvento dei partiti personali e di un ceto “politico” improvvisato e privo di ogni cultura politica, liberismo estremista e riduzione dello spazio pubblico e della statualità. Si pensi a come le privatizzazioni e il ritiro della mano pubblica dagli investimenti produttivi hanno distrutto l’industria pubblica e la grande industria in genere. Oltre alla decostruzione della macchina statale e del welfare, grazie ai miti antifiscali e all’ostilità verso ogni presenza pubblica.
Oggi le oligarchie si presentano con un volto molto diverso, assai più presentabile: quello di Mario Monti. Il premier va al vertice del Partito Popolare Europeo (il polo conservatore) e apre la campagna elettorale con Sergio Marchionne a Melfi, senza nemmeno ricordare al manager in maglioncino che le sentenze del Tribunale che garantiscono i diritti degli operai vanno rispettate. Si svela così l’ipocrisia di un’agenda politica in cui il concetto di tecnico era solo il travestimento retorico di un progetto conservatore. Scendono in campo -Luca Cordero di Montezemolo in testa- i ricchi e carini, cioè un pezzo importante dell’establishment italiano che vuole provare a conservare i propri privilegi e rendite di posizione. Escogitata come una tregua per consentire ai partiti di riorganizzarsi e di diventare partiti “veri”, l’esperienza del Governo Monti perde la presunta verginità “super partes” e termina con la nascita di un altro partito o cartello personale che rivendica la proroga del potere. Il protagonismo delle oligarchie svuota di fatto lo stesso centro politico, che da autonoma dimensione politica viene trasformato in cartello di potenze economiche e finanziarie. Che però, come ogni centro in un sistema tripolare, rischia -dato che non vincerà le elezioni ma potrebbe, con questa legge elettorale, essere determinante al Senato- di ricattare e minacciare gli altri due poli per decidere con chi stare. Monti come Ghino di Tacco? Potrebbe, tristemente, finire così. Certo è che uno che scende in campo alle elezioni per diventare premier non può poi rivestire il ruolo di Presidente della Repubblica, cioè di rappresentante dell’unità del Paese.
Detto questo, è vero che Monti non è Berlusconi: perché non è un populista antieuropeo ma un europeista. Tuttavia non c’è un solo europeismo. Monti idoleggia da anni l’unanimità o quasi sulle sue idee liberiste, espellendo -con l’arroganza di chi pensa che non possano esserci ricette europeiste diverse dalle sue- Vendola e la Cgil. Non a caso teorizza che destra e sinistra non esistono più. Avversa, cioè, l’idea stessa che è a fondamento della democrazia: il pacifico conflitto tra idee alternative. Ma le idee alternative esistono anche riguardo all’europeismo. C’è un europeismo liberista e c’è quello progressista, delle forze socialiste ed ecologiste. L’europeismo liberista domina in Europa da un lungo periodo. Pretende la svalutazione del lavoro per recuperare competitività: così si spiegano l’attacco all’articolo 18 e ai diritti dei lavoratori e il welfare sempre più svuotato. E aggrava la recessione, la disoccupazione e le iniquità, aumentando in questo modo il debito pubblico. L’europeismo progressista si regge su un cardine radicalmente diverso: che la diseguaglianza sia anche un fattore di arretratezza economica. Perché con la compressione della domanda non può esserci ripresa possibile. L’esperienza ha dimostrato che il mercato lasciato a se stesso ha prodotto squilibri e diseguaglianze che hanno inceppato lo stesso meccanismo dello sviluppo. L’europeismo progressista sostiene che la ricostruzione dell’Italia e la ricostruzione dell’Europa siano un unico programma fondamentale. E che il futuro dell’Italia e dell’Europa è il futuro del lavoro. Perché il lavoro, nella grande transizione in corso, può essere soggetto generale, non sommatoria di interessi parziali e corporativi. Insomma, l’europeismo progressista sostiene la necessità di voltare pagina: ridimensionare il potere della finanza, restituire dignità e centralità al lavoro e alla cultura, promuovere lo sviluppo sostenibile. Come ha scritto Barbara Spinelli su Repubblica, “quel che il premier non sa, è che Vendola impersona la questione sociale che fa ritorno in Occidente, assieme alla questione dei diritti e di un’altra Europa… quel che pare ignorare, è che pernicioso non è Vendola, è il malessere che egli denuncia… della sua voce abbiamo massimo bisogno”. Aggiungo che abbiamo bisogno anche della voce della dottrina sociale cristiana, e che colpisce il solenne appoggio del Vaticano a Monti e a un’agenda così dimentica di questa dottrina.
E’ tempo, insomma, di ridefinire le ragioni del riformismo in rapporto a un’analisi nuova della “questione sociale”. Per tornare a rappresentare i ceti popolari e combattere la solitudine degli ultimi. E’ con questo assillo in testa che è tornata in campo la sinistra, e un centrosinistra che ha “virato” a sinistra. La differenza con le elezioni politiche del 2008 è enorme. Non c’è più il Pd di Veltroni, liberista e oligarchico, con l’imprenditore “falco” Calearo in lista, e con candidati scelti nelle segrete stanze. Io, lo confesso, non ce la feci proprio a votarlo. Oggi c’è l’alleanza Pd-Sel, con un programma coerente con l’europeismo progressista; mentre le liste, pur tra limiti, le stanno decidendo, proprio in queste ore, i cittadini elettori nelle primarie. Vent’anni fa Berlusconi vinse per la fragilità delle culture politiche e dei partiti protagonisti della Seconda Repubblica. Oggi le oligarchie possono essere sconfitte, perché il centrosinistra sta cercando di elaborare un progetto di società e di ricomporre la frattura tra politica e cittadini. Perché è un’alleanza che non si presenta come ceto che rivendica semplicemente di tornare alla gestione del potere, in una veste irrimediabilmente perdente e subalterna, ma come forza con una visione del futuro, che risponde all’incertezza sociale e riaccende la speranza.

lucidellacitta2011@gmail.com

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