La via maestra per stare insieme
Città della Spezia, 8 ottobre 2023
Attorno a me, nella società, colgo molta paura, e anche molta rassegnazione.
La paura non è ingiustificata: le difficoltà economiche, la guerra, la crisi climatica. Ma spesso la paura è alimentata ad arte, e allora è destinata a rovesciarsi in impotenza, in rabbiosa ricerca di un capro espiatorio. Anche la rassegnazione non è ingiustificata: spesso non si vede come poter cambiare, e chi può interpretare le spinte a cambiare.
Ma, nella società, colgo anche la speranza e la partecipazione, la voglia di stare insieme.
Scrivo appena rientrato da Roma, dove si è tenuta la più grande manifestazione degli ultimi dieci anni almeno, indetta dalla CGIL e da oltre cento associazioni, laiche e cattoliche, moderate e radicali, per la “via maestra”, la Costituzione. Come ha detto, commosso, Maurizio Landini: “L’emozione e la felicità di vedere una piazza così è enorme”. L’emozione e la felicità di rivedere in piazza tanti lavoratori, di tutti i settori, di riascoltare le note dell’”Inno dei lavoratori”, insieme a quelle delle canzoni popolari. La gente cantava, sulla musica suonata da una banda, anche “’O surdato ‘nnammurato”.
La lista delle buone ragioni per scendere in piazza è molto lunga. Mi soffermo sulle due in me prevalenti.
La prima è il diritto fondamentale, il diritto alla pace. Venti mesi di guerra in Ucraina senza che l’Europa abbia avanzato una proposta di negoziato è inaccettabile e fuori da ogni logica politica, economica e di rispetto dei principi e valori fondanti della convivenza tra popoli e nazioni usciti dalle due guerre mondiali del secolo scorso. Basta con l’invio delle armi, usciamo dalla guerra. Trattativa a oltranza, non guerra a oltranza: a questo impegno ci richiama l’art. 11 della Costituzione. Se non si risolve il problema della guerra non c’è futuro, né economico né politico, per l’Europa e per il mondo. La guerra ingoia tutto. La guerra sottrae risorse alla transizione energetica e ci fa tornare indietro nel diritto a un ambiente sano e sicuro, come ha denunciato il papa nella sua sesta esortazione del 4 ottobre “Laudate Deum, a tutte le persone di buona volontà sulla crisi climatica”. La guerra sottrae risorse ai beni pubblici, alla sanità, all’istruzione, alla casa. La stessa esaltazione della violenza, in particolare contro le donne, e la progressiva disumanizzazione della società sono anche figlie della guerra.
La seconda buona ragione è il diritto al lavoro stabile, libero, di qualità: l’abolizione di quelle misure che hanno promosso, favorito, incentivato il lavoro precario che rende difficile la vita di tante persone, fin dall’età più giovane; l’introduzione di un salario minimo e di un reddito a un livello adeguato; il riconoscimento della legge sulla rappresentanza delle organizzazioni, appunto più rappresentative, in modo da evitare l’accumularsi di contratti pirata; il rafforzamento delle ispezioni nelle imprese, per verificare che non ci siano le condizioni di insicurezza del lavoro e che non ci sia lavoro irregolare.
I lavoratori con bassi salari (meno di 1.000 euro al mese) sono il 29% e oltre 4 milioni guadagnano meno di 9 euro lordi l’ora. Il numero dei poveri assoluti è salito a 5,6 milioni, ci sono circa 3 milioni di lavoratori precari e in media ogni anno 4,2 milioni di rapporti di lavoro a termine. L’area del disagio economico riguarda 12 milioni di persone. Eppure c’è un accanimento politico contro i poveri, etichettati come mangiapane a tradimento, che è scellerato. 4 milioni di persone hanno rinunciato alle prestazioni sanitarie perché non ce la fanno, in un sistema sempre più privatizzato: ma il governo taglia ancora la sanità e toglie il reddito di cittadinanza a 800 mila persone. Mentre il fisco favorisce sempre più i ricchi e la rendita finanziaria.
Le diseguaglianze sono esplose, in un Paese che si avvicina pericolosamente a un modello economico caratterizzato da bassi consumi e bassi salari. Un modello che vuole fare competizione sul costo del lavoro piuttosto che sull’innovazione, con meno industria e più servizi a basso contenuto tecnologico, e sfruttamento del lavoro. Un modello da Paese piccolo. Un Paese in cui ci sono 80 caduti sul lavoro al mese. Un Paese da cui i giovani fuggono: sono di più i giovani che vanno a lavorare all’estero che i migranti che arrivano! E che cacciamo anche se abbiamo bisogno delle loro braccia per tanti lavori per cui le braccia non ci sono.
Dieci anni fa, nel 2013, alla prima manifestazione “La via maestra”, ero con due miei compagni carissimi che non ci sono più, dietro lo striscione dell’ANPI di Lerici: i partigiani Luigi Fiori “Fra Diavolo” e Giuseppe Cargioli “Sgancia”. Ma ieri era come se ci fossero. L’ho pensato ascoltando le parole più ricorrenti nella manifestazione: “pace”, “lavoro”, “solidarietà”, “dignità”. Le parole della Costituzione che loro hanno conquistato e ci hanno donato.
E poi la parola “insieme”: in una società che mette tutti in competizione gli uni contro gli altri, i lavoratori contro i precari, gli italiani contro gli stranieri, in una società in cui c’’è chi si può curare e chi no, chi può studiare e chi no, chi lavora e chi no, dobbiamo stare “insieme”.
La manifestazione di Roma ha avviato un percorso in cui tutte e tutti quelli che ogni giorno provano a costruire un’alternativa al modello liberista e a determinare le condizioni per costruire una società più giusta dal punto di vista sociale e ambientale, possano trovare le forme, i linguaggi e i luoghi per stare “insieme”, per rendere stabile e partecipata la loro azione, quell’unità sociale che si sta costruendo sui valori della Costituzione.
Anche alla Spezia si è costituito un comitato tra il sindacato e tante associazioni con questo scopo. La manifestazione di Roma ci invita ad andare avanti, a non fermarci.
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