Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Martedì 30 aprile aprile ore 17 a Tellaro, ex Oratorio ‘n Selàa
26 Aprile 2024 – 08:45

Presentazione di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiMartedì 30 aprile ore 17Tellaro – ex Oratorio ‘n Selàa.
All’incontro interverrà Giorgio Pagano, curatore dell’opera e autore di una postfazione e di …

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Di troppo turismo si muore

a cura di in data 5 Ottobre 2018 – 08:21
La Spezia, veduta della città da Marinasco (2012) (foto Giorgio Pagano)

La Spezia, veduta della città da Marinasco
(2012) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 30 settembre 2018 – Il mondo viaggia sempre di più. Secondo le stime della World Tourism organisation, nel 2017 un miliardo e trecento milioni di persone ha fatto almeno un viaggio. E il dato cresce di 50 milioni l’anno. E’ un business di 860 miliardi l’anno, pari al 10% del Pil mondiale.
Che milioni di persone che prima non viaggiavano oggi lo possano fare è uno straordinario fatto democratico e di emancipazione. Il turismo, inoltre, è un’industria che tira e che dà lavoro. Ma dobbiamo anche considerare, nel nostro mondo così fragile, gli aspetti devastanti: più inquinamento, più impatto non solo ambientale ma anche sociale, nel senso di uno svuotamento dall’interno della vita delle città e dei territori. Il “turboturismo” cannibalizza i luoghi, li riduce a location.
Nei giorni scorsi, a Betlemme, discutevo di questo impatto del turismo con alcuni amici impegnati come me nella cooperazione internazionale. La discussione, a Betlemme, viene naturale: ogni giorno, in particolare in alcuni periodi dell’anno, migliaia di turisti raggiungono questa piccola città palestinese per visitare la Chiesa della Natività, ma gran parte di loro sono cavallette che riempiono Betlemme di rifiuti e usano i suoi servizi e le sue fonti energetiche senza dare nulla in cambio, perché i tour operator li portano a mangiare e a dormire nella vicina Israele, senza che visitino le tante altre bellezze della città, senza che conoscano almeno per un attimo la vita di un palestinese. Qualcosa forse sta cambiando -ci sono turisti che si fermano in Palestina- ma ancora troppo poco. Nella discussione un collega fiorentino ha raccontato che la figlia, che vive all’estero, tornata a Firenze ha esclamato: “La città è diventata un aeroporto!”.
Le località più gettonate, come Firenze, le nostre Cinque Terre (tre milioni di turisti nel 2017!), Venezia, Parigi, Barcellona, Palma di Maiorca, Santorini, Dubrovnik, Amsterdam, sono sull’orlo del collasso. Crescono le proteste dei residenti: a Barcellona è stato sequestrato un bus turistico, a Palma i turisti sono stati accolti all’aeroporto con lo striscione “Il turismo uccide Maiorca”. Il rischio è di finire come Borocay, i Caraibi delle Filippine, chiusi per sei mesi al turismo dopo che la pressione degli ospiti ha fatto esplodere i depuratori trasformando il mare in una fogna a cielo aperto.


La Spezia, veduta della città da Campiglia (2012) (foto Giorgio Pagano)

La Spezia, veduta della città da Campiglia
(2012) (foto Giorgio Pagano)

Qualcosa bisogna fare, anche se è difficile: il 66% dei turisti converge su 20 destinazioni top, alla caccia dell’inquadratura perfetta per il selfie da postare sui social. Una vera e propria ossessione. A parlarne sembra quasi di voler fermare il vento con le mani: ma quando il numero dei turisti soverchia il numero degli abitanti, il problema si fa serio. Le città e i luoghi diventano invivibili, deturpati, fastidiosi non solo per i residenti ma, alla fine, anche per i viaggiatori. Tant’è che Cnn Travel ha stilato la lista dei luoghi da evitare nel 2018 e ha inserito tutti quelli più gettonati.
Bisogna cominciare a pensare la cosa più ovvia, che è anche la più rivoluzionaria: Firenze o le Cinque Terre non sono un set cinematografico, uno sfondo per la navi da crociera, una cattedrale del consumo e dell’intrattenimento mordi e fuggi. Sono una città, o un territorio. Insomma, un luogo con una sua identità che non va cancellata. Un’entità viva. Non un “non luogo”, come l’aeroporto citato dalla ragazza fiorentina.
La questione riguarda anche il nostro capoluogo. Spezia sta diventando città turistica, e sta cominciando a vivere questi rischi sulla sua pelle: il farmaco del turismo ha, e avrà, troppi effetti collaterali anche in città.
Il pensiero più ovvio e più rivoluzionario ci porta a dire che il problema non è solo quello del numero dei turisti, di incentivare i viaggi in bassa stagione o di spalmarli sulle aree meno battute. Il problema è anche quello del numero dei residenti, che in questi luoghi sta calando. E dunque di politiche di governo dei prezzi del mercato immobiliare e di costruzione dei servizi necessari per fermare l’esodo dei residenti e per impedire che aumentino solo B&B e affittacamere. Per reintrodurre residenze popolari e per soddisfare le esigenze produttive di nuove imprese giovanili. La “disneylandizzazione” dei luoghi si combatte cambiando sia i numeri in entrata (turisti) che quelli in uscita (residenti). Bisogna agire sul numero di chi entra nel luna park, ma bisogna anche ritrasformare quel luna park in un luogo con un’anima e una memoria.
Da questo punto di vista è di notevole interesse l’esperienza di alcune città spagnole, Barcellona e Madrid in primis, le cui nuove leadership “neomunicipaliste” stanno cercando di mettere in opera nuovi sistemi locali di regolazione che affrontino questi squilibri. Servono idee nuove e lungimiranti, capaci di raccogliere nuove sfide. Prima che dei nostri luoghi più belli rimanga solo lo scheletro.

Post scriptum:
Sul tema del “neomunicipalismo” rimando al mio articolo “La città come ultima difesa e ultima speranza”, pubblicato su Micromega.net il 10 maggio 2018 e leggibile qui:
http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-citta-come-ultima-difesa-e-ultima-speranza/

Dedico l’articolo di oggi a Giovan Battista Acerbi “Tino”, partigiano valoroso e uomo politico e amministratore democristiano nel dopoguerra, in Regione Liguria per un ventennio. Sobrietà e rigore morale furono sempre le caratteristiche del suo impegno.
Ho raccolto le sue testimonianze sull’esperienza partigiana negli articoli di questa rubrica “Richetto, Tino e la santa pattona” (18 gennaio 2015) e “Ermanno, i partigiani e gli Alleati” (15 aprile 2018).
In “Sebben che siamo donne. Resistenza al femminile in IV Zona Operativa, tra La Spezia e Lunigiana” ho raccolto la sua ultima testimonianza, che racconta le sofferenze del tragico rastrellamento dell’agosto 1944 ed esalta il ruolo di sostegno alla Resistenza svolto dalle donne delle campagne e delle montagne della val di Vara. Ecco il testo integrale, tratto dal libro:
“Con il mio gruppo, dopo il rastrellamento dell’agosto 1944, ero al passo del Rastrello, poi andammo sul monte Picchiara, dove aveva sede il Comando, ma c’erano i tedeschi. Scappammo, due di noi andarono verso Torpiana, furono uccisi, io e altri ci salvammo perché andammo nel bosco di Antessio, poi a Chiusola, dove la mamma e le sorelle del generale Boeri ci diedero delle pagnotte, quindi sul Gottero, poi al passo delle Centocroci, dove trovammo ‘Richetto’. Combattemmo con lui sul monte Scassella, nel rastrellamento di agosto l’unica resi-stenza la fecero ‘Richetto’ e Daniele Bucchioni a Calice, tutto il resto sbandò. Poi passammo il Vara tra Varese e San Pietro e andammo a Cembrano di Maissana, da lì a Valletti di Varese Ligure, morti dalla stanchezza. A Valletti dormimmo in una cascina, sentimmo bussare a mezzanotte e scappammo, ma era gente di Varese sfollata a Valletti. Alla fine arrivammo al monte Penna. In ogni tratto c’erano le donne ad aiutarci: eravamo una quindicina, appena ci vedevano le donne mettevano al fuoco il castagnaccio prima che noi lo chiedessimo. O ci davano fette di pane appena cotto. Noi non volevamo disturbare nessuno, ci chiamavano loro, ci indicavano la strada e ci invitavano a riposare, mentre loro avrebbero fatto la guardia”.

lucidellacitta2011@gmail.com

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