Presentazione di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Venerdì 2 Agosto ore 21.15 al Centro Sociale Polis di Ceparana
23 Luglio 2024 – 21:36

Presentazione di
“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi
Venerdì 2 agosto ore 21.15
Centro Sociale Polis di Ceparana
Il libro di Dino Grassi “Io sono un operaio. Memoria di un maestro …

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Storie di passioni, dalla valle di Adelano al passo dei Due Santi

a cura di in data 1 Giugno 2024 – 23:34

Zeri, il villaggio della Formentara, l’oratorio di San Bartolomeo
(2023) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia 19 novembre 2023

L’EREMO DI FRA’ CRISTIANO E IL TENTATIVO DI NON DISPERDERE LE RADICI
Raggiungiamo lo Zerasco, questa volta, passando dalla Val di Vara. Per arrivare alla prima tappa del viaggio odierno – Adelano – è questa la via più breve per chi viene da Spezia: Sesta Godano, Chiusola, Orneto, poi il primo dei piccoli aggregati che costituiscono Adelano, Casa Tosi. La valle è immersa nel verde, alle pendici del monte Gottero, nel versante toscano. Al Gottero si sale o dal passo della Cappelletta, dopo il passo delle Cento Croci, o da Chiusola, o da Calzavitello, una delle frazioni di Adelano, o da Albareto, nel Parmense. A fine Ottocento la valle di Adelano contava 274 abitanti, scesi a 175 nel 1982, oggi a 24.
Tra loro c’è fra’ Cristiano Venturi, un francescano che è qui per una scelta di vita. Vive nella piccola canonica accanto alla chiesa di Santa Maria Maddalena, ora in restauro. L’edificio sorge isolato, non lontano dalle Case Bornia, da dove si domina tutta la valle. Arrivo con il mio inseparabile compagno di viaggio, Mauro Malachina, mentre il frate sta lavorando al telaio. Ascoltiamo il suo racconto:
“Sono arrivato nel 2010, da Genova. Ho scoperto Adelano perché ci portavo gli studenti universitari a fare i campi di lavoro. La chiesa era abbandonata, a poco a poco è rinata… Per vivere coltivo e produco: farina di castagne, confetture di rosa… Inoltre ho imparato a tessere. Ho scoperto che ad Adelano la tessitura ha delle radici: qui si confezionava una stoffa turchina, da lavoro, usata nella bella stagione, che aveva il nome dialettale di büdana. È la stoffa che ha dato origine al jeans [ne ho scritto in questo giornale nell’articolo della rubrica “Luci della città” “Ma il jeans non è solo genovese”, 5 settembre 2021]. La Maddalena di Noce è stata l’ultima tessitrice, il suo telaio, proveniente dalla scuola di Coloretta, è ora nel Museo Etnografico di Villafranca Lunigiana. Sono andato a vederlo con i parenti della Maddalena e ne abbiamo costruito uno simile, solo un po’ più piccolo perché stesse in casa mia. Lavoro su commissione, ognuno decide il prezzo che merita la mia opera, non lo chiedo io. Ora sto lavorando a un tessuto del Museo Etnografico spezzino. La mia vuole essere una presenza legata al territorio e alla sua gente. I 24 abitanti sono pensionati, c’è un po’ di agricoltura… E tre allevamenti di pecore zerasche, decimati dai lupi. Ho visto il lupo pochi giorni fa, per la seconda volta: è bellissimo. Una volta si allevava il cavallo bardigiano, ora ce ne sono più pochi. Poi c’è qualche vacca”.
Fra’ Cristiano ha imparato anche il dialetto zerasco:
“Idrograficamente siamo in Liguria, le nostre acque del torrente Adelano vanno nel Vara. Siamo sempre stati un territorio conteso tra Genova e la Toscana. A Orneto si parla il dialetto genovese, poco dopo, a Casa Tosi, si parla già quello zerasco. È l’ultimo rimasuglio di ligure arcaico. Ma non è uguale in tutte le frazioni, cambiano le vocalizzazioni. Qui c’è una cadenza genovese, a Patigno una cadenza pontremolese. A Genova si andava per la “via regia” [oggi Alta via dei monti liguri], si scendeva a Sesta Godano, poi a Carrodano, e da lì a Sestri Levante. Non ci sono più le botteghe, le osterie… Non si cantano più i nostri canti, non si raccontano più le nostre storie: un tempo nelle case, alla sera, veniva l’oratore a raccontare storie… Il bosco di noci era sacro… Cerco di tener viva la memoria, è la mia passione… Ho fatto uno studio sui nostri abiti tradizionali, siamo andati al Museo di Spezia vestiti come una volta… Abbiamo ballato la “giga”, il nostro ballo tradizionale. Lavoro su questi temi nella scuola di Coloretta: sulla torta d’erbi, sulla cottura nei testi… Un territorio senza radici è destinato a morire”.
Quando cammino sull’Alta via penso che il nome “via regia” avesse il senso evidente di grande via maestra. Ascolto fra’ Cristiano e mi ritornano in mente i vecchi racconti di come questa via, e questa zona, fossero al centro di un largo raggio di comunicazioni, in cui le popolazioni pastorali, i pellegrini, i contrabbandieri, oltre il Gottero, andavano nelle valli parmensi del Taro e del Ceno, e da lì a Piacenza, a Bobbio, nella Pavia longobarda… E dall’altro lato verso Genova… Fra’ Cristiano conferma, e mi spiega “che qui c’erano i Longobardi, i loro primi stanziamenti erano a Chiusola, a Patigno, in una casa privata, ci sono iscrizioni dei Goti”. E aggiunge: “Da qui passa il ‘Cammino d’Assisi’ che parte dalla Borgogna, è un punto di passaggio dei pellegrini dalla Francia, la liturgia viene celebrata in italiano e in francese”. Una storia, quella della “via regia”, forse tratturo preistorico, poi sentiero e mulattiera nella storia romana e medievale, che andrebbe approfondita.
Poi entriamo nella chiesa in restauro, costruita a partire dal 1848 su un’antica chiesa del Quattrocento. Nella vicina cappella che ora sostituisce la chiesa ci sono statue interessanti di scuola genovese: quella cinquecentesca di Santa Maria Maddalena, quella seicentesca della Madonna del Caravaggio, il cui culto proviene dal Bergamasco. C’è anche un’orante con abiti di Zeri, opera di un’artista del luogo.
Fra’ Cristiano, in casa, ci fa vedere il punto esatto in cui il parroco don Eugenio Grigoletti fu ucciso da una raffica di mitra dai nazisti il 4 agosto 1944 nel feroce rastrellamento del 3-4 agosto. Era accusato di aver dato ospitalità ai partigiani. Il suo corpo fu gettato in una botola che conduceva alla sottostante cantina, oggi trasformata in cappella.
A proposito di memoria, fra’ Cristiano mi consegna un ottimo testo di racconto storico sul rastrellamento del 3-4 agosto nello Zerasco. È intitolato “3-4 agosto 1944. Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra. Per non dimenticare”, e si conclude con un riferimento alla cappella:
“Dove fu perpetrato un sacrificio di sangue, frutto della violenza insensata della guerra, oggi si celebra il ‘sacrificio della pace’ che ricorda ad ogni cristiano quella chiamata universale ad essere ‘costruttori e operatori di pace’.”
Prima di salutarci, parliamo di ciò che sta succedendo a Gaza. Il frate mi racconta che, appena arrivato ad Adelano, fu chiamato per sostituire un francescano in Palestina. A malincuore non andò, ormai aveva preso un altro impegno. Gli racconto della mia lunga frequentazione della Palestina, di quante volte ho alloggiato nel convento dei francescani a Betlemme, accanto alla Basilica della Natività… Lui spera di poter andare un giorno in Terrasanta, io di poterci tornare. Chissà, se non ci fosse stata la pandemia, oggi forse mi sarei trovato là…

LA RESISTENZA, STORIA DI PASSIONI: “FACIO”, I RAGAZZI DI VERNAZZA, LA BRIGATA D’ASSALTO LUNIGIANA
Ci rechiamo, poco vicino, nel luogo dove è stato eretto il monumento a Dante Castellucci “Facio”, comandante del Battaglione Picelli, partigiano garibaldino ucciso da altri partigiani garibaldini, dopo un processo farsa, all’alba del 22 luglio 1944. Ogni volta penso che il 22 luglio era la festa del paese, Santa Maria Maddalena. E che i partigiani che lo avevano processato e ucciso parteciparono ai balli e alle bevute. Ogni volta rifletto sulla Resistenza come storia di amore e odio, di umanità e disumanità, di grandi passioni, positive ma anche negative. Alla fine vinsero certamente l’amore, l’umanità, l’amicizia tra gli uomini. Ma le pagine oscure non vanno eluse. Oggi “Facio” vive ancora, i suoi assassini no: “l’uomo il cui nome è pronunciato continua a vivere”, dice un antico detto egizio.
Poco prima fra’ Cristiano ci aveva detto:
“La nostra memoria è ferita. Abbiamo preso botte da una parte e dall’altra, dice la gente. Ma abbiamo sempre aiutato i partigiani. Per molto tempo non se ne è più parlato, la gente voleva dimenticare. Ora il recupero delle radici passa anche attraverso il ricordo di don Grigoletti, di ‘Facio’… Nessuno, in realtà, li ha mai dimenticati. E ‘Facio’ emerge come una persona di grande valore”.
Dopo il rastrellamento del 3-4 agosto – quello della “vallata in fiamme”, così Gordon Lett descrisse lo Zerasco di quei giorni – la gente diceva: “’Facio’ ci avrebbe salvato”.
Ogni anno ricordiamo la morte di “Facio” e, sul monte Pitone, alle pendici del Gottero, il rastrellamento del 3-4 agosto. Nel 2024 saranno ottant’anni dalla morte di “Facio”. È davvero il momento di procedere alla restituzione allo Stato della medaglia d’argento datagli nel 1964, in quanto eroe ucciso dal nemico. Un capolavoro di ipocrisia, il tentativo maldestro di rimediare al tragico errore del 1944. E comunque anche, nel cinismo, un primo riconoscimento di quel tragico errore.
L’altro grande rastrellamento che colpì la Resistenza spezzina e lunigianese fu quello del 20-21 gennaio 1945.
Ci rechiamo, a piedi, ai Frandalini di Adelano. Qui, tra i pascoli, con la vista del bosco di conifere del monte Antessio e poi del Gottero, una lapide ricorda i nove caduti di Vernazza. Una generazione del paese fu falcidiata: Castrucci Giovanni, Colombo Agostino, Galleno Francesco, Pallano Lorenzo, Palomba Francesco, Perini Emilio, Perini Giocondo, Perini Renato, Sbolci Marco. Renato era il padre di Emilio e Giocondo. Facevano parte del gruppo di Giustizia e Libertà che aveva sede ad Adelano. Telefoniamo agli amici della sezione ANPI Vernazza, che ci salutano commossi. Ogni anno salgono su a omaggiare quella generazione. Con loro caddero – ma i loro nomi non sono nella lapide – anche gli spezzini Ernesto Goldoni e Walter Pedrazzi e Pietro Bonetti, di Reggio Emilia. Poco vicino, un piccolo cippo ricorda il sacrificio di altri due giovanissimi: Armando Ricci, della Brigata Matteotti Picelli, e Luciano Mignego, della Brigata Gramsci, due delle formazioni anch’esse coinvolte nel rastrellamento di gennaio. Non esistono eroi anonimi. Erano persone, con un nome, un volto, desideri e speranze. La storia della Resistenza va fatta raccontando chi erano queste persone, nessuna esclusa.
Dai Frandalini si va a piedi al Passo del Rastrello, in una strada solitaria, di grande fascino, che percorriamo ammaliati dai colori dell’autunno. Al Rastrello c’è il bellissimo Memoriale della Resistenza, dedicato ai caduti delle province di Spezia, Massa-Carrara e Parma. Un luogo dove ci ritroviamo ogni anno.
Poi, in macchina, andiamo a Valditermine, dove c’è il monumento alla Brigata d’Assalto Lunigiana, da cui nacque la Colonna Giustizia e Libertà. A Valditermine, nel giugno 1944, si stabilì la sede del comando del gruppo. Prima era a Torpiana di Zignago. Poi, dopo il rastrellamento dell’aprile 1944, in cui morì eroicamente Piero Borrotzu ‘Tenente Piero’, il gruppo si riorganizzò e si spostò più in alto. Sotto il comando di Vero Del Carpio “il Boia”, ebbe il compito di organizzare e presidiare il campo di lancio sul monte Picchiara, di cui ho scritto due domeniche fa.
Con Mauro rileggiamo il testo molto bello, ormai quasi cancellato. Le parole chiave sono amicizia, passione, amore, giustizia, libertà:

Qui tra povere case/di antiche comunità
armati tutti di grandi ideali/si strinsero liberi patti
di amicizia rara e solidale/fra contadini semplici e generosi
operai in cerca di decisive giustizie
studenti ansiosi di inedita cultura
tutti combatterono e molti caddero/con passione e candore
gridando Italia e Libertà/costruendo monumenti di pensieri
Testimoniando primavere d’amore/per i lunghi tempi della storia
(primavera 1944)
Alla gente di Valditermine/e dello Zerasco/in ricordo della
Brigata d’Assalto Lunigiana/Giustizia e Libertà
”.

BERGUGLIARA: L’ALLEVAMENTO E L’AGRICOLTURA NON SONO UN’UTOPIA
Poco distante c’è Bergugliara, che raggiungiamo in macchina, tra prati, pascoli e boschi. La strada per arrivarci è bloccata dalle pecore. Mauro, che da ragazzo ha fatto anche il pastore, scende e le spinge sul ciglio, per consentirci di proseguire. Incontreremo le pecore in strada tante altre volte nel nostro viaggio, ma sorvegliate dai pastori maremmani. Meglio non scendere: abbaiano un po’, ma poi ci pensano loro a scostarle.
A Bergugliara andiamo a visitare l’azienda agricola “I trei fantoti”. Da lì si vede il paesino, dove svetta il campanile dell’oratorio in pietra dedicato a Santa Maria Assunta. E si ammira gran parte dello Zerasco: le pale eoliche del monte Colombo, il verde dele valli e, in fondo, l’Appennino tosco-emiliano, con il monte Marmagna, una delle montagne che amo di più, in evidenza (si veda la foto in basso). I tre ragazzi sono i figli dei proprietari, Barbara Conti e il marito Andrea Filippelli. Ecco il loro racconto:
“I nostri genitori producevano solo per il consumo familiare. Noi abbiamo voluto creare un’azienda. Ci dedichiamo con passione all’allevamento di mucche da latte, ne abbiamo 17. A Patigno abbiamo qualche pecora zerasca, ormai con il lupo non è più possibile allevarle… Coltiviamo patate, facciamo la farina di castagne, abbiamo i maiali per i salumi, le galline per le uova… Il caseificio l’abbiamo costruito tutto in sasso. La nostra garanzia è che usiamo erba, foraggio, fieno del posto. Le mucche si muovono libere nei pascoli che abbiamo attorno al paese, si muovono da sole, sono abitudinarie… La nostra missione è offrire prodotti lattiero-caseari di alta qualità, ottenuti utilizzando ingredienti genuini e metodi tradizionali. La garanzia è che usiamo erba, foraggio, fieno del posto. Utilizziamo il latte delle nostre mucche per produrre una varietà di formaggi stagionati e semi-stagionati, ricotta, stracchino, yogurt e gelato. Cerchiamo di svolgere ogni fase della lavorazione con cura e attenzione”.
Provate per credere: è tutto ottimo. Andare ai “Trei Fantoti” è una vera esperienza culinaria. Non avrei mai immaginato di gustare uno dei gelati più buoni della mia vita a Zeri, a quasi 900 metri! Gelato alla castagna, alla ricotta, alla stracciatella, ai frutti di bosco…
È la prova che l’allevamento, l’agricoltura non sono un’utopia. Anche questa è una storia di passioni.

Zeri, veduta del monte Marmagna e delle valli zerasche da Bergugliara
(2023) (foto Giorgio Pagano)

ZUM ZERI, QUALE FUTURO?
In pochi minuti si arriva al Passo dei Sue Santi, al confine con Parma. Qui si sono sempre incrociate vie antiche di comunicazione di notevole importanza. Nel 1971-1972 nacquero gli impianti sciistici di Zum Zeri, con impianti di risalita e piste. E poi il rifugio, che è anche un ristorante aperto tutto l’anno.
A gestire il tutto c’è, dal 2013, la Società Ginnastica Sport e Servizi, con a capo l’amico Maurizio Viaggi, che fu assessore nella mia Giunta quando ero Sindaco della Spezia. Maurizio è uno degli spezzini che prese casa nel vicino Villaggio degli Aracci, e che poi non si è più distaccato dal territorio. Ascoltiamo il suo racconto:
“Il rifugio e il ristorante, così come il vicino albergo, sono aperti tutto l’anno. Siamo al centro di un territorio fantastico per le bellezze naturali e per la strategicità. Tutti i sentieri principali passano da qui: la Grande Escursione Appenninica (GEA), l’Alta via dei monti liguri, i sentieri della via Marchesana, del Parco Ducale di Parma… D’inverno sono frequentati dagli stranieri. Vorremmo inserire nel rifugio “la camera per il viandante”, ma il progetto fa parte di un piano che non sarà finanziato perché presentato con sei minuti di ritardo [ne scriverò domenica prossima]. La stazione invernale ha alti e bassi, per la scarsità della neve. Facciamo l’innevamento artificiale, ma sono interventi costosi e invasivi dal punto di vista ambientale, si pensi al consumo di acqua ed energia. La stazione sciistica attrae un turismo di vicinato, il turismo escursionistico è meta da tutto il mondo… La sfida principale è questa. Ma dobbiamo fare investimenti. Noi facciamo la manutenzione ordinaria, quella straordinaria spetta alla proprietà, che è povera. È una ASBUC, Amministrazione Separata Beni di Uso Civico, legata al territorio. Bisogna ristrutturare l’edificio del rifugio dal punto di vista energetico, oggi i consumi sono altissimi, 8 mila euro al mese. Così l’albergo, che è sempre riscaldato. Ci vuole qualche camera nel rifugio, l’albergo non può stare sempre aperto. Bisogna intervenire su seggiovia e impianti, che dovrebbero funzionare anche in estate, per esempio per le biciclette. Vanno attivati finanziamenti regionali, nazionali, europei. Il privato gestore non si tirerà indietro”.
Sono d’accordo. Non critico in modo radicale il turismo, anzi. Nel 1982 c’erano un albergo-ristorante a Bergugliara, un ristorante-bar a Valditermine e uno ad Adelano. Le tre località avevano anche una bottega. Oggi sono rimaste solo le strutture del passo dei Due Santi: come si potrebbe criticarle? Anzi! Il punto è che lo sviluppo turistico deve integrarsi con il territorio, ha bisogno di un riconoscimento che parta dalla comunità. Lo sviluppo non deve perdere le radici culturali, le tradizioni, il linguaggio, il paesaggio, i campi e i pascoli. La rigenerazione territoriale ha bisogno della rigenerazione di comunità.

IL VILLAGGIO DELLA FORMENTARA, IL FASCINO DEL TEMPO PASSATO
Il viaggio di oggi si conclude vicino al passo dei Due Santi, all’antico villaggio di alpeggio della Formentara, in uno stupendo altopiano la cui altitudine va da 1000 a 1300 metri. Un tempo, e fino alla seconda guerra mondiale, dalla tarda primavera al primo autunno la vita qui era fervida: le cascine in pietra, ora abbandonate e semi distrutte, erano abitate dagli zeraschi di Noce che portavano il bestiame al pascolo. C’era pure una chiesa, l’oratorio di San Bartolomeo, uno dei due edifici oggi meglio tenuti (lo vedete nella foto in alto). La grande festa era il 24 agosto.
Il fascino della visita è straordinario. La grande domanda è: è possibile recuperare questo patrimonio del tempo passato? E come? Se non altro a scopi etnografici, didattici, culturali, a servizio del turismo escursionistico: il valore dell’operazione sarebbe altissimo. Comune di Zeri e Comunità Montana della Lunigiana hanno realizzato, qualche anno fa, una struttura a servizio del turismo escursionistico che finora non è decollata. È l’altro edificio ben tenuto. Le potenzialità sono enormi, bisogna crederci. Avere passione per Zeri.

Giorgio Pagano

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