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L’io e il noi, Berlusconi e la sinistra

a cura di in data 4 Dicembre 2023 – 21:49

Il Duomo di Milano
(2014) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 18 giugno 2023

Ricordo un pranzo con Gianni Morandi alla trattoria da Dino – simbolo di una Spezia che non c’è più – prima del concerto serale. Eravamo all’inizio degli anni Duemila e discutevamo, da persone di sinistra, del perché del successo di Silvio Berlusconi. Morandi mi raccontò la sua straordinaria capacità di piacere: a una convention di tutti i dipendenti della Fininvest aveva salutato ogni persona, tavolo per tavolo, e per ognuno aveva avuto una parola, un saluto, un augurio. Conosceva migliaia di vite familiari. Era davvero un seduttore. Per calcolo, ma anche per dato caratteriale personale.
Mi ha sempre colpito il fatto che si stupisse di essere (anche) odiato. Forse perché non odiava gli altri. Fondò la seconda repubblica, ma non odiò gli altri come ci si è odiati – e ci si odia – nella seconda repubblica.
Ma la sua cultura politica ha avuto un impatto devastante: individualismo privatistico, personalizzazione della politica nel nome di una connessione fondativa tra leader e popolo, attacco alla democrazia costituzionale, elogio amorale della furbizia e del raggiro delle regole, concezione proprietaria della donna… Tutto, nella cultura berlusconiana, è mercificato.
Il neoliberismo stava avanzando in tutto il mondo: Berlusconi lo interpretò praticando un uso del potere senza i partiti democratici e fondando un partito personale che si appellava direttamente alla “sovranità popolare”. In questo fu senz’altro un pioniere: Donald Trump è un classico esempio di berlusconismo.
La vittoria di Berlusconi fu dapprima culturale, poi politica. L’attuale assetto politico è debitore della svolta impressa da Berlusconi con la sua discesa in campo nel 1994, quando sdoganò la destra neofascista di Gianfranco Fini e diede un ruolo nazionale alla Lega Nord di Umberto Bossi: anche se oggi la coalizione al governo si è trasformata da centro-destra a destra-centro, con Forza Italia minoritaria rispetto ad alleati più estremisti.
Ma Berlusconi, vincente sul piano culturale e politico, ha perso la battaglia più importante: non è riuscito a invertire il declino del nostro Paese. Anzi: con lui al governo il declino si è aggravato. E la società è profondamente cambiata in peggio nella sua anima.
Il berlusconismo, conquistata l’egemonia culturale, ha impregnato di sé anche gli avversari. Oggi tutti o quasi sono neoliberisti, i partiti sono tutti partiti personali, la grammatica e la sintassi della politica sono simili dappertutto. L’io ha vinto sul noi.

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Il Duomo di Milano
(2016) (foto Giorgio Pagano)

Nei giorni scorsi è scomparso Dino Grassi, “capo” storico della classe operaia del Cantiere Muggiano. Ho ricordato Dino, mio amico fraterno, su questo giornale: https://www.cittadellaspezia.com/2023/06/16/la-scomparsa-di-dino-grassi-500705/.
Sto curando la pubblicazione della sua memoria, una bellissima storia operaia, che uscirà nei prossimi mesi. È la storia di una comunità. Dino scriveva a nome proprio ma anche a nome di tutti. C’era un noi che racchiudeva tutti coloro che si riconoscevano in un’idea, in un’ideologia. Ma la memoria di Dino è anche e soprattutto una storia soggettiva, in cui emerge la persona. Nel noi l’io individuale non era svilito, anzi: veniva potenziato e arricchito.
Oggi, invece, c’è solo l’io. Abbandonate le idee e le ideologie, ognuno parla, vive e lotta per sé.
Luca Comiti, il segretario della CGIL spezzina, mi ha raccontato come sia difficile unire i lavoratori per i diritti di tutti. E come sia forte la spinta dei lavoratori a chiedere supporto per le situazioni particolari. Non per colpa dei sindacati, o dei soli sindacati. Il problema è molto più vasto: è quello di ricostruire una politica che non sia di uno ma di molti. Dell’io e del noi, non solo dell’io.
La crisi della sinistra è iniziata quando ha smesso di parlare in nome di un’idea, di un’ideologia. Quando ha sostituito le classi sociali – di cui ovviamente vanno colti i cambiamenti – con gli individui. È allora che ha cessato di essere una comunità: è diventata sinistra del solo io.

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Il problema – scrive Niccolò Nosivoccia in “Il silenzio del noi” – è che “il nostro io, che ha cessato di porsi in relazione con gli altri proprio per effetto del ripiegamento esclusivo su di sé, oggi non riesce più a porsi in relazione neppure con sé stesso”. Insomma, dobbiamo fare i conti anche con il nostro io. Grazie alla rete parliamo, parliamo, parliamo, ma in realtà c’è solo il nostro io. Che alla fine è diventato apatico e inerme.
Bisognerebbe riscoprire sia se stessi che gli altri.
Racconto, per quel che vale, la mia esperienza personale. Lasciata la politica dei partiti perché era diventata del solo io, all’insegna del personalismo più sfrenato, ho scelto per qualche tempo la solitudine: ritrovare il contatto con me stesso come premessa necessaria per una nuova relazione con gli altri. Che ho ritrovato nella gratuità dell’essere e del fare: associazionismo culturale, attivismo sociale, scrittura, cooperazione in Africa e in Palestina…
Ovviamente le esperienze di altri sono e saranno diverse. Ma una domanda si impone: solo la politica può salvarci? E quale politica? Certamente non quella dall’alto, statalista, che ha già fallito. Il problema principale è costruire una cultura e una società differenti. Ripartire da una cultura popolare, dai luoghi di lavoro, dalle scuole, dalle sedi della socialità, non dal governo o dallo Stato. È un lavoro impegnativo, di lunga lena. Prima della politica servono le idee, le ideologie. Serve cambiare le nostre forme di vita, l’anima della società. Come seppe fare Berlusconi prima della sua vittoria politica.

Post scriptum
Ho scattato le fotografie del Duomo di Milano nel 2014 (quella in alto) e nel 2016 (quella in basso)

lucidellacitta2011@gmail.com

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