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Immigrazione, l’unica prospettiva è la reale inclusione

a cura di in data 13 Luglio 2016 – 08:02

La Gazzetta della Spezia, 6 luglio 2016 – L’intervista di don Luca Palei alla Gazzetta della Spezia ha il merito di raccontare il dramma dell’immigrazione e di suggerire le strade per affrontarlo. “Queste persone -spiega il Direttore della Caritas spezzina- percorrono per sette giorni il deserto, arrivano in Libia dove subiscono violenze fisiche e attraversano il mare rischiando di morire”. Quelli ospitati a Spezia sono, infatti, i profughi e i migranti sub-sahariani. I loro volti ricordano le foto d’archivio della Seconda guerra mondiale: sono i volti di sopravvissuti a un genocidio nella Libia senza Stato. Raccontano tutti di essere stati aggrediti, picchiati giorno e notte, nei campi di detenzione, nelle carceri libiche o nei campi prima della partenza, perché neri. I segni sui corpi non mentono.

Questo flusso non si fermerà, perché non può essere fermato. Ricacciare indietro queste persone è un progetto criminale che non ha alcuna possibilità di essere realizzato: non esistono politiche di respingimento praticabili difronte a una pressione di queste dimensioni. Respingere è così popolare perché è semplice dirlo e sembra facile farlo, ma in realtà tutte le soluzioni proposte sono impraticabili.E avrebbero l’unico risultato di provocare altredecine e decine di migliaia di morti e violenze senza fine. Certo, è un progetto che ha l’effetto di promuovere ferocia e di mobilitare consenso intorno ai suoi sostenitori. Può solo portare, però, all’accettazione di uno stato di guerra “infinita”, cioè che non avrà mai fine, e in tutto il mondo, come la voleva George Bush. E alla dis-integrazione dell’Europa.

Eppure abbiamo bisogno di quei profughi e di quei migranti. Da qui al 2050 l’Europa, senza immigrazione, avrà perso circa 100 milioni di abitanti, un quinto della sua popolazione attuale, al ritmo di tre milioni l’anno. Ma i 400 milioni restanti saranno sempre più vecchi e le persone in età lavorativa saranno sempre meno. Il che vuol dire un peso insopportabile su chi lavora e una drammatica stagnazione economica. Per colmare quel vuoto demografico l’Europa dovrebbe accogliere, da qui al 2050, tre milioni di immigrati l’anno: il triplo dei profughi che sono arrivati nel 2015. “Potrebbe anzi assorbirne il doppio-spiega don Virginio Colmegna, presidente della Fondazione Casa della carità di Milano- senza subire alcun tracollo; ma cambiando ovviamente in modo radicale sia le sue politiche economiche che quelle sociali”.

L’unica alternativa realistica e saggia alla deriva esistente e al “futuro molto complicato” di cui parla don Palei è un impegno generale di accoglienza e di inclusione che non discrimini tra profughi, migranti e cittadini europei in difficoltà: non si possono fare netti distinguo tra chi fugge da persecuzioni e guerre e chi da fame e povertà, o da catastrofi climatiche; così come nessuno deve poter pensare che a chi viene da lontano vengono dedicate più risorse e più attenzioni a chi è sempre stato qui o è qui da tempo. E viceversa. Serve un piano che metta in grado di accedere a una nuova cittadinanza, garantendo a tutti casa, lavoro, reddito, istruzione, protezione sanitaria e sicurezza. E’ impossibile? Niente affatto: le risorse ci sono, basta uscire dagli schemi dell’austerity neoliberista.

Bisogna, dunque, intendersi su che cosa significa accogliere: non vuol dire solo aprire le porte a chi cerca la propria salvezza nei nostri Paesi, offrire loro tetto e cibo, e poi costringerli per anni a un ozio forzato mantenuti dallo Stato, per infine abbandonarli alla clandestinità: cioè quello che tanto fa arrabbiare, e giustamente, chi accanto a loro fatica ogni giorno a sbarcare il lunario. Accogliere vuol dire anche includere, inserire i nuovi arrivati in una rete di rapporti sociali che li metta in condizione di rendersi autonomi, di lavorare, di andare a scuola, di imparare ma anche di trasmettere e divulgare la loro cultura; e di organizzarsi per contribuire a creare le condizioni di un ritorno per chi lo desidera, e sono molti!, nel Paese da cui sono dovuti fuggire.

Sembra difficile, ma è possibile. Dobbiamo cominciare a tradurre in pratica questa visione alternativa, con progetti concreti in ogni luogo. La Caritas spezzina, per quel che le compete, lo sta già facendo: ma ha bisogno di inserire il suo impegno nel contesto di una “nuova linea politica” nazionale ed europea, come dice don Palei.Un altro esempio in un campo diverso: l’Associazione Culturale Mediterraneo sta lavorando a un progetto di cooperazione internazionale che supporti alcuni immigrati spezzini a tornare, con un lavoro, nel loro Paese di origine. Sono appena rientrato da un anno passato in buona parte in Africa a seguire un progetto di cooperazione internazionaleper “aiutarli a casa loro”, come si dice. So di che si tratta, è un campo di impegno importantissimo. Lo sto praticando e continuerò a farlo. Ma proprio per questo insisto anche sulla necessità di “aiutarli a casa nostra”, accogliendoli e creando le condizioni per un ritorno “a casa loro”. Serve un approccio al problema che sia a più dimensioni ma abbia un presuppostocomune: la consapevolezza che profughi e migranti possono essere una risorsa straordinaria sia per l’Europa che per i loro Paesi di origine.

Giorgio Pagano
Presidente dell’Associazione Culturale Mediterraneo e dell’Associazione Funzionari senza Frontiere

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