Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
All’incontro interverrà Giorgio Pagano, curatore dell’opera e autore di una postfazione e di …

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Dobbiamo imparare a vivere insieme

a cura di in data 26 Marzo 2024 – 10:12

Gerusalemme, moschea Al Aqsa, la Cupola della Roccia
(2018) (foto Giorgio Pagano)

Città dalla Spezia, 15 ottobre 2023

VOCI DALLA PALESTINA E DA ISRAELE
Sono stato tante volte in Israele e in Palestina, dal 2005 in poi. Dopo diciotto anni, dal 7 ottobre sono cominciati i giorni più strazianti.
Da sabato scorso, grazie a whatsapp, sono in contatto con tante persone che ho conosciuto in questi anni: palestinesi di Gerusalemme, della Cisgiordania e di Gaza, israeliani di Gerusalemme, di Tel Aviv, di Haifa.
Ho visto nei video la furia stragista di Hamas quasi in diretta. Poi sono arrivati i video della devastante reazione di Israele. Continuano a giungermi messaggi da Gaza – internet è debolissima, ma per ora c’è ancora, mentre sta mancando l’elettricità, e i cellulari si caricano con le batterie dell’automobile – soprattutto tramite amici della Cisgiordania, che li ricevono e me li inoltrano. C’è chi è partito verso il sud della Striscia, dopo l’ultimatum israeliano, e chi non è partito: per non cedere, per attaccamento alla propria casa, perché manca il carburante. Scrive un infermiere: “Non andiamo via, i pazienti non sono trasportabili… Le donne incinte sono 50 mila, come è possibile che affrontino un viaggio così?”. Se l’esercito di Israele entra, moriranno tutti. Ma anche ora è difficile sopravvivere: “Abbiamo pochissima acqua – stanno parlando di un’acqua che da anni, al 95%, non è potabile – pochissimo cibo, non abbiamo quasi più medicine. Rischiamo la disidratazione. L’impianto di depurazione è bloccato per mancanza di elettricità: con il mare inquinato come faremo a pescare? Partiamo, ma possono bombardarci anche nel sud della Striscia, rifugi sicuri non ce ne sono”. C’è chi è stato bombardato proprio mentre stava viaggiando verso sud, a piedi, con le borse riempite in fretta, le bottiglie d’acqua in mano. “A Gaza usano pure armi al fosforo bianco”, denuncia un cooperante. Sono armi con terribili conseguenze sui tessuti umani.
A Gaza i giovani – i miei interlocutori sono giovani, oltre il 40% della popolazione ha meno di 14 anni – sono quasi tutti dalla parte di Hamas. Ma non tutti, anche se hanno paura a dirlo: Hamas ha consenso e dissenso, e quest’ultimo è represso con ferocia. Hamas ha tanti seguaci anche in Cisgiordania: la disperazione –causata dall’apartheid, dall’occupazione, dai soprusi dei coloni – è fonte di radicalismo. Ma non tutti sono con Hamas. E’ caduta, però, la fiducia nell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) di Abu Mazen. La parte più consistente dei palestinesi della Cisgiordania non si riconosce più in nessuna forza: “Nessuno ci ascolta, dovremmo creare un movimento civico”. Oppure: “Non c’è niente da fare, aiutami ad avere un visto per venire in Italia”.
E in Israele? Prevale la voglia di vendetta: “Bisogna entrare a Gaza e distruggerli tutti”. Alla mia obiezione: “Ma i palestinesi? I bambini di Gaza che fine faranno? La stessa orribile fine dei bambini dei kibbutz nell’assalto del 7 ottobre”, le risposte sono state: “Ci sarà tempo, ora dobbiamo vincere la guerra”, “Non è il momento”, “I palestinesi sono anche brave persone, ma sono loro ad aver eletto Hamas”. Da sabato Israele uccide un palestinese ogni dieci minuti, i bambini morti sono già 724. Se l’esercito entrerà per distruggere metà Gaza sarà una strage. E se metà Gaza sarà occupata, e il regime di Hamas sarà rovesciato, chi si farà carico di un popolo devastato, in entrambe le metà della Striscia? Qualcuno in Israele è consapevole di ciò che si prospetta: un’altra catastrofe per i palestinesi e una trappola anche per Israele. Dice un’israeliana: “Tutte le sere, da sabato, un piccolo gruppo di uomini e di donne chiede le dimissioni di Benjamin Netanyahu davanti al ministero della Difesa. Ogni volta siamo sempre di più. La nostra sicurezza si ottiene trattando, non sterminando”. Ma sono le opinioni di una minoranza.
E’ minoranza anche chi, in Palestina, si sente senza una leadership e dice: “Servono leader che convincano i palestinesi e gli israeliani che dobbiamo imparare a vivere insieme”.

PERCHE’ LA TRAGEDIA
La tragedia è il frutto del fallimento del “processo di pace” iniziato a Oslo trent’anni fa (ne ho scritto nell’articolo della rubrica di due domeniche fa). Ora entrambi i popoli sono in trappola. In diciotto anni ho visto i cambiamenti provocati da questo fallimento: la Palestina sempre meno laica, democratica e socialista, così Israele. Entrambi i popoli sono stati soggiogati da regimi dispotici, e sono diventati terreno sempre più favorevole per il radicalismo religioso. E va detta la verità: i governi israeliani di destra hanno fatto di tutto per indebolire l’ANP e per rafforzare Hamas, con estremo cinismo. Perché questo era il modo per colonizzare sempre più la Cisgiordania e per far saltare la soluzione dei due Stati prevista dagli accordi di Oslo. Leggiamo cosa ha detto Netanyahu nel 2019: “Chiunque voglia ostacolare l’istituzione di uno Stato palestinese deve sostenere il rafforzamento di Hamas e il trasferimento di denaro ad Hamas. Questo fa parte della nostra strategia”. In questa strategia – clamorosamente sbagliata – nella grande prigione palestinese Gaza è la sezione di massima sicurezza. Ma Gaza è scappata di mano: esercito e intelligence erano sempre più occupati in Cisgiordania a proteggere i coloni, e non si sono accorti di quel che Hamas stava preparando. Netanyahu è politicamente finito, perché ha portato alla tragedia. Aveva detto: “Abbiamo dei vicini che sono nostri acerrimi nemici… Io mando loro messaggi in continuazione, li inganno, li destabilizzo e li colpisco in testa… E’ impossibile raggiungere un accordo con loro… ma noi controlliamo l’altezza delle fiamme”. Ma le fiamme hanno bruciato centinaia di vite innocenti. E ne bruceranno tante altre. Netanyahu è per fortuna arrivato al capolinea, comunque finirà.

Gerusalemme, il Muro del Pianto
(2018) (foto Giorgio Pagano)

IL SANGUE CHIAMA SANGUE
La guerra è un orrore, i “buoni” non ci sono. Il sangue chiama sangue. Senza la pace nasceranno altri gruppi terroristici con un consenso di massa. Hamas è stato il prodotto di questa situazione. Anche fosse distrutto, se la situazione di blocco a Gaza non cambierà, la disperazione palestinese troverà altri interpreti. Così in Cisgiordania: solo in questi giorni ci sono stati cinquanta morti. Un palestinese mi ha scritto: “Andavo a pregare alla Moschea al Aqsa, me l’hanno impedito lanciando gas lacrimogeni”. Se si tengono i palestinesi sotto oppressione, la polveriera non si spegnerà mai.
L’ordine di evacuazione al sud della Striscia è “del tutto impossibile da attuare. L’autodifesa di Israele ha un limite, e questo limite è il diritto internazionale”, ha detto Josep Borrell, l’alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri. Israele non può colpire indiscriminatamente i civili. E l’Egitto deve aprire il varco di Rafah, che collega Gaza a quel Paese, nonostante le minacce di Israele. Hamas ha compiuto un crimine orrendo, ma anche il blocco delle forniture a Gaza è un crimine orrendo, così l’ordine di evacuazione.

“LA PACE SI NEGOZIA CON I NEMICI”
La comunità internazionale deve prendere tutte le misure necessarie affinché i diritti umani di entrambi i popoli siano pienamente protetti. Come era solito dire Yitzhak Rabin, primo ministro israeliano assassinato nel 1995 da un ebreo estremista, “La pace si negozia con i nemici. E la faremo a qualunque costo”. A lui costò la vita. Servono nuove leadership israeliane, e anche palestinesi, più lungimiranti. L’ex presidente del Parlamento israeliano Avraham Burg, ha scongiurato Israele di “salvare se stesso”. Solo riconoscendo diritti ai palestinesi si sconfigge il terrorismo. La rivolta contro Netanyahu, in corso da mesi, non deve fermarsi. E in Palestina deve emergere una rivolta contro Hamas. La prospettiva dei due Stati deve tornare ad essere credibile. E’ molto difficile che ciò accada, ma l’alternativa è la catastrofe. O i due popoli imparano a vivere insieme, o si stermineranno l’un l’altro. Il destino è comune. I due luoghi delle fotografie di oggi – la moschea di Al Aqsa e il Muro del Pianto – sono a poche decine di metri di distanza. Cos’altro può provare che Gerusalemme e la Terrasanta sono di tutti, e che il destino è comune?

Post scriptum
Le fotografie di oggi sono state scattate a Gerusalemme nel 2018: la prima ritrae la Cupola della Roccia, accanto alla Moschea al Aqsa nella Spianata delle Moschee; la seconda il Muro del Pianto.
Sul tema rimando ai miei ultimi articoli:
“Israele e Palestina, c’è un unico modo per raggiungere la pace”, Città della Spezia, primo ottobre 2023
“Cisgiordania: l’altro Israele faccia sentire la sua voce”, Critica sociale, maggio-giugno 2023, leggibile su www.funzionarisenzafrontiere.org
“Palestina dimenticata”, Patriaindipendente.it, 2 gennaio 2023
“Natale in Palestina”, Città della Spezia, 1° gennaio 2023

lucidellacitta2011@gmail.com

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