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La Spezia 1923. I giorni del terrore

a cura di in data 20 Febbraio 2023 – 18:12

Il Secolo XIX nazionale, 22 gennaio 2023

Gaetano Salvemini citò i fatti di Torino del dicembre 1922 e della Spezia del gennaio 1923 come segni che il fascismo al governo, dopo la marcia su Roma, aveva scelto la strada della crescente illegalità. Così Pietro Nenni su l’”Avanti!”: il volto repressivo del governo di Mussolini era simboleggiato da La Spezia, “dove l’uccisione di un fascista da parte di fascisti è stata vendicata col sistema torinese, di dieci per uno, dieci vite colte così a caso, nel buio della notte, fra gente che professava un’idea che non ha più il placet del governo”.
A Torino, nella notte del 17 dicembre 1922 due fascisti erano stati uccisi da un comunista in uno scontro a fuoco. Tra il 18 e il 20 le squadre al comando del fascista Piero Brandimarte reagirono seminando terrore nei quartieri operai. Undici morti – ma secondo fonti non ufficiali furono più numerosi –, decine di feriti, la Camera del Lavoro distrutta.
Così Salvemini raccontò i fatti spezzini: “Nella notte del 21 gennaio 1923 un fascista, certo Lubrano, fu ucciso a La Spezia da certi fratelli fascisti […] A La Spezia, come a Torino, l’incidente diventò un pretesto per un’azione di violenza su larga scala allo scopo di terrorizzare la città”.
Giovanni Lubrano, guardiano della fabbrica Pertusola, era uno degli squadristi più feroci. A ucciderlo furono i fratelli Giulio e Aldebrando Poggi di San Terenzo, aiutati da due complici. Aldebrando era un fondatore del Fascio di San Terenzo. Giulio era stato maltrattato e percosso da Lubrano qualche giorno prima. I fascisti cercarono di far passare la tesi della rappresaglia: i comunisti si sarebbero infiltrati nel Fascio per compiere il delitto.
La furia esplose nella notte tra il 21 e il 22 e nella giornata del 22, e proseguì nella notte successiva.
Sulla base della lettura dei giornali e delle testimonianze raccolte, si arriva a un numero di vittime ben superiore a quello esecrato da Nenni: non “dieci per uno”, ma 19. I nominativi individuati sono ad oggi 12. Ma è vero che i giornali scrissero anche, genericamente, di “cadaveri rinvenuti” senza poter dare ad essi un nome.
L’ammissione dell’ampiezza della rappresaglia venne dagli stessi fascisti. Il 26 gennaio fu pubblicato un comunicato in cui il capo degli squadristi spezzini, Guido Bosero, affermava:
“Ordino tassativamente che nessun fascista si permetta di compiere azioni individuali o rappresaglie di qualsiasi specie. I trasgressori saranno da me puniti fascisticamente. I fascisti sono avvisati, sappiano regolarsi”.
L’ordine venne il giorno dopo dallo stesso Duce.
La brutalità era stata senza pari, anche rispetto a Torino. Fioravanti Paolo Raspolini venne malmenato e legato per i piedi con un cavo d’acciaio a un’auto e trascinato da casa sua, sopra Lerici, fino al greto del fiume Magra dove venne finito con le pistole e i coltelli. Qualcuno dice che come estrema umiliazione in bocca gli avevano messi i propri genitali.
Certamente i fascisti avevano un piano, sapevano cioè chi cercare, come Brandimarte a Torino. Nella notte ci fu la prima reazione, ma la mobilitazione organizzata scattò la mattina del 22 gennaio, con la consegna delle armi agli squadristi chiamati nella sede cittadina del Fascio. La forza pubblica fu completamente ritirata.

Mussolini si dedicò alla “retorica della normalizzazione” e nello stesso tempo continuò “a teorizzare l’utilità dell’uso della forza”, come ha scritto Giulia Albanese. La violenza fu sempre il tratto identitario del fascismo, la sua connotazione fondativa. Tuttavia il “doppio binario” (condanna in pubblico, appoggio in privato) funzionò dal punto di vista comunicativo e della costruzione del consenso all’opera di distruzione dei contenuti fondamentali delle istituzioni liberali.
Nello stesso tempo – proprio pochi giorni dopo i fatti spezzini – si istituzionalizzava lo squadrismo, trasformando le squadre nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale; si irretivano i liberali con la “retorica della normalizzazione”; e si distruggeva l’opposizione dove resisteva di più. Come a Torino, come alla Spezia. Oltre cento morti nel 1923, tra cui i 19 spezzini. Non a caso l’inchiesta che l’”Avanti!” pubblicò nel 1924 sui fatti della Spezia cominciava così:
“Può darsi che altre città italiane siano state percosse da terrore pari a quello di Spezia, crediamo però che nessuna l’abbia superata. […] Occorreva […] piegare quella che era una delle città più rosse d’Italia: occorreva il terrore. E la reazione inferocì brutale, violenta”.
Dopo la marcia su Roma la violenza nella politica e nella società fu un tutt’uno con la violenza sul lavoro: la disgregazione dell’unità operaia, la punizione delle avanguardie di fabbrica, una politica economica tutta a favore degli industriali e degli agrari.

Ma chi erano i fratelli Poggi?
Aldobrando fu arrestato il 26 gennaio a Parma. “La Stampa” scrisse: “Non si può certo nascondere che profonda è l’impressione per quanto avrebbero stabilito […] il Comando dei carabinieri e l’autorità di P.S. nei riguardi dell’autore del triste misfatto: che cioè gli elementi sovversivi sarebbero completamente estranei all’episodio brigantesco”. In un articolo del 1924 l’”Avanti!” sintetizzò così la vicenda: “Un altro fascista odiava Lubrano per fatti esclusivamente personali, dai quali non dovevano pare esulare ragioni di rivalità femminile”.
I fascicoli dei “sovversivi” del Casellario Politico Centrale confermano e rafforzano la tesi che Lubrano non fu ucciso dai “sovversivi” proprio perché i due Poggi non erano “sovversivi”. I carabinieri lo ammisero, in sostanza, anche in pieno fascismo.
Aldebrando fu condannato nel 1927 a sedici anni, e scarcerato nel 1932 in seguito ad amnistia.
La relazione dei carabinieri del 1927 spiega che nel Fascio era criticato perché era “molto incline alle donne” e “trascurava comunque la politica”. Però fu sempre “volenteroso”. Il passaggio chiave è questo: “Non risulta che egli si fosse inscritto al PNF per poter più agevolmente compiere il delitto, in quanto la sua inscrizione risale ad epoca in cui il delitto non poteva essere neppure lontanamente previsto”.
Nella relazione del 19 maggio 1935 si scrive che “non è inscritto al PNF, ma si dimostra simpatizzante del regime”. Si aggiunge che “nel passato e precisamente nel periodo bellico e fino al 1923 professava idee sovversive”. Ma le ultime tre parole erano sottolineate a penna e seguite da due punti interrogativi.
Tant’è che nella relazione di pochi mesi dopo – 28 agosto 1935 – i carabinieri scrivono altro: prima dell’avvento del fascismo Aldobrando “simpatizzava per il socialismo, però non risulta abbia esercitato attività in seno al partito, né che vi sia stato inscritto”. Nel novembre 1921 “fece parte del primo nucleo che fondò il Fascio di San Terenzo” e “si dimostrò accanito difensore della causa fascista, e più che altro coraggioso, prendendo parte a spedizioni punitive, che per il suo ardire viene ricordato anche attualmente dai compagni del partito”. Nel 1913 era stato condannato per minacce a mano armata. Dieci anni dopo partecipò all’uccisione di Lubrano perché il fratello Giulio era stato da lui “maltrattato e percosso”.
Aldobrando fu radiato dall’albo dei sovversivi, per buona condotta, nel 1960. Il fratello Giulio restò sempre nell’albo, fino alla morte. Ma fu veramente un “sovversivo”?
Si rese subito irreperibile, poi fu condannato a trent’anni nel 1927. In quell’anno, il 15 dicembre, i carabinieri scrissero: “non consta abbia svolto attività politica, benché professasse idee comuniste”. Per il resto, “è convinzione generale che sia in Francia”. Solo nel 1931 compare la località in cui “tanto i parenti quanto altre persone del luogo ritengono” che Giulio viva: Marsiglia. Nel 1934 viene definito “elemento pericoloso perché di carattere violento e proclive al delitto”. Poi nient’altro. Solo il 15 giugno 1962 ci sono sue notizie: era morto l’11 maggio di quell’anno, dopo essere stato rimpatriato con foglio di via consolare il 16 gennaio 1961. Chissà se rivide Aldobrando a San Terenzo…
Nel caso di altri antifascisti ricercati residenti all’estero, il fascicolo del Casellario Politico Centrale è spesso ricco di informazioni dettagliate. Si muovevano ambasciate, consolati, informatori, l’OVRA… A Marsiglia, terra di emigrazione antifascista, c’erano una sede del Fascio, un Consolato molto attivo… Giulio non solo non fu mai trovato, ma neppure mai cercato. Si può supporre che i fascisti non ne avessero l’interesse.

Giorgio Pagano

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