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E tu ricerchi là le tue radici…

a cura di in data 7 Gennaio 2014 – 10:18

Ortonovo, la scartozzera (anni Settanta) (foto archivio Arturo Izzo)

Città della Spezia – 5 gennaio 2014 – Sono convinto da molto tempo che, se vogliamo uno Stato imperniato sul federalismo, o sul decentramento che dir si voglia, non possiamo che fondarlo sui Comuni: è la storia d’Italia che ce lo impone. Altro che Province o Regioni. Non a caso, nel profondo cambiamento in corso, l’ente Provincia non ha retto; e dubito che possa reggere a lungo l’ente Regione così come funziona oggi (tanto più se il numero delle Regioni continuerà ad essere così elevato). Ma i Comuni potranno essere il cardine del nuovo Stato federale o decentrato se supereranno la loro estrema frammentazione: 8.000 Comuni sono troppi, e soprattutto troppo fragili. Una strada abbastanza semplice -anche se ancora troppo poco praticata- è quella della gestione in forma associata di funzioni e servizi, dal sociale alla polizia municipale, dalla pianificazione territoriale alla protezione civile. Ciò può avvenire tramite le Unioni dei Comuni, o con convenzioni o associazioni intercomunali. La mia vita di “cocopro” mi porterà, nel 2014, a collaborare alla stesura dei Piani strategici e dei progetti da presentare all’Unione europea per i fondi 2014-2020 proprio con due realtà di questo tipo: l’Unione dei Comuni del Mugello e l’associazione tra il Comune di Pisa e gli altri Comuni dell’area pisana. Non a caso: se si vuole puntare credibilmente ai finanziamenti comunitari questa strada è obbligata. Ma è una strada utile anche per ottenere finanziamenti regionali o nazionali: basti pensare alle limitate capacità di progettazione dei singoli piccoli Comuni, che possono essere superate, appunto, solo con l’associazionismo. L’Unione o associazione è utile, infine, anche per la razionalizzazione dei servizi e della spesa pubblica.

Ortonovo, figura inclusa in un muro (foto archivio Arturo Izzo)

C’è poi un’ulteriore scelta, quella più radicale, economicamente incentivata da Stato e Regioni: la fusione tra Comuni, soluzione intrapresa per ora in casi molto limitati, e attualmente in discussione in alcune realtà, tra cui Castelnuovo Magra e Ortonovo. Tanti amministratori e cittadini dei due Comuni si battono per la fusione e per la creazione del nuovo Comune di Luni, anche se non mancano gli oppositori. Ma basta la certezza dei finanziamenti garantiti da Stato e Regione per convincere della bontà di questa scelta? Non c’è dubbio che questo incentivo conti, e tuttavia non credo che basti. Serve qualcosa di più profondo, trattandosi di una scelta non solo politica, ma anche culturale e “sentimentale”: la consapevolezza di avere radici comuni. Il prossimo referendum lo vinceranno i sostenitori della fusione solo se nei cittadini prevarrà questa consapevolezza. Per capire meglio come stanno le cose ho chiesto un parere all’amico Piero Donati, storico dell’arte e non solo. Secondo lui il Comune di Luni ha “solide radici”. A suffragio di questa tesi Donati insiste molto, a ragione, sulla realizzazione della stazione ferroviaria di Luni, costruita nel 1885 per volontà delle Amministrazioni di Castelnuovo e Ortonovo proprio a cavallo dei due territori comunali, per assicurare ai residenti il collegamento con un’infrastruttura così importante, e poi per trasportare la lignite estratta dai pozzi della zona. Cessata, nel 1953, l’attività delle miniere, la stazione rimase un punto di riferimento importante per coloro che dovevano recarsi a lavorare a Spezia, in particolare per gli “arsenalotti”. Questo esempio di unione delle forze, mi spiega Donati, non fu un fatto isolato. Ma sentiamo il Donati storico dell’arte, che dimostra come i manufatti artistici offrano molti spunti alla tesi delle ”solide radici”: “Già in precedenza -ad esempio nei drammatici giorni del 1747 nei quali la Val di Magra era stata coinvolta nella guerra di successione austriaca- questa capacità di unire le forze si era mostrata risolutiva, ed un’immagine marmorea dell’Immacolata Concezione ancora oggi visibile a Castelnuovo ricorda che i nemici erano stati costretti a fuggire perché le popolazioni della zona avevano organizzato squadre armate per difendere i propri beni e le proprie persone”. Donati ricorda inoltre che due delle famiglie più importanti di Castelnuovo nei secoli XVII-XIX, i Pucci e gli Amati, avevano beni e interessi nei territori, allora non ancora unificati, di Nicola e di Ortonovo; i Pucci avevano addirittura un loro altare, ancora oggi esistente, nella chiesa di Nicola. Si potrebbe andare, nella ricerca delle radici comuni, ancora più in là nel tempo, e risalire al Medio Evo, quando i due territori erano uniti. O richiamare, oltre all’elemento artistico, quello religioso, un campo con molte tradizioni comuni. Si potrebbe anche ragionare sulle affinità degli ecosistemi e dei paesaggi, che fanno di Castelnuovo e Ortonovo un insieme “naturale”. Soprattutto i “lunensi” devono ricavare la lezione da tutto ciò e dotarsi di programmi per il futuro: per risollevare la stazione di Luni dal degrado e considerarla la porta di accesso a una zona da rilanciare, quella archeologica di Luni; per presentare i due territori come un “unicum” dal punto di vista culturale e turistico; per riscoprire gli antichi saperi popolari necessari a conservare l’habitat naturale, e così via…
“E tu ricerchi là le tue radici se vuoi capire l’anima che hai…”: credo che le parole della bellissima canzone di Francesco Guccini valgano anche per Luni. Se sulle basi delle “solide radici” e di progetti con esse coerenti ci sarà una presa di coscienza dei cittadini, i promotori della fusione prevarranno al referendum. Temo che altrimenti, ragionando solo di razionalizzazione dei servizi e della spesa o di trasferimenti finanziari, rischino di prevalere il disinteresse e la conservazione dell’esistente.

lucidellacitta2011@gmail.com

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