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L’entroterra ligure risorsa su cui puntare

a cura di in data 27 Dicembre 2014 – 12:00

Repubblica – Il Lavoro, 23 dicembre 2014 – Vittorio Coletti, su Repubblica, individua bene uno dei drammi della Liguria: l’entroterra, “dove c’è la madre dei problemi ambientali o perlomeno idrogeologici della regione: monti che si sbriciolano, campagne abbandonate, edilizia selvaggia e orribile”. Qualche segno di cambiamento si intravvede: grazie alla fondamentale spinta propulsiva emanata da Fabrizio Barca, come Ministro e poi come dirigente ministeriale, anche la Regione Liguria ha inserito, nel suo Programma operativo per i fondi europei 2014-2020, il tema delle aree interne. Vengono individuate quattro aree -l’alta Valle Arroscia, la Val SOL-Beigua, la Valle dell’Antola e del Tigullio e la Val di Vara- per investimenti di recupero, con particolare riferimento alla digitalizzazione dei servizi sociosanitari e alla valorizzazione della filiera del bosco a fini energetici e di presidio territoriale.

Manca ancora, però, una strategia generale, un disegno d’insieme che abbia tre obbiettivi: tutelare il territorio e la sicurezza degli abitanti; promuovere la diversità, cioè l’identità del nostro entroterra, fattore fondamentale di attrazione e di incentivo alle persone per tornare; concorrere in questo modo al rilancio dello sviluppo. Un progetto generale che tenga insieme tanti tasselli, facendo fare loro massa critica: manutenzione del territorio, agricoltura, turismo sostenibile, servizi sociali ed economia solidale, rivitalizzazione di antichi mestieri, cultura intesa anche come accoglienza di artisti, energie rinnovabili… Un disegno che intrecci sapere stratificato e innovazione tecnologica. Che non sia calato dall’alto ma coprogettato, in una grande opera collettiva, dalla Regione e dai territori. Che individui nei fondi europei, ma anche nelle risorse ordinarie statali e regionali, le leve finanziarie per la sua realizzazione. Quando si parla di “nuovo modello di sviluppo della Liguria” si parla di questo: di una strategia “aggressiva”, che affronti radicalmente la terribile tendenza demografica e ambientale della regione, e in particolare del suo entroterra.

Pensando a qualcosa di analogo nella storia italiana, viene in mente Venezia. La Serenissima aveva un altro problema: la tendenza all’interramento continuo, l’avanzata del fango e dell’acqua dolce in laguna. Per secoli la Repubblica ha combattuto contro queste minacce, deviando i fiumi, scavando tutti i giorni il fango dai rii e dai canali, costituendo, fin dal 1501, il Magistrato delle acque, per vigilare costantemente sulle dinamiche delle acque interne. Questa vicenda ci tramanda un insegnamento politico universale: i veneziani sono riusciti a salvare la città e la laguna grazie a interventi frutto di una strategia e di un disegno, fondati sull’idea che la laguna fosse un bene comune intangibile, che tutti gli interessi particolari dei privati -fossero ricchi mercanti o umili pescatori- dovessero essere subordinati all’interesse generale di quel lago interno: della laguna intesa come comune salvezza. Anche la più modesta perizia idraulica si apriva con una formula di rito, con una sorta di preghiera laica: “Per la libertà e la salvezza di Venezia”. “L’ambientalismo -scrive lo storico Piero Bevilacqua- era una religione diffusa, un senso comune della classe dirigente e di tutti i cittadini”. E’ una grande lezione per la nostra regione: per molti anni ogni atto dovrebbe aprirsi con la formula “Per la libertà e la salvezza della Liguria”. E’ questa la svolta sulla cui base dovrà sorgere la nuova classe dirigente di cui c’è urgente bisogno.

Giorgio Pagano

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